2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 152

Annali d'Italia 152



in due galee veneziane, anch'essi se ne impadronirono. Diede molto da
parlare per Italia questo fatto, ed incredibile schiamazzo ne fece
il borioso Bucicaldo, di maniera che quantunque nell'anno appresso
seguisse pace fra i Veneziani e Genovesi colla restituzion de'
prigioni, pure Bucicaldo non come governator di Genova, ma come persona
privata sparse un manifesto, in cui trattava Carlo Zeno da traditore,
sfidandolo a duello in terra ferma, oppure con una galea per parte di
cadauno in mare. Se ne rise Carlo Zeno, e il lasciò tempestar quanto
volle.
 
Nè si vuol tacere che sul principio di settembre, sollevatisi i
Guelfi d'Alessandria, si ribellarono ai Visconti, ed implorarono
aiuto da Genova per sottomettersi al re di Francia. Non fu pigro il
vice-governatore di Genova a spedir gente in loro aiuto, con poca
fortuna nondimeno; perchè, oltre all'essersi ritirati i Ghibellini
nelle fortezze, arrivò colà Facino Cane con molte squadre, che ricuperò
quella città, e mise in desolazione tutta la parte guelfa. Un simile
orrido giuoco fece _Pandolfo Malatesta_ a Como, dove fu egli spedito
per ricuperar quella città. Bolliva in questi tempi gran discordia
fra i magnati della Ungheria[2224]. Coloro che non voleano per loro re
_Sigismondo_ fratello di _Venceslao_ già re de' Romani, si avvisarono
di chiamare a quella corona _Ladislao re_ di Napoli, siccome principe
che vi pretendea per le ragioni del _re Carlo_ suo padre e per altri
titoli, promettendogli sicuro per lui quel vasto regno. Ladislao non
perdè tempo ad imbarcarsi, ed arrivò a Zara. In essa città, correndo
il dì cinque d'agosto, fu egli coronato dall'arcivescovo di Strigonia,
oppure da _Angelo Acciaiuoli_ cardinal di Firenze[2225], spedito
dal papa per dar braccio all'impresa. Ma avendo egli inviato i suoi
deputati a prendere il possesso del rimanente del regno, trovò risorto
più che mai il partito di Sigismondo, mutati d'opinione que' grandi
e se stesso deluso. Il perchè adirato se ne ritornò a Napoli. Ne'
Giornali Napoletani[2226] vien riferito questo avvenimento agli anni
seguenti; ma, per gli atti che rapporta il Rinaldi e per l'attestato
di varii altri scrittori, esso appartiene al presente. _Sigismondo_,
siccome dissi, figliuolo di _Carlo IV_ Augusto, si stabilì poscia
sul trono dell'Ungheria, ma non senza crudeltà, e divenne col tempo
imperador de' Romani.
 
NOTE:
 
[2211] Annales Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2212] Corio, Istoria di Milano.
 
[2213] Billius, in Histor., tom. 19 Rer. Ital.
 
[2214] Ammirat., Istoria di Firenze, lib. 17.
 
[2215] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Ital.
 
[2216] Billius, Hist., tom. 19 Rer. Ital.
 
[2217] Delayto, Annal., tom. 18 Rer. Italic.
 
[2218] Matth. de Griffon., Chron. Bonon., tom 18 Rer. Ital. Cronica di
Bologna, tom. eod.
 
[2219] Histor. Senensis, tom. 20 Rer. Ital.
 
[2220] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital. Delayto, Annal., tom.
18 Rer. Ital.
 
[2221] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Italic.
 
[2222] Delayto, Chron., tom. 18 Rer. Ital. Redusius, Chron., tom. 19
Rer. Ital.
 
[2223] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Ital.
 
[2224] Sozomenus, Hist., tom. 16 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal., tom.
21 Rer. Ital.
 
[2225] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[2226] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCCIV. Indiz. XII.
 
INNOCENZO VII papa 1.
ROBERTO re de' Romani 5.
 
