Annali d'Italia 187
come era succeduto in addietro, e neppure avessero caro che Lucca
venisse alle lor mani[2742]. Spedirono a Venezia _Cosimo de Medici_;
nè spediente vi fu per una buona concordia; sicchè raffreddossi forte
la loro lega. Anzi il Sanuto[2743] scrive che questa andò per terra.
Intanto il _duca Filippo Maria_ inviò lettere e messi in Toscana al
conte _Francesco Sforza_ per ritrarlo al suo servigio: al qual fine
principalmente fu adoperata la possente batteria delle nozze con lui di
_Bianca_ unica figliuola del duca medesimo, non però atta per anche al
matrimonio, che gli si faceano credere immancabili. Inoltre il pregò
d'interporsi coi Fiorentini, acciocchè lasciassero in pace la città
di Lucca, raccomandata ad esso duca: altrimenti non poteva dispensarsi
dall'inviare colà l'armi sue per liberarla dai loro insulti. Accordossi
il conte col duca, e i Fiorentini, che di buon'ora s'erano accorti
del maneggio, e lo riseppero anche dal conte, che era signor saggio e
d'onore, presero anch'essi il partito di levar le offese da Lucca nel
dì 28 di marzo, e di trattar accordo coi Lucchesi. In fatti, essendo
intervenuti gli ambasciatori del duca, ne seguì pace, con restare a
Lucca il solo piano di sei miglia, e il resto delle castella prese in
potere de' Fiorentini: pace perciò molto disgustosa ai Lucchesi, ma
necessaria in sì scabrose contingenze alla lor salvezza.
_Filippo Maria Visconte_ fu principe professore d'una strana politica.
Prometteva oggi per mancar di fede domani. Le vampe della vendetta e
dell'ambizione tali erano in lui, che per qualunque pace non mai si
estinguevano in suo cuore. Perciò familiari a lui erano le finzioni e
le cabale per offendere altrui, e per mostrarsi innocente di quelle
offese. S'era egli pacificato con _papa Eugenio_; ma si vide ben
presto sollecitare ed animare per mezzo de' suoi ambasciatori il
concilio di Basilea contra di lui. Peggio poi fece, siccome fra poco
dirò. Avea tirato dalla sua di nuovo il conte _Francesco Sforza_ con
tale apparenza di voler effettuare il matrimonio di sua figliuola con
lui, ch'era fin giunto a far tagliare le vesti e a pubblicar l'invito
per quelle nozze; eppure era dietro a burlarlo. Si mostrava eziandio
in apparenza amicissimo del _re Alfonso_; ma perchè il re non avea
eseguito quanto largamente gli avea promesso in Milano, l'odiava, e
sembrava sospirare la di lui rovina. Adunque per soddisfare a queste
segrete passioni, facendo vista che Francesco Sforza fosse in sua
libertà, gl'insinuò occultamente di passare con pretesti nel regno di
Napoli a sostenere il partito del _re Renato_ d'Angiò, e pubblicamente
il pregò nel medesimo tempo[2744] di non offendere il re d'Aragona,
come considerato da lui pel maggiore amico ch'egli avesse al mondo.
Fece nello stesso tempo credere ad Alfonso d'essere con lui[2745],
coll'inviare _Francesco_ figliuolo di _Niccolò Piccinino_ con un
corpo di truppe, in aiuto del re medesimo. Ma costui giunto che fu ad
Ascoli, unito coi fuorusciti di quella città, si perdè a saccheggiar
quel paese, e, se non era il conte Francesco che inviasse soccorso a
quei cittadini, Ascoli si perdeva. Tentò il giovane Piccinino anche
Fermo; ma, essendo stato spedito dal conte Francesco colà _Taliano
Furlano_, desistè dall'impresa. Quello onde si dolse non poco il conte
Francesco, fu che per ordine del duca di Milano il Piccinino suddetto
esibì sì vantaggiose condizioni ad esso Taliano, che lo staccò dal suo
servigio e il trasse a quello del duca. Unito poscia con esso Taliano e
coi Camerinesi, fece guerra alle terre del conte Francesco. E in tale
occasione fu, secondo Simonetta, e per attestato ancora della Cronica
di Rimini[2746], che Francesco Piccinino col suddetto Taliano, chiamato
in aiuto dell'_abbate di Monte Casino_, ch'era assediato nella fortezza
di Spoleti, entrò in quella città e la mise barbaramente a sacco,
senza perdonare neppur ai luoghi sacri, come all'anno precedente ci
fece sapere il Rinaldi. Passò intanto dalla Toscana nell'Umbria colle
sue valorose milizie il conte Francesco Sforza. Venne alle sue mani
Assisi. Erano i Norcini allora addosso ai Cerelani; li mise in rotta un
corpo di gente ch'esso conte spedì contra di loro, e forzogli ancora
ad implorar misericordia. Era parimente ribello del papa _Corrado dei
Trinci_ signor di Foligno. Tal terrore gli misero l'armi del conte,
che mandò immantenente a raccomandarsi, e si sottomise agli ordini del
sommo pontefice. Marciò poscia il conte nel regno di Napoli, e fece
guerra a _Josia Acquaviva_ aderente del re Alfonso, con impadronirsi
di varie di lui terre sino al fiume Pescara, e insieme della città di
Teramo. Gran confusione si mirava allora nel regno di Napoli[2747]. Era
riuscito all'assennato _re Alfonso_ di attaccar di nuovo al suo partito
il principe di Taranto, il conte di Caserta ed altri baroni, e in bella
positura si trovavano i suoi affari. Ripigliarono poi migliore aspetto
quei del _re Renato_, perch'egli sciolto dalle prigioni del duca di
Borgogna col riscatto di ducento mila dobble d'oro, per la qual somma
fu necessitato ad impegnare Stati ed amici, finalmente nel dì 19 di
maggio arrivò a Napoli con dodici galee ed altri pochi legni, e fu con
somma allegrezza accolto da quel popolo. Ma egli era povero; nè uscendo
dalla sua borsa le aspettate rugiade, si raffreddò in breve la stima
e l'amore de' Napoletani verso di lui. Ai suoi servigi si esibì pronto
con tutte lo sue soldatesche _Jacopo Caldora_; e _Micheletto Attendolo_
suo generale anch'egli si accinse vigorosamente alla di lui difesa.
