2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 179

Annali d'Italia 179


Anno di CRISTO MCCCCXXX. Indiz. VIII.
 
MARTINO V papa 14.
SIGISMONDO re de' Romani 21.
 
 
Intento più che mai _papa Martino_ a ricuperare gli Stati della Chiesa
romana, giacchè erano mancati di vita _Carlo_ e _Malatesta_ fratelli
de i Malatesti, procurò di profittar della discordia insorta fra
i consorti di quella famiglia, con ispedire in quelle parti le sue
genti d'armi. Secondo il Biglia[2602], restò egli padrone della ricca
e popolata terra di Borgo San Sepolcro, tanto apprezzata da Carlo
Malatesta, che dianzi n'era in possesso. Conquistò ancora Bertinoro;
e perchè _Guidantonio conte_ d'Urbino secondò l'armi pontifizie in
tale occasione, impadronitosi di alcune castella del Riminese, le
ritenne poi per sè. Lorenzo Bonincontro aggiugne[2603] che i Malatesti
restituirono al papa, oltre al suddetto Borgo San Sepolcro, anche
Osimo, Cervia, Fano, la Pergola e Sinigaglia: la qual ultima città fu
data dipoi da esso pontefice a _Malatesta_ signore di Pesaro. Nella
primavera passarono sul Lucchese le forze de' Fiorentini con gran
voglia e speranza di aggiugnere quella città al loro dominio, e la
strinsero d'assedio[2604]. Ma non tardarono a conoscere, che gran tempo
si richiedea all'impresa, giacchè _Paolo Guinigi_ s'era, il meglio
che avesse potuto, preparato a sostenersi[2605], e a vendere caro
la propria rovina; oltre di che quei cittadini, benchè mal contenti
del di lui governo, pure maggiormente ancora abborrivano quello de'
Fiorentini. _Filippo Brunelleschi_, architetto allora ossia ingegnere
di gran credito in Firenze, fece credere ai suoi di avere in saccoccia
il segreto per ridurre in breve ai lor voleri i Lucchesi. Consisteva
esso in voltare addosso a Lucca la corrente del Serchio, fiume che
passa non lungi alle mura di quella città: proposizione impugnata
da _Neri Capponi_ e da altri[2606], convinti che gli ingegneri, per
conto di dar legge alle acque, sovente formano di bei disegni in
carta, che vani poi riescono alla sperienza. Fu nondimeno accettata,
e dato principio al lavoro con gran copia di guastatori. Ma i
Lucchesi, conosciuta tale intenzione, si premunirono con argini, in
guisa tale, che in vece di nuocere alla città, si rivolse il fiume ad
allagare il campo de' Fiorentini. Intanto Paolo Guinigi tempestava con
lettere e messi gli amici, perchè il sovvenissero in tanto rischio,
e massimamente fece ricorso a _Filippo Maria duca_ di Milano e alla
repubblica di Siena. Vedevano i Sanesi di mal occhio che i Fiorentini
s'insignorissero di Lucca, e spedirono per questo ambasciatori a
Firenze; tanto nulla di meno seppero adoperarsi i Fiorentini, che
in Siena si ratificò la lor lega, e parve quieto quel popolo. Ma
ritrovandosi in essa città di Siena mal soddisfatto de' Fiorentini
Antonio Petrucci, ebbe egli delle segrete commessioni di aiutare il
Guinigi per quanto potesse; e a tal fine si portò a Milano, dove coi
messi del Guinigi attese a muovere quel duca in favore di Lucca. Ne
avea gran voglia _Filippo Maria_. Ma perchè nei capitoli dell'ultima
pace v'era ch'egli non si dovesse impacciare negli affari della Romagna
e Toscana, gli conveniva stare zitto per non riaccendere la guerra.
Tuttavia ricorse ad un ripiego.
 
