Annali d'Italia 153
pel duca di Milano. Fu invitato nel seguente aprile anche il _marchese
Niccolò_ _Estense_ signor di Ferrara e Modena dai cittadini di Reggio,
desiderosi di sottomettersi al placido di lui governo. Vi spedì egli le
soldatesche sue sotto il comando di Uguccion de' Contrarii, di Sforza
Attendolo, ch'egli avea preso ai suoi servigi, e d'altri valorosi
capitani. Nel primo giorno di maggio quel popolo assediato levò rumore,
e, prese le armi, si diede al marchese. Entrarono le sue genti in
Reggio, formarono anche l'assedio della cittadella; ma ciò saputosi
da Ottobuon Terzo, si dispose per soccorrer quella città, mostrando
di farlo a nome del duca di Milano; e sotto questo colore s'impadronì
ancora di quella città, dalla quale si ritirarono per tempo le milizie
estensi. Nè tardò costui a far delle irruzioni e de' fieri saccheggi
nel territorio di Modena. Ma fra gli altri gravissimi sconcerti
del ducato milanese, orrido fu quello della discordia nata fra il
giovinetto _duca Giovanni Maria_ e _Caterina duchessa_ sua madre, già
figliuola di _Bernabò Visconte_. Ritiratasi questa a Monza, Francesco
Visconte, allora prepotente, segretamente inviò colà gente armata,
che introdotta nella notte del dì 15 d'agosto in quella nobil terra,
prese la duchessa, la condusse nel castello di Milano, dove da lì a
poco tempo diede fine alla vita, e comunemente fu creduto per veleno.
Se v'ebbe parte il duca suo figliuolo, come alcuni vogliono, Dio non
aspettò a punir questo gran misfatto nell'altra vita. Poco mancò che
_Pandolfo Malatesta_, trovandosi colla duchessa in essa terra di Monza,
non fosse anch'egli preso. Ebbe la fortuna di salvarsi scalzo sino
a Trezzo, da dove poi si ridusse a Brescia. Forse la cessione a lui
fatta di Brescia fu uno de' reati della duchessa medesima. Abbiamo da
Sozomeno[2237] che anche il giovinetto _Filippo Maria Visconte_, che
già vedemmo conte di Pavia, fu in questo anno carcerato da Zacheria
potente cittadino di quella città. Prevalendosi di questo buon tempo
anche _Teodoro marchese_ di Monferrato, occupò ad esso Filippo Maria le
città di Vercelli e Novara con altre terre del Piemonte. Alcune terre
ancora vennero in potere del marchese di Saluzzo. Ecco dunque tutto
in conquasso, anzi quasi affatto per terra la dianzi sì formidabil
signoria de' Visconti.
Durava tuttavia l'odio di _Alberico conte_ di Barbiano contra di
Astorre dei Manfredi signor di Faenza, nulla men volendo che lo
sterminio di lui[2238]. Egli era divenuto più poderoso per l'acquisto
di Castel Bolognese e d'altri luoghi di Romagna dopo la guerra di
Bologna; e però, continuando le ostilità contra di lui, il ridusse
a tale, che per non cadere in mano di questo inesorabil nimico,
ceduta Faenza al _cardinal Cassa_ legato di Bologna per venticinque
mila fiorini d'oro, colle lagrime agli occhi si ritirò a Forlì sotto
la protezione di _Carlo Malatesta_ suo parente; poscia ad Urbino,
dove abitò in molta povertà, perchè non colse il danaro promessogli
dal legato, uomo per altri conti di poca fede. In Toscana[2239] i
Fiorentini, veggendo in sì fiero scompiglio lo Stato de' Visconti,
entrarono in isperanza di conquistar Pisa, massimamente per un
secreto trattato che ivi aveano manipolato con alcuno di que' potenti
cittadini. Signore allora di Pisa era _Gabriello Maria Visconte_
figliuolo del defunto duca, ma uomo di poco senno, il quale, in vece
di conciliarsi sul principio l'affetto del popolo, se ne tirò addosso
l'odio a cagion delle sue estorsioni. L'armata de' Fiorentini andò
fin sotto Pisa, ma, non essendosi fatto movimento alcuno in quella
città, sfogò il suo sdegno contra del contado. Mirava, ciò non
ostante, Gabriello Maria vacillante il suo dominio, senonchè gli facea
