Annali d'Italia 193
resistere a sì grosso torrente non avea il conte Francesco[2829]; però,
poste buone guarnigioni nelle piazze più importanti (cioè _Alessandro_
suo fratello in Fermo, _Giovanni_ altro suo fratello in Ascoli,
_Rinaldo Fogliano_ suo fratello uterino in Cività, _Pietro Brunoro_ in
Fabriano, _Fioravante da Perugia_ in Cingoli, _Giovanni da Tolentino_
suo genero in Osimo, _Troilo da Rossano_ in Jesi, e _Roberto da San
Severino_ in Rocca Contrada), si ritirò egli con parte del suo esercito
a Fano, città ben forte di _Sigismondo Malatesta_ suo genero, per quivi
aspettare i sospirati soccorsi de' collegati, coi quali potesse far
fronte, occorrendo ai nemici.
Ma volle la sua disavventura che, oltre a _Manno Barile_, il quale sul
principio di quest'anno l'avea abbandonato, anche altri suoi principali
condottieri di armi in sì grave congiuntura il tradissero. Entrato
dunque Alfonso col Piccinino nella Marca, ed inalberate le bandiere
della Chiesa, tosto si volsero alla di lui ubbidienza San Severino,
Matelica, Tolentino e Macerata. _Pietro Brunoro_ gli diede Fabriano, ed
acconciossi con lui[2830]. Altrettanto fece _Troilo_, benchè cognato
del conte Francesco, dandogli Jesi, e passando al suo servigio colle
sue truppe. Con ciò vennero meno al conte Francesco più di due mila dei
suoi cavalli, e molte schiere di fanteria, che andarono ad ingrossar
maggiormente l'esercito nemico. Poscia anche Cingoli si rendè ad
Alfonso, e il popolo d'Osimo, levato a rumore, ebbe forza di spogliare
_Giovanni da Tolentino_ ed _Antonio Trivulzio_ col presidio[2831].
Toscanella ed Acquapendente alzarono anch'esse le insegne della Chiesa.
In somma non passò gran tempo che tutta la Marca, a riserva di Fermo,
d'Ascoli e di Rocca Contrada, venne in potere del re e del Piccinino,
che ne prese il possesso a nome del papa. Sbrigato dalla Marca il re
Alfonso, nel dì 12 di settembre venne a mettere il campo alla città
di Fano, dove si trovava il _conte Francesco_ con gran gente; ma,
conosciuto che poco onore potea guadagnare sotto sì forte città,
nel dì 18 se ne tornò indietro, e portò le sue armi contro quella
di Fermo, alla cui difesa si trovava _Alessandro Sforza_ con buon
presidio. Fu in questa occasione che rimasero puniti dei lor tradimenti
_Pietro Brunoro_ e _Troilo_ cognato del conte Francesco[2832]. Furono
intercette, cioè fatte cadere in mano del re, lettere scritte loro
da esso Alessandro con ordine d'eseguire quanto era stato ordinato.
Confessa il Simonetta[2833], essere stato questo uno stratagemma del
medesimo conte Francesco, che scrisse al fratello di così operare,
per mettere in diffidenza presso il re que' due condottieri, dai
quali egli era stato tradito. E ne seguì l'effetto. Fu dunque
costantemente creduto che costoro con intelligenza del conte fossero
passati nella regale armata, per poi assassinare il re. E perciò il
re, messe in armi le sue truppe, li fece prendere amendue, e legati
gl'inviò a Napoli, e di là li mandò in una fortezza del regno di
Valenza, dove stettero per dieci anni. Secondo il Simonetta, furono
anche spogliate tutte le genti d'armi dei suddetti due; ma l'autore de'
Giornali Napoletani vuole che il re le prendesse tutte al suo soldo.
Nè è da tacere una curiosa particolarità, di cui non io, ma Cristoforo
da Costa negli Elogii delle donne illustri sarà mallevadore. Cioè che
Pietro Brunoro da Parma, trovata una fanciulla, per nome Bona, nativa
della Valtellina, di spirito non ordinario, seco la conduceva vestita
da uomo, con avvezzarla al mestier della guerra. Dappoichè Brunoro fu
messo prigione, ella andò a tutti i principi d'Italia e di Francia, e
ne portò lettere di raccomandazione al re Alfonso per la liberazione di
questo suo padrone, di maniera che egli uscì dalle carceri. Gli procurò
essa in oltre una condotta di milizie dai Veneziani coll'assegno
annuo di venti mila ducati; per li quali benefizii egli poi la sposò.