Il _conte Francesco Sforza_, fatta già conoscere colla pazienza sua
la sua fede ed innocenza, gli era rientrato in grazia[2607]. A lui
fu data l'incombenza di soccorrere Lucca, e gran somma di danaro
contata in segreto dal Petrucci, dal ministro del _Guinigi_ e, come
fu creduto, anche dal duca, il quale mostrò di licenziarlo dal suo
servigio, siccome capitano venturiere, la cui condotta era finita.
Con quel danaro il conte Francesco rimise ben in arnese le sue
veterane fedeli truppe, e ne assoldò delle altre, e poscia inviatosi
alla volta della Lunigiana, come condotto al soldo del signore di
Lucca, andò a piantarsi a Borgo a Buggiano. Per la venuta di questo
campione sciolsero i Fiorentini l'assedio di Lucca, e si ritirarono
coll'armata a Ripafratta[2608], ed intanto crearono lor generale
_Guidantonio conte d'Urbino_. Di questa congiuntura si prevalsero
i Lucchesi per riacquistare la lor libertà, giacchè s'intese, o fu
finto, che il Guinigi trattava di vendere a' Fiorentini quella città.
Intorno a ciò intesisi prima col conte Francesco, misero un dì le mani
addosso al medesimo _Paolo Guinigi_, ed appresso svaligiarono tutto
il suo palazzo, nel qual mentre _Ladislao_ suo figliuolo fu anche
egli detenuto prigione dal conte Francesco. Il Guinigi con tutti i
suoi figliuoli, per le istanze de' Lucchesi, fu condotto al duca di
Milano, nelle cui carceri terminò dopo due anni i suoi giorni. Attese
intanto la Sforza a ricuperare varie terre del territorio lucchese; ed
è ben lecito il credere che gran somma d'oro ricavasse dai Lucchesi
per averli doppiamente beneficati, liberandoli dalle unghie de'
Fiorentini e dall'interno giogo tirannico del Guinigi. Il bello fu,
che anche i Fiorentini, per levar di Toscana questo noioso ostacolo
ai loro disegni, ricorsero alla spada d'oro, capace di tagliare ogni
nodo. Per coonestare il fatto, si trovò che essendo restato creditore
di settanta mila fiorini d'oro _Sforza_ padre del _conte Francesco_,
se gli pagherebbe questo danaro, purchè uscisse di Toscana, e si
obbligasse per alcuni mesi di non andare ai servigi del duca di Milano.
Pagato il contante, egli passò in Lombardia, e colle sue genti venne ad
accamparsi su quello della Mirandola. Minutamente si trova descritta
questa guerra da Andrea Biglia[2609]. Indarno mandarono i Lucchesi a
Firenze per placare quella signoria. Non sapeano i Fiorentini digerire
di aver fatta tanta spesa contra de' Lucchesi, e che in bene de' soli
Lucchesi si fosse convertito tutto il loro sforzo. Perciò partito che
fu Francesco Sforza, tornarono, come prima, all'assedio di Lucca[2610],
e i Lucchesi tornarono a pulsare il duca di Milano per soccorso. Perchè
_Filippo Maria_ volea pure aiutarli, e nello stesso tempo parere di
non intricarsi in que' fatti, permise che i Genovesi formassero una
particolar lega coi Lucchesi, allegando che, secondo i lor privilegii,
poteano farla[2611]. _Niccolò Piccinino_ in questi tempi attendeva a
sottomettere le terre de' Fieschi e della Lunigiana al duca di Milano.
Si mostrò che i Genovesi l'avessero eletto per lor capitano; e questi
in fatti colle sue genti d'armi s'inviò verso Lucca, e fu a fronte
del campo fiorentino, restando solamente frapposto il fiume Serchio
fra le armate. Era di parere il conte di Urbino che non si togliesse
battaglia. Venuto di Firenze ordine in contrario, seguì a dì 2 di
dicembre un fatto d'armi funesto all'esercito fiorentino, il quale
interamente fu rotto con prigionia di mille e cinquecento cavalieri,
con perdita di bagaglio e di attrecci, e con altri danni. Il _conte
Urbino_, _Niccolò Fortebraccio_ e gli altri capitani, ben serviti
dai lor cavalli, si salvarono chi a Librafatta e chi a Pisa[2612].
Intanto la peste era in Lucca, e non ne era esente Genova, Roma ed
altre città, fra le quali anche Firenze. Ora i Fiorentini, avendo
spediti i loro ambasciatori a Venezia, faceano gran fuoco per rinnovar
la guerra contra del duca di Milano, pretendendo che egli avesse
contravvenuto ai patti della pace. Per attestato del Sanuto[2613], nel
dì 22 d'agosto fu confermata la lega dei Veneziani e Fiorentini contra
del duca di Milano. Nè si dee tacere che in questo anno la città di
Bologna, sempre inquieta, perchè divisa dalle fazioni bentivoglia e de'
Canedoli, tumultuò[2614], e da Baldassare Canedolo, unito coll'abbate
de' Zambeccari, nel dì 17 di febbraio furono barbaramente uccisi
nello stesso palazzo degli anziani Egano de' Lambertini, Niccolò de'
Malvezzi, ed altri aderenti de' Bentivogli. Per cagione di queste
turbolenze il cardinale legato uscì della città e si ritirò a Cento.
Arrivò poi nel dì 25 di giugno il vescovo di Turpia colle bolle della
legazion di Bologna; e questi, raunate le milizie della Chiesa con
_Antonio Bentivoglio_ e con gli altri fuorusciti, cominciò la guerra
contro a quella città. Continuarono tutto quest'anno le ostilità, e
intanto si trattava d'accordo col papa; ma questo non fu conchiuso se
non nell'anno seguente.
 
