Annali d'Italia 176
Entrò in sospetto il duca della sua fede per certi di lui andamenti,
e per aver trattato con de' Veneziani. Troppo difficil cosa era il
prendere questa volpe nella tana. Ne assunse la cura l'Oldrado suo
compadre e caro amico, il quale, condotti seco alquanti armati,
passando fuori di Castiglione e fingendo che si fosse sferrato un
cavallo, mandò a prendere un marescalco nella terra. Avvisato di
ciò Gabrino, mandò ad invitare il compadre, che mostrò d'avere gran
fretta e dispiacere di non poterlo vedere. Uscì fuori allora lo stesso
Gabrino, e mentre parla all'amico, attorniato dagli armati vien preso.
Entrò immantenente l'Oldrado nel castello, imprigionò due figliuoli di
Gabrino con tutta la sua famiglia, e s'impossessò, a nome del duca,
de' tesori di costui, che erano molti. Condotto Gabrino a Pavia, e
processato, fu poi trasferito a Milano, dove sopra un pubblico palco
lasciò la testa. Venne in quest'anno al soldo del duca suddetto il
giovane _Francesco Sforza_ con mille e cinquecento cavalli, gente
valorosa, che avea servito sotto _Sforza_ suo padre. Altrettanto
fece anche _Giovanni da Camerino_, _Ardiccion da Carrara_ ed altri
capitani, che aveano abbandonato il servigio de' Fiorentini. E nel
settembre[2562] fu assediata la città di Faenza dalle armi del duca, ma
senza profitto alcuno.
NOTE:
[2547] Johannes Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2548] Billius, Hist., lib. 4. tom. 19 Rer. Ital.
[2549] Ammirat., Istoria Fiorentina, lib. 19.
[2550] Matth. de Griffonib., Chron., tom. 18 Rer. Italic.
[2551] Annal. Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital.
[2552] Chron. Foroliviens., tom. 19 Rer. Ital.
[2553] Poggius, Hist., lib. 5, tom. 20 Rer. Ital.
[2554] Johann. Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[2555] Billius, Hist., lib. 4, tom. 19 Rer. Ital.
[2556] Gino Capponi, Coment., tom. 18 Rer. Ital.
[2557] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
[2558] Sanuto, Istor. Ven., tom. 22 Rer. Italic.
[2559] Billius, Histor., lib. 5, tom. 19 Rer. Ital.
[2560] Annales Foroliv., tom. 22 Rer. Ital.
[2561] Billius, lib. 4 Hist., tom. 19 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCCXXVI. Indiz. IV.
MARTINO V papa 10.
SIGISMONDO re de' Romani 17.
Siamo ora ad un gran fuoco, fuoco acceso nel presente anno in Lombardia
contra di _Filippo Maria duca_ di Milano dai Veneziani e Fiorentini
collegati ai di lui danni. Dimorava in Venezia _Francesco Carmagnola_,
dimentico affatto delle liberalità a lui usate da esso duca, e del
cognome di Visconte a lui conferito, solamente pensando alle maniere
di vendicarsi dei torti a lui fatti[2563]. La fama del suo valore
e della sua maestria nell'arte della guerra perorava in suo favore.
Si aggiunsero i progetti vantaggiosi ch'egli fece a quell'illustre
senato, di modo che nel dì 11 di febbraio fu presa la risoluzione di
crearlo capitan generale dell'armata di terra con provvigione di mille
ducati d'oro al mese per la sua persona. Era egli assai pratico di
Brescia, siccome città da lui già conquistata; dentro anche vi avea non
pochi nobili amici e dei più potenti Guelfi, fra' quali spezialmente
si distinsero gli Avogadri. Dispose egli tutto per involar questa
città al duca di Milano, e gliene fu anche facilitata l'impresa dai
ministri, che malamente servivano il duca, perchè si lasciava quella
città, benchè frontiera, con iscarsa guarnigione, e poco provveduta
di vettovaglie, e fin mancando di strame per soli trecento cavalli.
