2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 173

Annali d'Italia 173


asserendo egli di non poter far questo torto a _Lodovico d'Angiò_, a
cui competevano giusti titoli sopra quel regno. Avea esso pontefice,
per adempiere i decreti del concilio di Costanza, intimato il concilio
generale da tenersi in questo anno a Pavia. E in effetto si diede
principio a quella sacra assemblea in essa città, ma con meschino
concorso di prelati. Entrata colà la peste, fu il concilio trasferito
a Siena. Neppur quivi andò innanzi, siccome diremo, perchè il suddetto
re volea mettere in campo le pretensioni di Pietro di Luna per far
dispetto al papa: lo che obbligò papa Martino a differire a miglior
tempo la tenuta del destinato concilio. Di questa sua perversa politica
s'ebbe ben presto a pentire Alfonso. Quanto più in questo principe
cresceva l'avidità d'impadronirsi del regno di Napoli, tanto più egli
scorgeva crescere la diffidenza della regina, ed essergli contrario
il gran senescalco Caracciolo. Ora, giacchè buona parte del regno per
valore di _Braccio_ era venuta alla di lui divozione, determinò di fare
il resto col mezzo della violenza, e di ridurre la _regina Giovanna_
nello stato in cui già la vedemmo sotto _Jacopo conte_ della Marca. Gli
storici a lui parziali attribuiscono la risoluzione alle insolenze e
ai maligni consigli del suddetto gran senescalco Caracciolo, che ruppe
ogni buona armonia fra lui e la regina[2522]. Fatto dunque chiamare a
sè il medesimo Caracciolo, benchè vi andasse armato di salvocondotto,
pure il trattenne prigione nel dì 22 di maggio, ed immediatamente
cavalcò al castello di Capuana per far lo stesso giuoco alla regina,
che ivi dimorava. Per buona fortuna prevenuta essa da un segreto
avviso di un suo familiare dell'imminente pericolo, ebbe tempo di far
chiudere la porta del castello in faccia ad Alfonso, e non tardò a
spedir più messi l'un dietro all'altro, a _Sforza_, allora dimorante
fuor di Napoli a Mirabello, implorando il suo aiuto. Diede alle armi
Sforza, e, raunati quanti potè de' suoi, si mise in viaggio alla volta
di Napoli, e, giunto al Formello, trovò circa quattro mila tra cavalli
e fanti del re Alfonso, inviati per impedirgli il passo. Erano gli
Aragonesi tutti ben a cavallo, tutti superbamente vestiti, e superiori
troppo di numero, perchè quei di Sforza si trovavano mal vestiti, e
con cavalli magrissimi, e poco più di mille tra fanti e cavalli. Pure
egli animosamente si spinse innanzi, ed attaccò la zuffa nel dì 30 di
maggio. Fu atroce, fu lungo il combattimento; ma finalmente essendo
sbaragliati gli Aragonesi, circa cento venti dei più nobili, oltre a
moltissimi ordinarii soldati, rimasero prigionieri; di modo che quei di
Sforza si rimisero bene in arnese sì di abiti che di cavalli e d'armi.
 