NOTE:
 
[2600] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[2601] Istor. Napolet., tom. 23 Rer. Ital.
 
[2602] Billius, Hist., lib. 7, tom. 19 Rer. Ital.
 
[2603] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[2604] Ammirati, Istor. Fiorentina, lib. 18.
 
[2605] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
 
[2606] Neri Capponi, Comment., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2607] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 2, tom. 21 Rer. Ital.
 
[2608] Chron. Senense, tom. 20 Rer. Ital.
 
[2609] Billius, Hist., lib. 8, tom. 19 Rer. Ital.
 
[2610] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 20.
 
[2611] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCXXXI. Indiz. IX.
 
EUGENIO IV papa 1.
SIGISMONDO re de' Romani 22.
 
 
Chiamò Dio in quest'anno a miglior vita _papa Martino V_, essendo
succeduta la morte sua nella notte del dì 19 venendo al dì 20 di
febbraio, per apoplessia a lui sopravvenuta[2615]. Fu buon pontefice;
saviamente governò la Chiesa, e la lasciò libera da un ostinato
scisma. Grande obbligazione per conto dell'impero temporale ebbe a
lui la santa Sede, perchè era non men amato che temuto. La dianzi sì
inquieta e divisa Roma fu per opera sua ridotta ad un'invidiabil pace.
Era, a cagion de' torbidi passati, quasi tutto lo Stato ecclesiastico
passato in mano di tirannetti; ne ricuperò egli buona parte, ed
assodò l'autorità pontificia in quelle città che restarono in mano di
varii signori. Nel dì 3 di marzo a lui succedette nella cattedra di
san Pietro il cardinal di San Clemente Gabriello de' Condolmieri, di
patria Veneziano, volgarmente appellato il cardinal di Siena, perchè fu
vescovo di quella città, e prese il nome di _Eugenio IV_[2616]. Seguì
la coronazione sua nel dì 11 d'esso mese, e non già nel dì 12, come
vuole il Rinaldi. Poco poi stette a vedersi una di quelle mutazioni
che non fu la prima, ed ebbe molti altri esempli dipoi: cioè si scoprì
il papa parziale degli Orsini, perchè per opera loro era giunto al
pontificato, e, nemico de' Colonnesi nipoti del defunto pontefice.
Veramente non fu senza censura in questi tempi la straordinaria
cura ch'ebbe papa Martino d'ingrandire ed arricchire la per altro
nobilissima sua casa. E papa Eugenio provò, che i nipoti di lui, cioè
_Prospero Colonna_ cardinale, _Antonio principe_ di Salerno ed _Edoardo
conte_ di Celano[2617], aveano fatto lo spoglio del tesoro ammassato
dal loro zio per valersene contra dei Turchi, ed asportata ancora
una buona quantità di gioielli e d'altri preziosi mobili spettanti
al palazzo apostolico e ad altri luoghi sacri Pertanto cominciò papa
Eugenio a procedere contro del tesoriere Ottone e contra del vescovo
di Tivoli, già camerieri d'onore di papa Martino; e più di ducento
persone adoperate in varii ministeri da esso Martino furono private
di vita. Allora fu che il cardinal Colonna uscì di Roma senza licenza
del papa nè andò molto che _Antonio_ e _Stefano_ Colonnesi con gran
gente armata entrarono nel dì 23 d'aprile in Roma stessa, e presero
due porte[2618], figurandosi che la lor fazione si moverebbe a rumore.
Volle Dio, che niuno prendesse l'armi per loro; e però, venuti al
papa dei soccorsi, fu spinto fuori di città Stefano Colonna, e messo
a sacco il di lui palazzo, siccome ancor quelli del cardinal Colonna,
del cardinal Capranica e d'altri loro aderenti. Avendo intanto papa
Eugenio fatto ricorso alla _regina Giovanna_[2619], questa gl'inviò
_Jacopo Caldora_ con tre mila cavalli, e mille e secento fanti. Era
costui la stessa avarizia e molto più della fede e dell'onore gli
stava a cuore il danaro. Non passò dunque gran tempo che in vece di far
guerra ai Colonnesi, lasciatosi corrompere dai grossi regali d'_Antonio
principe_ di Taranto, divenne lor protettore ed amico. Pretende Neri
Capponi[2620] ch'egli toccasse cento tredici mila fiorini di quei di

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