coraggio _Bucicaldo_ spinto da' Genovesi, anzi l'indusse a rendersi
tributario del re di Francia, e a cedergli Livorno per godere della di
lui protezione. E perciocchè i Fiorentini, di tal cessione avvisati
da Bucicaldo, pareano farsi beffe delle sue minaccie, fece questi
sequestrar tutte le loro mercatanzie esistenti in Genova, ed ascendenti
al valore di cento cinquanta mila fiorini d'oro. Servì questo buon
ripiego a far sì che i Fiorentini conchiusero una tregua col signore di
Pisa. Aveano già i Sanesi[2240] ricuperata in parte la lor libertà; ma
solo in quest'anno pienamente se ne misero in possesso con licenziare
_Giorgio del Carretto_ governatore in addietro di quella città, e
stabilirono pace coi Fiorentini. Ricuperarono dipoi molte delle loro
castella, restando solamente guerra fra loro e i Salimbeni potenti
cittadini e padroni di varie altre terre. Tanto poi fece in quest'anno
il suddetto Bucicaldo governatore di Genova[2241], che indusse buona
parte di quel popolo a dare ubbidienza all'_antipapa Benedetto_;
e se ne fece il pubblico atto nel dì 26 d'ottobre coll'intervento
dell'arcivescovo, clero e popolo. Ma alcuni de' più timorati di Dio
si assentarono per questo da Genova. Finì i suoi giorni nell'aprile
dell'anno presente[2242] _Antonio conte d'Urbino_, di Cagli e di
Gubbio, signore di molta saviezza e valore. Ebbe per successore _Guido
Antonio_ suo figliuolo. Ma il più strepitoso avvenimento di quest'anno,
tanto imbrogliato in Italia, fu la guerra mossa da _Francesco da
Carrara_ signore di Padova alle città del ducato di Milano, cioè a
Vicenza e Verona. Moltissimi furono i fatti che esigerebbono un lungo
filo di storia. Ne darò io solamente un breve compendio[2243]. Nel
mese di gennaio i Vicentini condotti da _Taddeo del Verme_ fecero
un'irruzione sul Padovano fino a Tencaruolo. Ma uscito il Carrarese
col suo popolo, li mise in rotta con farne prigione mille e ducento.
Con sei mila cavalli dopo la metà di febbraio fu spedito contra di lui
_Facino Cane_. Andatogli a fronte Francesco da Carrara, coi serragli
e colle buone guardie il tenne a bada, tanto che, ottenuto di potersi
abboccare con lui, seppe tanto dirgli colla giunta di un mulo carico
di fiaschi di vino, ma creduti dai più ripieni di fiorini d'oro,
mandatogli in dono, che Facino, mosso ancora dal fiero sconvolgimento
delle altre città dello Stato di Milano, nel dì 20 di marzo se ne tornò
indietro, per tentare anch'egli in suo pro qualche buona preda, siccome
abbiam detto che succedette.
Preparossi dunque il Carrarese a portare negli Stati nemici la guerra,
senza voler badare ad un'ambasceria dei Veneziani, che venne per
trattare di pace.
A questo uffizio era mosso il senato veneto dagl'impulsi della duchessa
di Milano, e insieme dal proprio interesse di Stato, non potendogli
piacere che s'ingrandisse la casa di Carrara, in addietro sì nemica
e nociva al suo dominio. Avea il signore di Padova seco _Guglielmo_
bastardo della casa dalla Scala co' suoi figliuoli _Brunoro_ ed
_Antonio_, i quali teneano corrispondenze segrete co' Veronesi, non
mai dimentichi e tuttavia amanti della casa Scaligera. Vuole Andrea
Gataro che convenissero insieme intorno alle conquiste. Vicenza doveva
essere del Carrarese, Verona dello Scaligero. Comunque sia, nel dì 30
di marzo mosse Francesco da Carrara l'esercito suo, con cui il genero
suo _Niccolò Estense_ marchese di Ferrara andò ad unir le sue milizie;
e dopo aver tentato alquanti giorni l'acquisto del castello di Cologna,
che fece gagliarda resistenza, e col tempo capitolò, nella notte
precedente il dì 8 di aprile, si presentò alle mura di Verona, e parte
per le scale, parte per due rotture introdusse le genti sue in quella
città, gridando: _Scala, Scala, viva messer Guglielmo dalla Scala.