Ora il _re Alfonso_, per indebolire i suoi avversarii, calde lettere in
primo luogo scrisse al duca di Milano, pregandolo di interporre i suoi
uffizii presso il _conte Francesco_, acciocchè non gli fosse nemico.
E il duca intenerito non mancò di farlo, anzi per questo scrisse
anche ai Fiorentini che pagavano il conte, pregandoli di richiamarlo,
usando eziandio minaccie, se nol faceano. Intervennero appresso altre
mutazioni, per le quali infatti il conte ebbe da ritirarsi dal regno
di Napoli. Secondariamente il re Alfonso, affine di allontanare il
Caldora dal re Renato, marciò con tutte le sue forze in Abbruzzo; ebbe
Sulmona, e mise il terrore per tutta quella provincia. Accorso colà
Jacopo Caldora, fu a fronte del re; e, benchè egli fosse inferiore di
forze, il tenne a bada con fargli credere di volersi accordar seco;
tanto che il re Renato con Michele Attendolo venne ad unirsi seco
nel dì 19 d'agosto. Era la loro armata di dieciotto mila persone; e
però mandarono il guanto della disfida al re Alfonso, che lietamente
l'accettò; ma per risposta mandò che gli aspettava in Terra di Lavoro,
e quivi sarebbe venuto al fatto d'armi. Dopo di che, sapendo che poca
gente d'armi si trovava in Napoli, passò colà, e nel dì 27 di settembre
l'assediò per mare e per terra, facendo ben giocare le artiglierie. Vi
stette sotto trentasei giorni; nel qual tempo una palla di bombarda
sparata dai Napoletani percosse di balzo in testa l'infante _don
Pietro_, fratello d'esso Alfonso, e il fece cader morto con incredibil
cordoglio del medesimo re e di tutti i suoi. Perdute perciò le speranze
di vincere quella città, Alfonso se ne tornò a Capoa; e il re Renato
nel dì 9 di dicembre rientrò in Napoli.
Diede maggiormente a divedere in quest'anno il sempre inquieto duca
di Milano qual fosse l'animo suo verso _papa Eugenio IV_[2748].
Imperciocchè, mentre esso pontefice era intento in Ferrara al concilio,
spedì nel dì 24 di marzo sul Bolognese _Niccolò Piccinino_ suo generale
con gran corpo d'armati. Andò costui girando per quei contorni,
finchè ebbe, con gli Zambeccari ed altri amici de' Bentivogli ben
concertato d'insignorirsi della stessa città di Bologna. In fatti
nella notte antecedente al dì 21 di maggio, rotta la porta di San
Donato, egli v'entrò colle sue genti, e ne prese il dominio per sè,
con aver ben trattati que' cittadini. Fu cagione questo avvenimento
che anche Imola e Forlì si ribellassero alla Chiesa[2749], e il simile
fecero tutte le castella di que' contadi. Entrò in Forlì _Antonio
degli Ordelaffi_, e ne ripigliò la signoria; ma nel castello fu
posto presidio dal Piccinino. Prima di questi fatti _Astorre_ ossia
_Astorgio de' Manfredi_ signor di Faenza, unitosi colle sue genti ad
esso Piccinino[2750], avea occupato Bagnacavallo ed altre castella
del territorio ravegnano; nel qual tempo, cioè nel dì 16 d'aprile, il
Piccinino strinse d'assedio la stessa città di Ravenna; e, quantunque
i Veneziani vi mandassero soccorso[2751], pure _Ostasio da Polenta_,
signore di quella città, fu costretto da lì a poco, cioè nel dì 21
d'esso mese, a dimandar accordo, per cui cacciò di Ravenna i Veneziani,
e si dichiarò aderente al duca di Milano. Se di tali novità fosse
malcontento il pontefice Eugenio, sel può ciascuno immaginare. Per
quanto s'ha dagli Annali di Forlì[2752], anche la bella terra ossia
Borgo Santo Sepolcro fu proditoriamente tolta in quest'anno nel dì 26
d'agosto alla Chiesa romana. Per tali e tante turbolenze e movimenti
di guerra, che il duca di Milano fingeva fatti dal Piccinino senza
ordine suo, e mostrava anzi di lamentarsene, i Fiorentini richiamarono
dal regno di Napoli il conte _Francesco Sforza_, che già s'era accorto
d'essere beffato dal duca di Milano. Se ne tornò egli nella Marca, e
volendo, secondo l'iniquo costume dei guerrieri d'allora, rallegrar
