2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 166

Annali d'Italia 166


Anno di CRISTO MCCCCXVI. Indizione IX.
 
Sede di San Pietro vacante 2.
SIGISMONDO re de' Romani 7.
 
 
Spesero i Padri del concilio di Costanza questo anno in varii
regolamenti spettanti alla disciplina ecclesiastica, in trattati
per istaccar la Castiglia dall'antipapa _Benedetto_, e in citare lui
stesso al concilio, e in processar gli eretici ussiti, senza parlare
dell'elezion d'un nuovo romano pontefice, premendo loro, se mai si
potea, di riportar la cessione d'esso antipapa, per procedere poi
più francamente a dare un indubitato papa alla Chiesa di Dio. Ma
l'ambizioso Pietro di Luna, che sì belle sparate avea talvolta fatto
d'essere pronto alla cessione, quanto più mirava abbattuti i due
suoi competitori, tanto più si confermava nella risoluzione di voler
morire papa. Intanto non mancavano all'Italia guerre e rivoluzioni.
_Braccio da Montone_, capitano del già papa _Giovanni XXIII_, avea
tenuta fin qui a freno la città di Bologna colle armi sue[2419]. Ma
dacchè s'intese la caduta d'esso pontefice, ripigliarono i Bolognesi
l'innato desiderio della lor libertà. Nel dì 5 di gennaio dell'anno
presente diedero esecuzione ai loro disegni, coll'avere _Antonio_ e
_Batista de' Bentivogli_, e _Matteo da Canedolo_ levato rumore, per
cui tutto il popolo corse all'armi. Fu lasciato uscire il vescovo di
Siena, che v'era governatore per la Chiesa; ma andò tutto il suo avere
a saccomano. Udita questa nuova, Braccio, che si trovava a castello San
Pietro, s'avviò tosto alla volta di Bologna colle sue genti, credendosi
di ingoiarla, e d'arricchir colla preda i suoi. Trovati i cittadini
bene in punto, e risoluti di difendere il ricuperato libero stato,
capitolò con essi, e forse anche prima era d'accordo con loro; e dopo
aver da essi ricevuto in termine di tre mesi un donativo di ottantadue
mila fiorini d'oro, li lasciò in pace, e andossene a portar la guerra
contro la sua patria Perugia, di cui con altri nobili era fuoruscito.
Allora fu che rientrò in Bologna una gran copia di nobili cacciati in
esilio sotto il rigoroso pontificio governo precedente, e cessarono le
gran faccende che in addietro avea il carnefice in quella città. Nel
dì 6 d'aprile ebbero il castello della porta di Galiera per dieci mila
fiorini, dati a messer Bisetto da Napoli parente del fu papa Giovanni
XXIII, e non perderono tempo a smantellarlo. Furono loro restituite
anche le castella che teneva Braccio. Gran festa ed allegria si fece
per più dì in Bologna per questa mutazione di stato.
 
Marciò intanto il valoroso Braccio alla volta di Perugia sua patria
con quattromila cavalli e molta fanteria, per rientrar colla forza
in quella città. Molte battaglie, molti assalti succederono, avendo
i Perugini della fazion contraria fatto ogni sforzo per la loro
difesa. Gian-Antonio Campano vescovo di Teramo diffusamente, ma non
senza adulazione, lasciò scritte tutte le imprese di questo celebre
capitano[2420], col difetto ancora comune a molti altri storici di quel
secolo, cioè di non accennar gli anni: cosa di molta importanza per
la storia. Si trovavano alle strette i Perugini; e conoscendo di non
poter oramai più resistere a sì feroce nemico, misero le loro speranze
in _Carlo Malatesta_ signor di Rimini, accreditato condottier d'armi
di questi tempi. L'offerta di molto danaro, e molto più l'avergli
fatto credere che il prenderebbono per loro signore, cagion fu che
egli s'impegnò a sostenerli contro del loro concittadino. Raunata
dunque la maggior copia di cavalli e fanti che potè, si mosse a
quella volta, avendo seco _Angelo dalla Pergola_ con altri capitani,
ed aspettando ancora che _Paolo Orsino_ con altra gente venisse ad
unirsi con lui. Era giunto su quel d'Assisi, e in vicinanza del Tevere,
quando Braccio, sotto di cui militava _Tartaglia_, rinomato condottier
d'armi, premendogli non poco che il Malatesta non arrivasse a darsi
mano coi Perugini, gli andò incontro a bandiere spiegate, e nel dì
7 di luglio (il Bonincontro scrive[2421] nel dì 15) gli presentò la
battaglia. Durò questa sette ore con bravura memorabile d'entrambe le
parti; ma perchè, secondo alcuni, era inferiore, non già di coraggio,
ma di gente l'armata di Carlo Malatesta, ad essa toccò di soccombere.
Rimase prigione lo stesso Carlo, con Galeazzo suo nipote e molti
altri nobili[2422]. Il Campano scrive che circa tre mila cavalieri
prigionieri vennero alle mani di Braccio. Dio sa se neppure tanti ne
avea condotti in campo il Malatesta, al quale fu imposta la taglia di
cento mila fiorini d'oro, e trenta mila a suo nipote. Dopo molti mesi,
a nulla avendo servito le raccomandazioni dei Veneziani, si riscattò
Carlo con pagarne settanta mila. Il Sanuto scrive solamente trenta
mila[2423]. Ma egli trovò la maniera di far danaro, con apporre a
Martino da Faenza, uomo ricchissimo e che militava per lui, un reato
di tradimento, per cui lo spogliò non solo del contante, ma anche della
vita. _Pandolfo Malatesta_ signor di Brescia suo fratello, giacchè era
seguita tregua fra lui e il duca di Milano, con quattro mila cavalli e
molti pedoni si portò a Rimini; ma a nulla giovò il suo arrivo colà, se
non ad impedire che Braccio non occupasse più castella ai Malatesti di
quel che fece.
 