Militò ella finalmente col marito, fece di molte prodezze, e con esso
fu inviata contro i Turchi alla difesa di Negroponte. Quivi terminò i
suoi giorni Brunoro, ed ella, tornando in Italia nel 1466, per viaggio
ammalatasi, diede fine alla sua vita. Dopo avere il re Alfonso tentato
invano Ascoli, e preso Teramo e Civitella con altri luoghi, ch'erano
del conte Francesco, menò a quartiere le sue soldatesche nel regno di
Napoli.
Era intanto restato tra Pesaro e Rimini _Niccolò Piccinino_ insieme
con _Federigo conte_ d'Urbino, e con _Malatesta_ signor di Cesena, e
facea guerra or qua or là alle terre di Rimini, con ridursi in fine
a Monteloro. Intanto in soccorso del conte Francesco arrivarono il
_conte Guido Rangone, Simonetto, Taddeo marchese_ di Este ed altri
capitani con cavalleria e fanteria, spediti da' Veneziani e Fiorentini.
Con sì fatti rinforzi il valoroso conte, menando seco _Sigismondo
Malatesta_ signore di Rimini e genero suo (della cui fede si dubitò
non poco, allorchè il re Alfonso fu sotto a Fano), andò nel dì 8
di novembre insieme con _Alessandro_ suo fratello e con gli altri
capitani a trovare il _Piccinino_, e fu con lui alle mani, ancorchè il
vedesse postato in un sito assai difficile e vantaggioso. Per molte
ore durò l'atroce battaglia; e quantunque il Piccinino facesse delle
maraviglie, più ne fece il conte Francesco, con dargli una gran rotta,
prendere circa due mila cavalli, e tutto il ricchissimo bagaglio de'
nemici. Col favor della notte si salvò con pochi esso Piccinino a
Monte Ficardo, pieno di confusione e di dolore. Spese poi il conte
qualche tempo, per le importune istanze di Sigismondo Malatesta,
intorno a Pesaro, signoreggiato allora da _Galeazzo Malatesta_. Di
là passò nella Marca, dove trovò che il Piccinino avea rinforzato
di gente le principali città; e però, dopo aver ridotte alla sua
divozione alcune poche castella, se n'andò a Fermo, e quivi svernò con
parte delle sue milizie. Or mentre queste cose succedeano, e dacchè
vide _Filippo Maria_ duca di Milano che gli affari del genero suo,
cioè del conte Francesco, andavano alla peggio nella Marca, siccome
principe non mai fermo ne' suoi proponimenti, cominciò a pentirsi
delle sregolate o balorde sue risoluzioni, e a desiderare ch'egli
non perdesse il suo Stato. Perciò nel dì 8 di settembre spedì suoi
ambasciatori a Venezia[2834] per collegarsi con quella repubblica e
co' Fiorentini in favore del conte, e fece anche sapere al re Alfonso
di desistere dall'offenderlo. Si maravigliò forte il re di questa
inaspettata mutazion di volere del duca; inviò a lui ed anche a Venezia
ambasciatori; ma niuna grata risposta ne ricevette. Servirono questi
passi del duca, e il trattato di lega fra lui, Venezia e Firenze, a
fare[2835] ch'egli poi si ritirasse da Fano, e se ne tornasse nelle
sue contrade. Ed intanto nel dì 24 di settembre fu conchiusa la lega
suddetta in Venezia, in cui ancora entrò Sigismondo Malatesta signore
di Rimini. Elessero in quest'anno a dì 28 di gennaio[2836] i Genovesi
pacificamente per loro doge _Raffaello Adorno_, di famiglia altre volte
salita a quella dignità.
NOTE:
[2819] Hist. Senensis, tom. 20 Rer. Ital.
[2820] Raynaldus, Annal. Eccles.
[2821] Petroni, Hist., tom. 24 Rer. Ital.
[2822] Cronica di Ferrara, tom. eod.
[2823] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2824] Ammirati, Istor. di Firenze, lib. 22.
[2825] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
[2826] Sanuto, Ist. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
[2827] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
[2828] Annal. Foroliv., tom. 22 Rer. Ital.
[2829] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
[2830] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
[2831] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
[2832] Giornal. Napolet., tom. 22 Rer. Ital.
[2833] Simonetta, Vit. Francisci Sfortiae, lib. 6, tom. 21 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXLIV. Indiz. VII.
EUGENIO IV papa 14.
FEDERIGO III re de' Romani 5.
