Annali d'Italia 172
acciocchè rendesse la città di Savona, di cui era in possesso. Così nel
dì 2 di novembre il Campofregoso non senza lagrime uscì di Genova, e
vi fece la sua entrata il conte Carmagnola, che ne prese il possesso
a nome del duca, e rimise in casa tutti i fuorusciti e banditi. Di
questo passo camminava la fortuna del duca di Milano. Men prosperosa
non era quella de' Veneziani[2511]. Essi in quest'anno ricuperarono
Drivasto, Antivari, Dulcigno, e quasi tutto il resto dell'Albania.
Presero ancora nel Friuli alcune poche castella che avevano resistito
fin ora: nella qual congiuntura Filippo degli Arcelli Piacentino,
valente lor generale, restò colpito da un verrettone, per cui diede
fine ai suoi giorni. E perciocchè il papa fece nuove istanze in favore
del patriarca d'Aquileia per la restituzione del Friuli, quel saggio
senato rispose che lo renderebbe ogni qual volta fosse rimborsato delle
spese della guerra, a cui erano stati forzati dall'inquieto patriarca.
Ascendevano queste spese a milioni. Però si venne ad un accordo, per
cui fu solamente lasciata allo stesso patriarca la città di Aquileia
colle castella di San Daniello e di San Vito. Tutto il rimanente fu,
ed è tuttavia, della repubblica veneta, con essere cessata tutta la
potenza temporale del patriarca d'Aquileia, il quale in addietro, dopo
il romano pontefice, era il più ricco prelato d'Italia.
NOTE:
[2499] Cribell., Vit. Sfort., tom. 19 Rer. Ital.
[2500] Campanus, Vit. Brachii, tom. 18 Rer. Ital.
[2501] Bonincont., Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2502] Histor. Sicula, tom. 24 Rer. Ital.
[2503] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2504] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2505] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
[2506] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
[2507] Campanus, Vita Brachii, tom. 19 Rer. Ital.
[2508] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
[2509] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2510] Ammirato, Istoria Fiorentina, lib. 18.
Anno di CRISTO MCCCCXXII. Indiz. XV.
MARTINO V papa 6.
SIGISMONDO re de' Romani 13.
Anno di pace per l'Italia fu questo, e però niuno importante
avvenimento viene somministrato alla storia. Veggendo il pontefice
in gran declinazione gli affari del re _Lodovico d'Angiò_, e
rincrescendogli ormai di gittar tanto danaro per voler sostenere un
edifizio che da troppe parti minacciava rovina, prese il partito di
trattare un accordo[2512]. Pertanto di nuovo spedì a Napoli i due
cardinali legati, se pure n'erano essi partiti, con istruzioni nuove,
affinchè trovassero temperamento all'emulazione e guerra dei due re.
_Alfonso_, oltre alla sua naturale accortezza, avea in mano di che far
guerra al papa: cioè minacciava tuttodì di far risorgere il tuttavia
vivente Pietro di Luna, già _Benedetto XIII_, condannato dal concilio
di Costanza, e di farlo riconoscere di bel nuovo per papa nell'Aragona,
Sardegna, Sicilia e regno di Napoli. Perciò fu d'uopo che papa
Martino facesse il latino come volle Alfonso. Indusse dunque Lodovico
d'Angiò nel mese di marzo a rimettere in mano de' legati Aversa e
Castello-a-mare: luoghi che poi da lì a qualche tempo furono da essi
cardinali consegnati alla _regina Giovanna_. Se ne tornò Lodovico a
Roma senza danari, senza credito, a vivere, come potè, di ciò che il
papa gli diede. Venuto l'aprile, il re Alfonso andò sotto Sorrento e
Massa, e gli ebbe a patti, volendo che si rendessero a lui, e non alla
regina: azione che alla medesima dispiacque non poco, cominciandosi