Imperciocchè Braccio dopo questa vittoria maggiormente s'ingagliardì;
e i Perugini, presi da somma costernazione, altro ripiego non ebbero
che quello di spedire a lui ambasciatori per offerirgli la signoria
della città, e pregarlo di usar la clemenza verso de' concittadini
suoi. Nel dì 19 di luglio fece egli armato la sua solenne entrata
in quella città, trattò amorevolmente i nuovi sudditi, e cominciò un
plausibil governo in quel popolo. Avea testa da far tutto. E perciocchè
seppe che Paolo Orsino colle sue truppe era giunto a Colle Fiorito,
mandò innanzi Tartaglia con un corpo d'armati, e con un altro gli
tenne dietro[2424]. L'Orsino nel dì 5 d'agosto attorniato, quando men
sel pensava, dai nemici, lasciò la vita sotto le spade di _Lodovico
Colonna_, di Tartaglia e di altri, che gli voleano gran male. Pure
ne avrebbono fatta aspra vendetta i suoi soldati, che corsero alle
armi, ed aveano già ridotto Tartaglia in male stato, se non fosse
sopravvenuto il rinforzo di Braccio, per cui rimasero disfatti e
quasi tutti presi. S'impadronì poscia Braccio di Rieti, di Narni e di
alcune castella dei Malatesti: tutte imprese che consolarono non poco
i Perugini, per avere acquistato, benchè loro malgrado, un signore
che accresceva lo splendore e dominio della loro città. Venne a morte
nel dì 20 di settembre _Malatesta_ signor di Cesena, e fratello di
_Carlo_ e di _Pandolfo_. E circa lo stesso tempo, se abbiamo da credere
agli Annali di Forlì[2425], terminò i suoi giorni _Gian-Galeazzo de'
Manfredi_ signor di Faenza, a cui nella signoria succedette _Guidazzo_
suo figliuolo. Ma, secondo altra Cronica, egli mancò di vita solamente
nell'anno seguente. Benchè il Corio[2426], siccome accennai, metta
nell'anno precedente la tregua maneggiata dagli oratori veneti fra il
duca di Milano e i collegati, cioè _Pandolfo_ e _Carlo Malatesti_, il
_marchese di Ferrara_ e i signori ossia tiranni di _Lodi_, _Cremona_,
_Piacenza_ e _Como_; pure il Sanuto[2427] la riferisce all'anno
presente. L'anno poi fu questo che _Filippo Maria duca_ suddetto,
avendo con belle parole fatto venire a Milano _Giovanni da Vignate_
signor di Lodi, ordinò, nel dì 19 d'agosto, che fosse preso e messo in
una gabbia di ferro nella città di Pavia, dove nel dì 28 d'esso mese
fu ritrovato morto, e si fece spargere voce che, percotendo il capo
nei ferri, si era ucciso, senza averne obbligazione al boia. Intanto,
spedito l'esercito a Lodi, tornò quella città all'ubbidienza del duca.
La morte di costui mise a partito il cervello di _Lottieri Rusca_
occupator di Como, in maniera che mandò a trattare di rendere al duca
quest'altra città, purchè gli lasciasse Lugano con titolo di contea,
e ne ricevesse quindici mila fiorini d'oro in dono. Così fu fatto, e
Como ubbidì da lì innanzi al duca. Aggiugne il Sanuto che nel novembre
di questo medesimo anno esso duca spedì le sue genti all'assedio di
Trezzo: per le quali novità i Veneziani, mediatori della tregua fatta,
pretesero ch'egli l'avesse rotta, e fosse incorso nella pena di trenta
mila fiorini d'oro; e per questo gli spedirono ambasciatori. Ma il duca
non lasciò di continuar la sua impresa. Nè sussiste, come scrive il
Sanuto, che egli occupasse Bergamo in quest'anno. Ciò succedette nel
1419.
 