Ugolotto Biancardo_ e _Bartolomeo da Gonzaga_ capitani del duca di
Milano colla lor guarnigione si ritirarono nella cittadella, a cui fu
immantinente posto l'assedio. _Guglielmo dalla Scala_, benchè fosse, se
crediamo al Gatari, da molto tempo indisposto di salute, fu proclamato
signor di Verona. Perchè non era ben fornita di viveri la cittadella,
Ugolotto Biancardo capitolò poi la resa, se per tutto il dì 27 d'aprile
non gli fosse venuto soccorso. Intanto nel dì 21 d'esso mese Guglielmo
dalla Scala finì di vivere. Il Gatari scrive di morte naturale; ma i
più credettero che il veleno datogli dal Carrarese gli abbreviasse
la vita. In luogo suo furono eletti signori di Verona _Brunoro_ ed
_Antonio_ suoi figliuoli. Nel qual tempo _Francesco Gonzaga_ signor
di Mantova occupò Ostiglia e Peschiera, terre del Veronese. Mentre
queste cose accadevano in Verona, _Francesco III_ primogenito del
Carrarese andò col popolo di Padova a stringere d'assedio la città
di Vicenza, sotto di cui seguirono tosto alcuni combattimenti con
isvantaggio de' Vicentini. Ma sul più bello arrivò impensato accidente
che disturbò tutta l'impresa. A nome della duchessa di Milano, che
tuttavia comandava in questo tempo, era andato Jacopo del Verme a
Venezia, per implorare il braccio di quella potente repubblica contra
del Carrarese. La conclusione del trattato fu, che il Verme per aver
gran somma di danaro da' Veneziani, ed affinchè Vicenza non venisse
alle mani del Carrarese, fece una cessione di quella città ai signori
veneziani. Vogliono altri che loro cedesse anche Verona, Feltro e
Belluno. Per questa cagione, nel dì 25 di aprile ducento e cinquanta
balestrieri veneziani, condotti da Giacomo da Tiene, ebbero maniera
d'entrare nell'assediata Vicenza, dove inalberarono la bandiera di San
Marco. Indi spedirono un trombetta a Francesco Terzo, per notificargli
che Vicenza era data alla signoria di Venezia. Lasciò il Carrarese
tornare costui nella città, con dirgli che non osasse più di venire
senza salvocondotto: ma venuto egli di nuovo, senza essere munito di
salvocondotto, fu, nel ritornare ch'egli faceva in Vicenza, ucciso:
azione per cui si esacerbarono forte i Veneziani, e servì loro per
titolo di far aspra guerra dipoi al signore di Padova. Nel dì 27 di
aprile la cittadella di Verona si rendè a Francesco da Carrara, che
vi mise dentro guarnigione sua, e non già degli Scaligeri, siccome
disgustato con essi, perchè niun di loro avea voluto cavalcare a
Vicenza, secondochè era ne' patti. Andossene dopo il Carrarese colle
sue genti a trovare il figliuolo sotto Vicenza, con aver lasciato
Jacopo, altro suo figliuolo, nella cittadella di Verona assistito da
buon presidio. E già si preparava a dare un generale assalto a Vicenza,
quando gli fu portata lettera della signoria di Venezia, in cui gli
comandava di levare il campo di sotto a quella città, siccome dominio
di San Marco. Benchè mal volentieri, anzi con rabbia immensa, egli
ubbidì, e si ritirò colle sue genti a Padova. Mandò poscia a Venezia
il _marchese Niccolò d'Este_ per intendere in che disposizione fosse
quella signoria contra di lui. Non ebbe il marchese per risposta
se non delle amare parole, e delle minaccie contra del Carrarese,
e a lui fu ordinato di ritornarsene a Ferrara. Scoprì intanto esso
Carrarese, che i due fratelli Scaligeri aveano spediti ambasciatori
a Venezia per far maneggi contra di lui in proprio favore. Scrisse a
Jacopo suo figliuolo, lasciato a Verona, che glieli mandasse prigioni
a Padova: comando che fu senza ritardo eseguito, ma che diede molto
da dire entro e fuori di Venezia. Poscia verso il fine di maggio con
accompagnamento magnifico passò a Verona, dove per amore e per forza
si fece eleggere signore di quella nobil città. Nè volendo Francesco
Gonzaga restituirgli Ostiglia e Peschiera, dicono che il Cararese tramò
contro la vita di lui: la qual trama scoperta, incitò il Gonzaga a
collegarsi dipoi coi Veneziani contra di lui.
Si trattò poi di pace, vi s'interposero anche i Fiorentini; ma nulla si
potè conchiudere: così alte e scure erano le pretensioni de' Veneziani.
Il perchè Francesco da Carrara, sapendo che Venezia da tutte parti
assoldava genti, si determinò alla guerra e difesa con gran coraggio.
Fu preso per generale dai Veneziani _Malatesta de' Malatesti_ signore
di Pesaro, che seco menò mille lancie; secento altre ne condusse
_Paolo Savello_, oltre ad altri condottieri, e si diede principio ad
una arrabbiata guerra[2244]. Grande era lo sforzo di gent
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