Dopo sì lieto successo _Sforza_ si presentò alla regina, che l'accolse
come suo angelo tutelare, e nel castello rassegnò tutti i prigioni.
Poscia, senza perdere tempo, marciò colle sue genti alla volta
d'Aversa, dove trovò quel vice-castellano catalano[2523], il quale,
sbigottito per la nuova della rotta data al re suo padrone, oppure
guadagnato con quattro mila fiorini, da lì a non molto capitolò la resa
di quella città. Ora, mentre Sforza stava a quell'assedio, giunsero
nel dì 11 di giugno a Napoli otto navi grosse e ventidue galee di
_Alfonso_, nelle quali destinava il re di mandar la _regina Giovanna_
prigioniera in Catalogna[2524]. Ne fu avvertito Sforza, e spedì tosto
Foschino Attendolo con cinquecento cavalli a fin d'impedire lo sbarco;
ma non bastò la resistenza di così piccolo numero di gente a sostener
la forza troppo superiore dei Catalani, i quali entrarono nella
città. Neppur lo stesso Sforza, che colà arrivò il giorno seguente,
contuttochè bravamente combattesse più ore, potò respignerli; anzi
toccò a lui d'abbandonar Napoli, e di ritirarsi nei borghi, dove
si accampò. In questa occasione il _re Alfonso_, per intimorire ed
occupare i Napoletani, temendo che si sollevassero, bruciò quella
parte della città che è contigua al Castello Nuovo. Allora Sforza,
veggendo in istato sì pericoloso gli affari, tratta fuori del castello
di Capuana la regina, la condusse alla Cerra, e di là ad Aversa.
Col cambio poi di varii dei suoi prigionieri riscattò _Ser-Gianni
Caracciolo_, il quale non lasciò per questo il suo mal animo verso del
benefattore Sforza; al contrario della regina, la quale per ricompensa
donò a Sforza Trani e Barletta, due città della Puglia. Tornato che fu
il gran senescalco alla corte in Aversa, la _regina Giovanna_, preso
consiglio da lui, da Sforza e da varii giurisconsulti, dichiarò il _re
Alfonso_ decaduto dal diritto della figliuolanza per colpa della sua
ingratitudine, ed elesse per suo figliuolo _Lodovico duca d'Angiò_,
il quale usava anche il titolo di re, allora abitante in Roma. Venne
il duca ad Aversa a trovar la regina, che l'accolse con buon cuore;
ma intanto il castello di Capuana si rendè al re Alfonso; con che egli
restò interamente padrone di Napoli. Con tutto ciò, perchè l'adozione
del suo avversario, pubblicata per tutta l'Europa, facea gran rumore,
e chiaro appariva che vi avea avuta mano _papa Martino_, Alfonso,
diffidando del popolo di Napoli, pensò di tornarsene in Catalogna;
e tanto più, perchè era minacciato di guerra in quelle parti per la
nemicizia dei Castigliani, e in oltre s'udiva allestirsi in Genova un
gagliardo stuolo di legni contra di lui per ordine di _Filippo Maria
duca_ di Milano, che dianzi s'era collegato colla regina Giovanna e
con papa Martino. Pertanto mandò lettere a _Braccio_, ch'era allora
all'assedio dell'Aquila, pregandolo di venir colle sue forze a
Napoli; ma Braccio, che avea altri disegni, sperando di far sua la
ricca città dell'Aquila, muovere non si volle, e solamente gl'inviò
_Jacopo Caldora_ con un corpo di gente che parve bastante unito coi
Catalani a tenere in freno i Napoletani[2525]. Ora il re Alfonso nel
dì 15 d'ottobre, avendo lasciato per governatore di Napoli l'infante
_don Pietro_ suo fratello, con dieciotto galee si mise in mare, e nel
viaggio prese e saccheggiò l'isola d'Ischia. Fece ancora di peggio.
Nel passare avanti a Marsilia, città allora del duca d'Angiò nemico
suo, per vendicarsi di lui, all'improvviso tentò un'impresa che parve
temeraria, eppure gli riuscì: tanto era egli ardito e sprezzator
de' pericoli. Se ne stavano i Marsiliesi senza guardia, perchè senza
apprension di nemici all'intorno, quando ecco Alfonso sopravvenir colla
sua flotta, rompere la catena del porto, sorprendere quanti legni ivi
si trovarono, ed attaccato il fuoco a parte della città, mettere tal
terrore in essa, che il popolo corso all'armi non potè durarla contro
di lui. Per tre giorni andò tutta a sacco quella ricca città; immensa
fu la preda, e fra le altre cose tutti i vasi preziosi delle chiese, e
tutte le reliquie del corpo di san Lodovico vescovo furono asportate
a Barcellona e Valenza, verso dove Alfonso continuò il suo viaggio,
perchè conobbe di non poter tenere quella città.
 