Pagò in quest'anno _Jacopo dalla Marca_ re di Napoli la pena
dell'ingratitudine sua verso la _regina Giovanna_ sua moglie[2428].
L'avea ella posto sul trono, ed egli la trattava come una fantesca,
con averla privata non solo di ogni autorità, ma anche della libertà,
tenendola ristretta nel palazzo. Ne fecero rispettose doglianze i
Napoletani, ma senza frutto. _Giulio Cesare di Capua_, uno dei primi
baroni, si esibì alla regina di uccidere il re[2429]. Credendo ella
d'acquistarsi la grazia del marito, gli rivelò il fatto, per cui
l'infelice barone fu decapitato. Dovea quest'atto di amore ispirare
al re sentimenti di più umanità verso della consorte; pure non si
mutò registro con lei. Parve ai Napoletani che fosse oramai tempo
d'insegnar le leggi dell'onore e le creanze a questo ambizioso ed
ingrato principe. Avendo dunque la regina ottenuto per grazia speciale
di potere, nel dì 13 di settembre, uscire per andare a pranzo ad un
giardino di un Fiorentino, allorchè si fu condotta colà, fu levato
rumore, e il popolo in armi cominciò a gridare: _Viva la regina
Giovanna_. _Ottino Caracciolo_, che era il maggior favorito d'essa
regina, con altri baroni, la menò al castello di Capuana. Il re Jacopo
si trovava allora senza le sue genti d'armi, perchè le aveva inviate in
Abbruzzo contro ai ribelli; e però se ne fuggì nel castello dell'Uovo.
Fece la regina assediar questo castello, e parimente Castello nuovo. Si
interposero persone per accordo, e questo seguì con restare obbligato
il re a deporre il titolo di re, contentandosi di quello di principe
di Taranto e di vicario del regno; e ch'egli mandasse fuori d'esso
regno tutti i Franzesi, soldati o cortigiani, a riserva di quaranta; e
che liberasse _Sforza_ dalla prigione. Si eseguì il trattato. Sforza,
messo in libertà, ripigliò il grado di gran contestabile; e _Ser-Gianni
Caracciolo_ dipoi ottenne quello di gran siniscalco. Universal credenza
fu che a Sforza salvasse la vita un atto coraggioso di Margherita sua
sorella, maritata con Michele da Cotignola. Trovavasi essa a Tricarico
col marito, e con varii altri parenti di Sforza, che tutti militavano
con gran riputazione nel corpo delle di lui truppe, e cominciarono
a far guerra al regno, dacchè ebbero intesa la prigionia di Sforza
amato loro capo. Mandò il re Jacopo alcuni nobili a trattar con essi
d'accordo, minacciando di far morire Sforza, se non rendeano Tricarico.
Margherita comandò che s'imprigionassero gli ambasciatori: il che
cagionò che i lor parenti facessero istanza al re di non incrudelir
contro di Sforza, per non vedere condannati alla pena del taglione
i loro congiunti. Furono ancora liberati dalle carceri alcuni altri
parenti di Sforza, ma non già per allora _Francesco_ di lui figliuolo,
che Jacopo volle ritener come ostaggio della fede del padre. Era
stato questo valoroso giovane paggio in corte di _Niccolò marchese_
di Ferrara, ed allorchè Sforza suo padre passò al servigio del _re
Ladislao_, fu chiamato colà, dove attese a fare il noviziato della
milizia, ed avea già conseguite in dono alcune castella. Non si fermò
qui la fortuna di Sforza; perchè la regina, affine di maggiormente
unirlo ai di lei interessi, gli donò Troia con assai altre terre, e
a Francesco suo figliuolo, in vece di Tricarico, concedette Ariano
ed altri luoghi. Nel dì primo di aprile dell'anno presente mancò di
vita _Ferdinando_ re d'Aragona, Sardegna e Sicilia[2430], ed ebbe
per successore _Alfonso_ suo figliuolo, le cui imprese occuperanno da
qui innanzi molti anni di questa storia. Mostrò egli non minore zelo
del padre per rendere la pace ed unione alla Chiesa di Dio. Nel dì 26
di febbraio di quest'anno[2431], passando _Sigismondo re_ de' Romani
per Sciamberì, eresse in ducato la contea di Savoia; laonde _Amedeo_,
signor di quelle contrade e di parte del Piemonte, cominciò ad usare il
titolo di duca, che s'è poi continuato nei successori suoi colla giunta
ai dì nostri del regale.
 
NOTE:
 
[2419] Matth. de Griffonib., Chron., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
 
[2420] Campanus, in Vita Brachii, tom. 19 Rer. Italic.
 
[2421] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2422] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2423] Sanuto, Istor. Venet., tom. eod.
 
[2424] Antonii Petri Diar., tom. 24 Rer. Ital.
 
[2425] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2426] Corio, Istoria di Milano.
 
[2427] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2428] Giornal. Napolit., tom. 21 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
eod.
 
[2429] Cribell., Vit. Sfortiae, tom. 19 Rer. Ital.
 
[2430] Theodoricus de Niem, in Johanne XXIII. Surita, Marian., et alii.
 
[2431] Guichenon, Hist. de la Maison de Savoye, tom. 1.

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