le sue truppe con qualche saccheggio, trovati dei pretesti, che non
mancano mai a chi vuol far del male, andò addosso alla ricca e popolata
terra di Sassoferrato, patria di Bartolo celebre giurisconsulto,
nelle vicinanze di Fabriano[2753]; e senza cercar accordo, in tre
ore d'assalto v'entrò dentro. Quivi ancora fu commessa ogni sorta di
crudeltà e disonestà nel terribil saccomano dato a quei cittadini e
alle lor chiese. Ciò fatto, ridusse parimente colla forza Tolentino già
ribellato a ritornare alla sua ubbidienza. Anche il popolo di Camerino
si ridusse a chiedergli perdono e pace; dopo di che, messe a quartier
d'inverno le sue soldatesche, attese a reclutarle per poter nella
seguente primavera comparir forte in campagna. Terminò i suoi giorni
nel dì 14 di novembre _Malatesta_ signore di Pesaro.
Sole non furono in quest'anno le imprese di sopra narrate di _Niccolò
Piccinino_. Siccome egli era un infaticabil capitano, nè si dava
mai posa, appena sbrigato dalla Romagna, corse nel mese di giugno a
Casal Maggiore, e mise il campo a quella nobil terra posseduta dai
Veneziani[2754]. Non finì il mese, che si renderono que' cittadini con
buoni patti. Passò poi l'Oglio fiume, mise il terrore per tutto il
Bresciano, ed, arrivato al lago di Garda, s'impadronì di Rivoltella
e dell'isola di Sermione. Minutamente son descritti questi ed altri
fatti da Cristoforo da Soldo Bresciano nella sua Storia[2755], e dal
Platina[2756] in quella di Mantova. _Gian-Francesco da Gonzaga_, stato
finora generale dei Veneziani, non fidandosi di loro, giacchè era
terminata la sua condotta, non solamente nel dì 3 di luglio si licenziò
dal loro servigio, ma si accordò anche col duca di Milano, per militare
in favore di lui; ed in oltre, fatte correre le sue genti sul Veronese,
presa Nogarola ed altri luoghi, vi fece molti prigioni. Di questo,
come se fosse un grave tradimento, si lagnarono forte i Veneziani:
intorno a che son da vedere le ragioni del Gonzaga addotte dal Platina.
Prepararono dunque un'armata navale, e nel dì 28 d'agosto la spedirono
su per Po ai danni del duca e del marchese di Mantova. Ed affinchè
_Niccolò marchese_ di Este signor di Ferrara non prendesse partito col
duca, il quetarono con rilasciargli liberamente Rovigo con tutto il suo
Polesine, tanti anni prima dato loro in pegno da esso marchese, quando
era in verde età, per sessanta mila fiorini di oro. Continuò in questo
mentre i suoi progressi Niccolò Piccinino, con insignorirsi di Gavardo,
Garda, Salò, Lacise. E colla medesima prestezza, saltando or qua or
là, ridusse in suo potere Chiari, Pontoglio, Soncino ed altri luoghi,
tutti menzionati da Cristoforo da Soldo. Ma ritrovandosi egli a Roado,
all'improvviso gli arrivò addosso Stefano detto il _Gattamelata_, che
nel dì 10 d'agosto gli diede un pelata con prendere circa quattrocento
cavalli de' suoi, ed ucciderne altrettanti. Prese all'incontro il
Piccinino cento cavalli veneziani e cento fanti, ed in oltre ebbe
Roado e Palazzuolo. Trovossi allora il Gattamelata come bloccato in
Brescia; e perchè il senato veneto non avea esercito dalla parte di
Verona (cosa che molto gli premea), il Gattamelata per quel di Lodrone
e di Trento con tre mila cavalli e due mila fanti passò sino a Verona,
e per ricompensa ebbe il bastone di generale. Tentò l'armata veneta
navale sul Po Sermido, terra del marchese di Mantova, ma con poca
fortuna, e se ne tornò indietro. _Pietro Loredano_ comandante d'essa,
giunto a Venezia, tardò poco a sbrigarsi da questa vita, e fu detto per
malinconia della sua sfortunata spedizione. Intanto Niccolò Piccinino
pose l'assedio alla città di Brescia, e intorno ad essa fabbricò
alquante bastie. Fu gran peste nell'anno presente in Genova, e portò al sepolcro migliaia di persone.
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