Trovandosi in Fermo _Bianca Visconte_ moglie del conte _Francesco
Sforza_, quivi nel dì 24 di gennaio diede alla luce un figliuolo[2837];
del qual parto fu immantenente spedita la nuova al duca di Milano,
padre di lei, per sapere qual nome si dovesse porre al nato figliuolo.
Gli fu posto quello di _Galeazzo Maria_. Fra le sue disavventure
ebbe almeno il conte Francesco questa consolazione. Ma, trovandosi
senza danari, spedì per ottenerne _Sigismondo Malatesta_ suo genero
a Venezia, e ne ricavò questi buona somma, e la maggior parte ancora
ne ritenne per sè a conto delle sue paghe. All'incontro _Niccolò
Piccinino_ fu ben rinforzato di gente e danaro dal _papa_ e dal _re
Alfonso_; laonde entrò in campagna per tempo, e cominciò le scorrerie
pel territorio di Fermo. Dall'altra parte anche le milizie del re
Alfonso ricominciarono la guerra. A Monte Milone si portò il Piccinino,
ed, avendo passato il fiume Potenza, fu quivi colto da Ciarpellione,
uno de' più valenti condottieri d'armi che si avesse il conte
Francesco, e ne riportò una buona pelata colla prigionia di molti de'
suoi. Si salvò egli miracolosamente, ritirandosi in una torricella, che
rimase intatta, per non avervi fatto mente Ciarpellione. Perchè poi gli
venne ordine dal duca di portarsi a Milano, e di fare intanto tregua
col conte Francesco, eseguì Niccolò il primo comandamento, ma non già
il secondo, avendoglielo impedito il legato del papa. Però, lasciato
il comando dell'armata a _Francesco Piccinino_ suo figliuolo, volò
in Lombardia. Trovossi intanto il conte Francesco in gravi angustie,
perchè Sigismondo Malatesta l'avea tradito con essersi messo in viaggio
colle sue truppe, per andare ad unirsi con lui, ma con aver poi trovati
de' pretesti per tornarsene a Rimini. Dall'altro canto, se Francesco
Piccinino univa la sua armata coll'aragonese, non vedea modo da poter
sostenere la città di Fermo contra di tante forze. Ora per impedir
siffatta unione con quella gente che avea, prese lo spediente di andare
a visitar esso Francesco Piccinino, che s'era ben postato a Monte
Olmo. Secondo il Simonetta, era il dì di venerdì 23 d'agosto, quando
gli fu a fronte, e colle schiere in battaglia l'assalì. Ma non battono
i conti secondo il calendario. Negli Annali di Forlì è scritto che fu
il dì 19 d'esso mese[2838], e lo stesso vien confermato dalla Cronica
di Rimini[2839], e dal Sanuto[2840], che per errore dice di maggio.
Nè di ciò si può dubitare, stante una lettera scritta nel medesimo
dì 19 d'agosto dal conte Francesco a Bologna, come s'ha dalla Cronica
d'essa città[2841]. In quel conflitto certo è che segni di gran valore
diede Francesco Piccinino colle sue squadre; ma egli combatteva con
un capitano che in fatti d'armi fu maraviglioso, nè sapea esser vinto.
Mentre si combatteva, _Alessandro Sforza_ occupò le tende e il bagaglio
de' nemici; poscia seguitò ad incalzarli dal suo canto; nel qual tempo
il conte Francesco suo fratello con eguale attenzion ed ardore facea lo
stesso dall'altro. In somma restò sbaragliato l'esercito di Francesco
Piccinino colla perdita di quasi tre mila cavalli, ed egli col
rifugiarsi in una palude cercò di salvarsi, ma da un suo fante tradito
fu condotto prigione al conte Francesco. Ebbero fatica a ridursi in
salvo _il cardinal Domenico Capranica_ legato del papa, e _Malatesta_ a
Cesena. Nel dì seguente Monte Olmo si rendè al conte Francesco, ed ivi
fu ritrovata gran copia d'uffiziali e soldati del Piccinino, che vi si
erano rifugiati con assai cavalli e robe preziose. Ciò fatto, marciò
il vittorioso Sforza a Macerata, e senza fatica se ne impossessò,
siccome ancora di San Severino. Cingoli volle aspettar la forza prima
di rendersi, e dopo otto giorni se gli sottomise con altri piccioli
luoghi. Intanto esso conte fece tentar di pace _papa Eugenio_, che si
trovava allora a Perugia, conturbato non poco per le di lui vittorie,
dopo aver fulminate le scomuniche nel precedente maggio contra di
lui e di Sigismondo Malatesta. Alle istanze del conte diedero maggior
polso gli ambasciatori di Venezia e Firenze, di maniera che l'accordo
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