 
Era stato rimesso in libertà nel precedente anno _l'antipapa
Benedetto_, e dacchè fu rientrato in pacifico possesso di Avignone,
tanto seppe girar gli affari col far credere a chi non per anche
assai il conosceva la sua prontezza a dimettere il papato[2227], se si
fosse convenuto con _papa Bonifazio_, dipinto da lui come ostinato in
mantenere lo scisma, che gli fu restituita l'ubbidienza da' Franzesi.
Ora il furbo Spagnuolo, per maggiormente accreditarsi fra quei del suo
partito, e dar ad intendere la sua buona volontà per la riunion della
Chiesa, spedì in quest'anno verso il fin di settembre due vescovi con
tre altri suoi ambasciatori a Roma per proporre a papa Bonifazio, non
già, come andò spacciando, la vicendevol cessione del pontificato, ma
bensì un abboccamento fra loro in un luogo determinato. Teodorico da
Niem, autore molto sospetto agli annalisti pontifizii, scrive[2228]
che Bonifazio ricusò ogni partito, con sostenere ch'egli era vero
papa, nè dover egli mettere in dubbio la legittima sua dignità. Al
che risposero gli ambasciatori che il loro papa non era simoniaco,
quasi tacitamente accusando Bonifazio di questo reato: del che egli
molto si offese, ed eccessivamente montò in collera. Tale agitazion
d'animo, e il mal di pietra, per cui era gravemente da qualche tempo
afflitto esso pontefice, accrebbe sì fattamente i suoi incomodi,
che nel dì primo d'ottobre diede fine alla sua vita. Non mancavano
a Bonifazio delle belle doti, che il faceano degno del sublime suo
ministero; ma i tempi disastrosi, ne' quali egli si trovò, cagion
furono ch'egli piuttosto distrusse, che edificò. Il bisogno di far
fronte all'antipapa, e di difendersi dagli aderenti di lui avversarli
suoi, e di ricuperar le terre della Chiesa, l'obbligò a cercar danaro
per tutte le vie. Ne' primi anni del suo pontificato, perchè vi erano
cardinali zelanti e nemici delle cose mal fatte, andò con qualche
riguardo; ma infine si diede a vendere tutte le grazie, tornò in
campo, dilatò e stabilì maggiormente il pagamento delle annate per
chi voleva vescovati ed altri benefizii. Allora furono in corso le
espettative, date talvolta a più persone dello stesso benefizio, e
talvolta rivocate per cavar danaro da altri; allora si videro in grande
uso le unioni de' benefizii, le dispense anche per li regolari, ed
altre invenzioni per raccoglier moneta, delle quali parla Teodorico
da Niem, accordandosi con lui anche gli autori della Vita di questo
pontefice[2229]. Ebbe madre, fratelli e nipoti. Gli esaltò ed arricchì
per quanto potè. L'uno de' fratelli, cioè _Giannello_, creò marchese
della marca d'Ancona, l'altro duca di Spoleti. Ad uno di questi fece
anche dare dal re Ladislao la contea di Sora con altri Stati. Ma
questi, dopo la di lui morte, andarono tutti in fumo; e Giannello non
tardò a consegnar Perugia e la marca al nuovo papa. Soprattutto è da
dolere che Bonifazio amasse più sè stesso che la Chiesa di Dio. Fece
ben egli premura per un concilio, ma non mai s'indusse ad esibirsi
per ben della Chiesa pronto a rinunziare la sua dignità. Se fatto
l'avesse, avrebbe ognuno abbandonato l'antipapa, qualora anche egli
non avesse fatto altrettanto, e si sarebbe venuto alla riunion della
Chiesa. Congregaronsi poi in Roma nel conclave i nove cardinali che
v'erano, con giurar prima tutti, che chiunque di essi fosse eletto
papa, darebbe sinceramente mano ad abolire lo scisma, ed occorrendo,
rinunzierebbe il papato. Cadde l'elezione nel dì 17 di ottobre in Cosmo
de' Migliorati da Solmona cardinale e vescovo di Bologna, personaggio
molto perito nella scienza legale, pratichissimo degli affari della
sacra corte[2230], di maniere dolci, ed affabile con tutti, e in
gran riputazione presso tutti i principi. Prese il nome _d'Innocenzo
VII_ e nel secondo giorno di novembre fu solennemente coronato. Ma
prima ancora della sua coronazione cominciarono i suoi guai, che non
ebbero mai fine; e questi specialmente per colpa e prepotenza del
_re Ladislao_, ingrato ai benefizii ricevuti della santa Sede, e che
non vide mai misura alcuna nell'avidità del conquistare[2231]. Corse
questo re a Roma con gran copia d'armati, parte per maneggiar ivi
in persona i suoi interessi, affinchè non gli venisse pregiudizio
nel trattare l'union della Chiesa, e parte per difendere, secondo le
apparenze, il papa novello dalle insolenze del popolo romano, il quale
sotto Bonifazio IX, pontefice di gran cuore, stette basso, e morto
lui, col favore de' Colonnesi, rialzò la testa, movendosi a rumore,
con seguirne varii omicidii fra essi e le genti del papa. Ma Ladislao,
invece di pacificarlo col pontefice[2232], sotto mano maggiormente
l'incitò contra di lui, per rendere se stesso più necessario a
trattar dell'accordo. Seguì un tale accordo nel dì 27 d'ottobre, ed è
rapportato intero dal Rinaldi, con patti molto vantaggiosi ai Romani
(il che fece crescere la loro alterigia), e con aver ottenuto Ladislao
di mettere una zampa nella creazione de' loro uffiziali. Aggiunge il
Delaito[2233] che nel dì 20 d'esso ottobre Ladislao occupò castello
Sant'Angelo, e vi mise sua guarnigione. Dovette fingere di farlo per
bene del papa, a cui, secondo Sozomeno, fu riservato San Pietro con
esso castello. Tuttociò non di meno fu un nulla rispetto a quello che
andremo vedendo.
 