All'improvviso dunque con otto mila persone si presentò il Carmagnola
davanti a Brescia nel dì 17 di marzo dell'anno presente[2564], ed,
essendogli aperta una porta, v'entrò con tre mila e cinquecento
cavalli. Ritirossi nella cittadella la gente del duca. Grande fu la
letizia del popolo bresciano, perchè era mal soddisfatto del governo
e delle gravezze del duca di Milano. Maggior festa di tale acquisto
fu fatta in Venezia: nel qual tempo anche _Gian-Francesco da Gonzaga_
marchese di Mantova si dichiarò collegato co' Veneziani, e con circa
tre mila cavalli entrò anch'egli nel Bresciano per sottomettere quelle
castella. Non andò molto che la maggior parte del territorio di Brescia
o spontaneamente inalberò le bandiere di Venezia, o per forza le
ricevè. Oltre a ciò, sul fine di marzo spinsero i Veneziani un'armata
navale per Po fino a Cremona, dove bruciarono il ponte, e recarono
altri danni, per impegnare in quelle parti le milizie duchesche, alle
quali ancora diedero una rotta presso la suddetta città di Cremona.
Per l'importante ed impensata perdita della città di Brescia restò
sbalordito il duca Filippo Maria, accorgendosi allora, ma troppo
tardi, dello sconcio errore commesso in dar occasione al Carmagnola
di diventargli nemico. Tuttavia, giacchè in mano de' suoi restava la
cittadella nuova e la vecchia di Brescia coi borghi e con altri luoghi
forti, si diede al riparo. Vuole il Sanuto che _Francesco Sforza_ si
trovasse in Brescia allorchè essa fu presa. Il Corio ed altri fanno
in questi tempi lui in Milano, e le sue genti a Monte Chiaro e in
altri luoghi del Bresciano. Quel che è certo, egli corse coi suoi
e con _Niccolò Piccinino_ a sostenere le preservate cittadelle, e
fece quanta guerra potè all'armata veneta, che ogni giorno più andò
crescendo nella città, la quale dalla parte del monte restò in potere
dei Milanesi, e il resto di essa in mano de' Veneziani, laonde furono
fatte di molte barricate e tagliate. Allora fu che il duca richiamò
dalla Romagna _Angelo dalla Pergola_ colle sue milizie, e consegnò
nel dì 12 di maggio[2565] al legato pontificio le città di Forlì,
d'Imola e di Forlimpopoli. Secondo il concerto fatto dai Veneziani
col _marchese Niccolò_ di Ferrara, dovea questi impedire il passaggio
delle soldatesche ducali, siccome unito in lega coi Fiorentini e
Veneziani; e fece in fatti non poca opposizione alle medesime al fiume
Panaro. Ma perchè esse in fine trovarono maniera di passare a Vignola,
fu creduto ch'egli tenesse segreta intelligenza col duca di Milano.
Per lo contrario, liberati i Fiorentini dalla guerra in Toscana, non
tardarono ad inviare _Niccolò da Tolentino_ con quattro mila cavalli
e tre mila fanti a Brescia[2566]; con che s'ingrossò forte l'esercito
del Carmagnola. Credesi che fosse parere d'esso Niccolò che si facesse
un profondo fosso intorno alle cittadelle di Brescia, affinchè non vi
potessero penetrare altri aiuti del duca di Milano; e il pensiero fu
eseguito. Però andò bensì, sul fine di maggio, _Guido Torello_, spedito
dal duca con quattro mila cavalli, tre mila e cinquecento pedoni, ed
assaissimi balestrieri genovesi, menando gran copia di vettovaglie per
provvedere al bisogno delle cittadelle. Ma se gli fecero incontro il
Carmagnola e il marchese di Mantova con isforzo non inferiore di gente,
talmentechè egli, non osando di tentare il passo, si ridusse a Monte
Chiaro. Crebbero intanto le forze de' Veneziani, perchè in loro aiuto
marciò il _signor di Faenza_ con mille e ducento cavalli, _Lorenzo
da Cotignola_ con novecento cavalli, e _Giorgio Benzone_ signor di
Crema con quattrocento lance e trecento fanti. In oltre condussero
i Veneziani nella lor lega, sul principio di luglio, _Amedeo duca di
Savoia_, al quale, secondo il Guichenone[2567], accordarono tutte le
conquiste ch'egli facesse dalla parte sua dello Stato di Milano. Che
anche _Gian-Giacomo marchese_ di Monferrato si collegasse contra del
duca, l'abbiamo dal Corio e da Benvenuto da San Giorgio. Sicchè da
tutte le parti restò assediato e battuto dai nemici il duca di Milano.