a conoscere che il figliuolo adottivo s'istradava a far da padrone
e ad occupar la signoria. Ma più se ne alterò il suo favorito, cioè
_Ser Gianni Caracciolo_ gran senescalco, il quale già mirava in aria
il precipizio dalla sua autorità, qualora il re Alfonso crescesse
nella potenza e nel comando. Il perchè tanto egli quanto la regina si
diedero sotto mano a tirare nel loro partito _Sforza Attendolo_[2513];
anzi persuasero al medesimo re che util cosa sarebbe il guadagnare
questo insigne capitano, perchè tuttavia molti conti e baroni del
regno tenevano la fazione angioina, alla quale, con levarle Sforza, si
sarebbono tagliate le penne maestre[2514]. _Braccio_ fu quegli che ebbe
l'incombenza di trattarne, proponendo un colloquio con esso Sforza. In
fatti, confidato Sforza nell'onoratezza di Braccio, animosamente l'andò
nella state a trovar nel suo campo. Rinnovarono allora questi due
valorosi emuli l'interrotta amicizia, e per due ore ebbero insieme una
conferenza, in cui dicono che Braccio sinceramente rivelò all'altro le
trame da lui fatte col _conte Niccolò Orsino_ e con _Tartaglia_ contra
di lui. Quivi ancora fu conchiuso che Sforza fosse rimesso in grazia
di Giovanni e d'Alfonso, cedendo loro l'importante luogo della Cerra.
Ciò fatto, si restituì Braccio sollecitamente a Perugia, invogliato
di sottoporre al suo impero Città di Castello, dove era invitato dai
fuorusciti. Comparve d'avanti a quella città colle sue milizie, e
giacchè i Fiorentini, suoi singolari amici, chiudevano gli occhi alle
di lui conquiste, ne imprese l'assedio. Si sostennero que' cittadini
finchè videro tutto preparato per un generale assalto, ed allora
esposero bandiera bianca; e così Braccio n'entrò senza maggiore sforzo
in possesso. Scrive il Buonincontro, ed è seco Leodrisio Crivello, che
in tal congiuntura Braccio fece un'irruzione in quel di Norcia, e poi
del Lucchese, ricavandone grandi somme d'oro. Ma, per conto del tempo,
può essere che s'ingannino. Abbiamo già veduto appartenere agli anni
addietro il danno da lui recato a que' due territorii. Intanto perchè
la peste era entrata in Napoli, e la regina col re Alfonso ritiratasi
a Gaeta, quivi soggiornava colla sua corte, Sforza si portò colà, e fu
ben ricevuto sì da lei, come dal gran senescalco Caracciolo. Non così
dal re Alfonso, che in questo prode uomo trovava un impedimento ai
disegni della sua ambizione. Le apparenze dell'accoglimento fattogli
da esso re furono belle, ma si stette poco a scoprire ch'egli il mirava
di mal occhio; e però tanto più la regina e il Caracciolo si strinsero
collo stesso Sforza. Andavano pertanto ogni giorno più crescendo le
loro gelosie, ed erano da amendue le parti gli animi turbati; laonde fu
di mestieri venire ad una composizione, per cui si dichiarò che Sforza
servisse di difensore del regno non meno alla regina, che al re, ed
egli fosse tenuto a prendere le armi pel primo d'essi che il chiamasse
in suo aiuto. Dopo di che Sforza colle sue genti andò a passare il
verno a Villafranca presso Benevento, e poscia alla città di Troia.
Altro non si sa che facesse in questo anno _Filippo Maria_ duca di
Milano, se non empiere di sospetti i rettori di Firenze[2515] sì per
l'acquisto fatto di Genova, come per gli altri patti stabiliti con
_Tommaso da Campofregoso_, che non potesse vendere se non ai Genovesi
Sarzana. Teneva inoltre al suo soldo _Angelo dalla Pergola_, rinomato
condottier di armi, che stanziava in questi tempi col suo corpo di
gente su quel di Bologna. Crebbero perciò le gelosie de' Fiorentini,
gente che sapea adoperare il microscopio negli affari del mondo.