Nel gennaio dell'anno presente[2234] la duchessa di Milano, che si era
ritirata in quel castello, fatti a sè venire con belle parole Antonio e
Galeazzo Porri con Galeazzo Aliprandi, autori della passata sedizione,
fece lor mozzare il capo. Ottenne ancora che si richiamasse il fuggito
Francesco Barbavara, e tornasse a seder nel consiglio; ma poco vi durò
costui, perchè di nuovo sbalzato si sottrasse colla fuga al pericolo
della vita. Nel dì 28 di marzo seguì pace fra i Guelfi e Ghibellini
di Milano, senza però vedersene quel buon frutto che si sperava,
essendo continuate le gare in quella città e nel suo territorio. Peggio
avvenne nel rimanente dello Stato[2235]. I principali condottieri
d'armi che aveano servito al defunto duca, e doveano sostenere il
novello, cominciarono cadauno a voler profittare nell'universale
tempesta e naufragio. Questi erano _Pandolfo Malatesta, Ottobuono de'
Terzi_ da Parma e _Facino Cane_. Tutti dimandavano paghe e ricompense
Vedeano[2236] che _Giorgio Benzone_ avea occupato Crema; _Giovanni
Picciolo_, Bergamo, città che poi venne in potere de' Soardi e de'
Coleoni. _Ugo_ ossia Ugolino Cavalcabò, siccome già dissi, abbattuti i
Ponzoni, s'era solo fatto padrone di Cremona. E perciocchè egli dipoi,
nell'andare a Brescia, fu preso e carcerato da _Astorre Visconte,
Carlo Cavalcabò_ suo nipote nel dì 18 di dicembre prese la signoria di
quella città. In quest'anno medesimo, se pur non fu nel precedente,
_Giovanni da Vignate_ s'era impossessato di Lodi. Tutto insomma
andava a ruba, e da per tutto regnava la confusione. Si credeano quei
condottieri di meritar molto più. Per ciò anche _Facino Cane_ prese
la signoria d'Alessandria e d'altre terre, facendo nondimeno vista di
tenerle a nome del conte di Pavia. _Pandolfo Malatesta_ insistè così

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