Chi vuol vedere l'Italia provveduta d'insigni capitani e condottieri
d'armi, non ha che da fissar l'occhio nel secolo di cui ora trattiamo.
Intanto ogni di più andavano guadagnando in Brescia le armi venete.
Nell'agosto ebbero la porta delle Pile[2568]; nel settembre quella
della Garzetta con altri serragli e borghi. Dopo di che si diedero a
bersagliar colle bombarde le cittadelle. Nel dì 21 d'esso settembre
comparvero circa otto mila combattenti del duca per tentare il
soccorso, ma furono con loro non lieve perdita respinti. Si rendè poi
la cittadella nuova di Brescia; ed essendosi sostenuta la vecchia sino
al dì 10 di novembre, capitolò anch'essa la resa, qualora per tutto
il dì 20 d'esso mese non fosse soccorsa. Però, venuto quel giorno,
entrarono in possesso d'essa l'armi venete, dopo una espugnazione
delle più memorande che succedessero in Italia, minutamente descritta
da Andrea Biglia e dal Redusio[2569]. Era in pena il _pontefice
Martino_[2570] per questa rabbiosa guerra, non tanto pel suo paterno
amore per tutti i cristiani, quanto per benevolenza particolare
che egli professava al duca, da cui riconosceva molti benefizii, e
massimamente la liberazione di Napoli. Il perchè, secondo il Sanuto,
mandò per suo legato a Venezia _Giordano Orsino_ cardinale e vescovo
d'Albano, con ordine di maneggiar pace fra i potenti nemici. Ma il
Sanuto falla. _Niccolò Albergati_ cardinale di Santa Croce, e vescovo
di Bologna, quegli fu che, spedito dal papa, vi andò[2571]. Trattossi
per più mesi di questa pace[2572], e finalmente fu essa conchiusa nel
dì 30 di dicembre dell'anno presente con varii capitoli favorevoli
ad ognuno de' principi collegati; e spezialmente fu accordato che
Brescia con tutto il suo territorio restasse in potere e dominio
della repubblica veneta. Abbiamo da Giovanni Stella[2573] che nel dì 9
d'aprile dell'anno presente il duca di Milano stabilì pace con _Alfonso
re d'Aragona_, e gli diede in deposito, ossia pegno per sicurezza di
sua parola, le castella di Porto Venere e di Lerice; il che dispiacque
non poco al popolo di Genova nemicissimo de' Catalani. Ebbero ancora
essi Genovesi guerra in mare coi Fiorentini; ed, essendo entrati
nel mese di settembre in quella città i fuorusciti coll'eccitare una
sedizione, furono valorosamente respinti e ricacciati fuori da quei
cittadini. Quiete si godè in quest'anno nel regno di Napoli[2574]; se
non che la _regina Giovanna_ con dei pretesti mandò il campo addosso
al conte di Sarno, e gli tolse Sarno, Palma ed altri luoghi: tutto ciò
per compiacere al papa, che desiderava di accomodar di quelle terre
_Alberto conte_ di Nola di casa Orsina, acciocchè egli rilasciasse
Nettuno ed Astura ad _Antonio Colonna_ suo nipote, principe di Salerno,
siccome avvenne. Procurò in oltre esso pontefice una maggior fortuna
ad esso suo nipote, accasandolo con _Polissena_ Ruffa, la quale doveva
ereditare il marchesato di Crotone e la contea di Catanzaro, con assai
altre terre. Fece il medesimo papa in quest'anno, a dì 24 di maggio,
una promozione di dodici cardinali[2575], persone tutte degne della sacra porpora.
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