Venuto in oltre a morte nel dì 25 di gennaio[2516] _Giorgio Ordelaffi_
signore di Forlì, con lasciar successore nel dominio _Tebaldo_ suo
figliuolo in età d'anni nove, la cui tutela fu assunta da Lucrezia
sua madre, figliuola di _Lodovico Alidosio_ signore d'Imola; corse a
mischiarsi negli interessi di quella città il duca di Milano. Di più
non ci volle per accrescere sempre più le gelosie de' Fiorentini; e
però, quantunque il duca spedisse a Firenze ambasciatori per dissipare
queste ombre, e proporre una lega, nulla ne seguì. Rincrebbe ancora ai
Fiorentini l'aver esso duca trattata e conchiusa lega col cardinale
legato di Bologna. Nel dicembre di quest'anno inviò il medesimo
duca per governatore di Genova[2517] il valoroso suo generale _conte
Carmagnola_, ed intanto attendeva a far gente: lo che mise in sospetto
anche i Veneziani. Scrive il Sanuto[2518] che Asti, non so come, venne
in quest'anno in potere di esso duca. Merita eziandio di esser fatta
menzione che nell'anno presente si cominciarono per la prima volta
a vedere in Italia i cingani o cingari, gente sporca ed orrida di
aspetto, che contava di molte favole della sua origine, fingeva di
andare a Roma a trovare il papa, e che intanto viveva di ladronecci.
Capitarono costoro a Bologna[2519] nel dì 18 di luglio, e poscia a
Forlì[2520] col loro capo, a cui davano il titolo di duca. Motivo
oggidì potrà essere di ridere, se dirò che costoro diceano d'avere per
patria l'Egitto, che il re d'Ungheria, dopo aver presa la lor terra,
volle che andassero nello spazio di sette anni pellegrinando pel mondo.
Spacciavano le lor donne l'arte d'indovinare; e chiunque si dimesticava
di farsi strologar da esse, vi lasciava il pelo. Sappiamo altronde che
questa canaglia si sparse per la Germania, e andò fino in Inghilterra,
e tuttavia ne dura la semenza in Italia. Furono in quest'anno
travagliate dalla peste molte città d'Italia. Niuna buona guardia,
come ho detto altrove, si faceva allora dai disattenti Italiani per
impedire l'ingresso o tagliare il corso a questo morbo micidiale; e
però, entrato in un luogo, agevolmente si dilatava per gli altri.
NOTE:
[2511] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2512] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2513] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2514] Cribell., Vita Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital. Vita Brachii, tom.
eod.
[2515] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 18.
[2516] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital. Ammirat., ubi supra.
Poggius, Hist., lib. 5, tom. 20 Rer. Ital.
[2517] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXIII. Indiz. I.
MARTINO V papa 7.
SIGISMONDO re de' Romani 14.
Se crediamo al Rinaldi[2521], terminò i suoi giorni in quest'anno
_Pietro di Luna_, già antipapa _Benedetto XIII_, ostinato nello
scisma, e sprezzatore dei decreti e delle censure della Chiesa
universale raunata nel concilio di Costanza. Morì nella fortezza di
Paniscola nel regno di Valenza; e l'avviso di sua morte avrebbe recata
somma allegrezza a papa Martino e alla corte romana, se non fosse
soppraggiunta un'altra nuova, che i due soli restanti cardinali di
lui aveano osato di eleggere un nuovo antipapa, cioè _Egidio Mugnos_
o Mugnone, canonico di Barcellona, a cui diedero il nome di _Clemente
VIII_. Ma il Rinaldi anticipò di un anno la morte di costui, e però
dirò il resto all'anno seguente. Basterà per ora sapere che _Alfonso
re d'Aragona_ quegli fu che per suoi politici motivi tenne sempre vivo
l'antipapato di Pietro di Luna per avere uno spauracchio da valersene
contra di papa Martino, a cui non cessava di chiedere esenzioni e
grazie. Anche nell'anno presente fece egli istanza per l'investitura
del regno di Napoli, giacchè la _regina Giovanna_ l'avea adottato
per figliuolo. Ma non mancò fermezza al pontefice per negargliela,
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