Vegniamo ora a _Braccio da Montone_[2526]. Dacchè egli si vide in
pieno possesso della nobil città di Capoa e del suo riguardevol
principato, siccome uomo pien di grandi idee, e che, appena salito
un gradino, pensava a montare più allo, rivolse gli occhi, siccome
dicemmo, alla ricca città dell'Aquila; e perchè questa si dichiarò
del partito della regina contra del re Alfonso, bella occasione parve
a lui questa d'impadronirsene, con isperanza, avuta che l'avesse,
di non dimetterla sì presto, anzi di aggiugnerla al suo principato.
Ne imprese dunque l'assedio, ma con trovare quel popolo risoluto di
difendersi. E perchè egli per soggiogare una terra si ritirò di là
per alquanti dì, lasciò campo a quei cittadini di premunirsi ben di
viveri, e di rimettere in buono stato le fortificazioni della loro
città. Però, tornatovi sotto, con più ardore la strinse; e trovando
inutili, anzi dannosi, gli assalti, si preparò in fine a vincerla colla
fame. Intanto gli Aquilani con varie lettere e messi imploravano aiuto
dalla _regina Giovanna_. La commiserazione di quel popolo fedele, e
più la conservazione di sì importante città per proprio interesse,
furono pungenti sproni alla regina per accudir con vigore a preparare
il soccorso. Fu mosso _Sforza_ a questa impresa non meno dalle di
lei premure, che dalla antica sua emulazione verso di Braccio. Però,
quantunque il verno imminente invitasse le milizie al riposo, egli
chiamò il figliuol _Francesco_ dalla Calabria, Foschino, Michele e gli
altri suoi fidi Cotignolesi colle loro truppe, e si mise in marcia alla
volta dell'Aquila con quel successo che si vedrà all'anno seguente.
Scrive il Crivelli[2527] avere _Filippo Maria duca_ di Milano già fatto
negozio per tirare lo stesso Sforza al suo servigio, e sostituirlo nel
generalato al _conte Carmagnola_, il quale già vacillava nella grazia
del duca; e che Sforza avea accettato l'impiego di consenso del papa
e della regina, pensando di portarsi a Milano, dacchè avesse liberata
l'Aquila. Non so io immaginare ch'egli volesse abbandonare il servigio
della regina per altra cagione che per vedersi tuttavia malvoluto e
perseguitato dal gran senescalco Caracciolo. Erasi, come già dissi,
collegato esso duca di Milano col papa e colla regina Giovanna[2528].
Alle istanze loro fece egli allestire in Genova una poderosa flotta
di tredici galee, e di altrettante navi con altri legni, non senza
querele de' Genovesi, perchè questo armamento costò a quella comunità
ducento mila genovine. Con questa flotta, nel dì 14 di novembre, si
unirono sei galee e una galeotta del _re Lodovico_ di Angiò, armate di
Provenzali, e due altre alle di lui spese si armarono in Genova. Quando
si credeva che ammiraglio di essa flotta avesse da essere l'invitto
conte Francesco Carmagnola governatore allora di Genova, arrivò colà,
spedito dal duca per comandarla il _conte Guido Torello_: del che
ognuno si stupì e dolse non poco. A noi sono ignoti i motivi per li
quali s'era raffreddato l'amore del duca verso del Carmagnola, mirabile
condottier d'armi, a cui principalmente dovea esso duca l'esaltazione
sua. Certo è che di questa diffidenza e di tal trattamento si dolse
e sdegnò oltre misura il Carmagnola, nè tarderemo molto a vederne
gli effetti. Non si dee tacere che prima di questi tempi lo stesso
duca, siccome principe che macinava sempre pensieri di maggiore
ingrandimento, cominciò ad imbrogliar la quiete della Romagna. Già
vedemmo dopo la morte di _Giorgio Ordelaffo_ signore di Forlì preso
il comando di quella città da Lugrezia figliuola del signor d'Imola
a nome di _Tebaldo_ suo picciolo figliuolo[2529]. S'aveano a male i
Forlivesi che gl'Imolesi concorsi colà in folla facessero addosso a
loro i padroni. S'ebbe anche a male il duca di Milano, che Lugrezia
non si volesse dipartire dall'amicizia de' Fiorentini, e passar nella
sua lega. Laonde, nel dì 14 di maggio, il popolo di Forlì si mosse a
rumore, prese le porte e le fortezze della città, e mise sotto buona
guardia la suddetta Lugrezia, la qual poi ebbe la maniera di ritirarsi
a Forlimpopoli, con aver fatto credere di voler consegnare quella terra
alle genti del duca di Milano. Allora i Forlivesi chiamarono in aiuto
le genti d'esso duca, comandate da _Angelo dalla Pergola_, le quali,
entrate in quella città, fecero finta d'andarvi a nome del papa, oppure
di _Niccolò marchese_ di Ferrara, e di guardarla pel fanciullo Tebaldo.
Certo è che allora il papa e il duca passavano di buona intelligenza
fra loro. Diedero perciò all'armi i Fiorentini[2530]; e preso per loro
generale, nel dì 23 d'agosto, _Pandolfo Malatesta_ signore di Rimini,
lo spedirono in Romagna con assai forze per sostenere il partito di
Lucrezia. Tacque l'Ammirati, ma non tacquero già gli Annali di Forlì,
nè Andrea Biglia[2531], che nel dì 6 di settembre il popolo di Forlì
con presidio duchesco mise in rotta le genti dei Fiorentini, con farne
prigioniera la metà d'esse: lo che fece maggiormente divampar la guerra
tra il duca e i Fiorentini, i quali cercarono allora di collegarsi coi
Veneziani[2532]. Spedirono per questo ambasciatori a Venezia; ma non
trovarono favorevole alle lor dimande _Tommaso Mocenigo_ doge, uomo
vecchio ed amante della pace. Curiosissime sono le aringhe di questo
doge, rapportate dal Sanuto, perchè ci fan tra le altre cose vedere
qual fosse allora l'opulenza dell'inclita città di Venezia, e quali le
forze di cadauno dei principi che allora signoreggiavano in Italia. Ma
poco stette a terminare la gloriosa sua vita il doge suddetto, essendo
venuto a morte nell'aprile di quest'anno, e in suo luogo fu eletto
_Francesco Foscaro_, personaggio inclinato alla guerra.

댓글 없음: