2016년 6월 30일 목요일

Annali d'Italia 180

Annali d'Italia 180



papa Martino. Ma perchè seppe anche papa Eugenio giocar di danaro,
il Caldora tornò ad assisterlo. Oltre a ciò, i Veneziani e Fiorentini
spedirono in aiuto del pontefice _Niccolò da Tolentino_ con un corpo
di gente, di maniera che egli potè dar la legge ai Colonnesi ribelli.
Trattossi dunque di accordo[2621]; e questo conchiuso, fu solennemente
proclamato nel dì 22 di settembre. In vigor d'esso il principe di
Salerno rilasciò al papa settantacinque mila fiorini d'oro: salasso
che, unito col resto da lui speso in guadagnare il Caldora, gli votò
affatto di sangue gli scrigni. Nè qui finì la sua disgrazia. Per
attestato di Biondo[2622], teneva egli presidio, non senza biasimo
del defunto suo zio, in Orta, Narni, Soriano, Gualdo, Nocera, Assisi,
Ascoli, Imola, Forlì e Forlimpopoli. Fu obbligato a dimettere tutto.
Diede in oltre occasione questo torbido alla regina Giovanna[2623] di
togliere al suddetto Antonio il principato di Salerno, e tutto quanto
ella avea dianzi donato, per le continue istanze di papa Martino, ai
di lui nipoti nel regno di Napoli: risoluzione non di meno, che non
dovette andare esente da taccia d'ingratitudine, perchè quella corona
ch'ella portava in capo si potea chiamare un dono d'esso papa Martino.
Abbiam già veduto quanto egli avea fatto per lei. Attese ancora il
pontefice Eugenio in questi medesimi tempi ad estinguere il fuoco
che tuttavia durava per la ribellion di Bologna, giacchè quel popolo
concorreva a ritornar alla sua ubbidienza[2624], purchè ottenesse
buone condizioni. Ed in fatti le ottenne, perchè il papa, vedendo
risorta la guerra fra il duca di Milano dall'una parte, e i Veneziani e
Fiorentini dall'altra, giudicò meglio di contentarsi di quel che potè,
e di far cessare quel rumore. Adunque nel dì 24 d'aprile si pubblicò
in Bologna la pace stabilita da quel popolo col papa, e successivamente
v'entrarono i commessarii del papa a prenderne il possesso e dominio.
 
Erano irritati forte i Fiorentini contra di _Filippo Maria duca_ di
Milano, perchè loro avea tolto di mano l'acquisto di Lucca, e perciò
di gran premura faceano in Venezia perchè s'aprisse un nuovo teatro
di guerra. I Veneziani anch'essi, al vedere il duca sì inquieto e
sempre armato, inclinavano a sfoderar di nuovo la spada; e tanto
più perchè le esortazioni del _Carmagnola_ e le conquiste fatte
nelle precedenti due guerre faceano loro sperare di accrescerle
collo imprenderne un'altra[2625]. Mandò bensì il duca ambasciatori
a Venezia per giustificare il fin qui operato da lui, e per trattare
d'aggiustamento; ma vedendosi i saggi Veneziani menare a spasso con
sole parole disgiunte da fatti, finalmente diedero all'armi. Forse il
duca non desiderava che questo: cotanto gli stava sul cuore la perdita
di Brescia e di Bergamo, e la speranza che la fortuna potesse cangiar
faccia per lui. Aveva egli al suo servigio _Niccolò Piccinino_, ardito
e valoroso capitano. Per opera ancora del fu _papa Martino V_ s'era di
nuovo acconciato al suo servigio il _conte Francesco Sforza_[2626],
il quale avea assaporata la speranza a lui data delle nozze di
_Bianca_ figliuola legittima del duca, in età allora non ancor atta al
matrimonio. La prima impresa che tentò il conte Francesco Carmagnola,
fu quella di Soncino. Gli fu promessa da quel castellano l'entrata in
quella terra, mercè di un grosso regalo di contanti; ma il trattato
era doppio. Presentatosi dunque colà il Carmagnola nella mattina del
dì 17 di maggio con tre mila cavalli e più di due mila fanti, in vece
della porta aperta di Soncino, trovò Francesco Sforza ed altri capitani
ducheschi colle loro squadre che gli fecero il che va là. Attaccossi la
mischia, e fu un maraviglioso fatto di armi che durò sino alla notte
colla totale sconfitta del Carmagnola, il qual forse con soli sette
cavalli si ridusse a Brescia. Restaronvi prigionieri circa mille e
cinquecento cavalieri, oltre alla fanteria. Il Sanuto[2627] Veneziano
sminuisce non poco questa vittoria. Comunque sia, e posto ancora
che grande fosse il danno patito in questa lagrimevol giornata dai
Veneziani, pure alla lor potenza e borsa non fu difficile l'accrescere
in breve, non che il ristorare l'armata loro di terra, con ispedire
nello stesso tempo un'altra possente armata navale per Po alla volta di
Cremona, comandata da _Niccolò Trivisano_: alcuni la fanno ascendere a
cento legni tra grossi e sottili. Più di dodici mila cavalli militavano
allora in Lombardia sotto le insegne venete. Avea anche il duca di
Milano preparata la sua flotta navale, il cui capitano era _Pacino
Eustachio_ da Pavia. Sen venne questa nel dì 22 di maggio[2628] (il
Simonetta dice[2629] nel dì 23) contro la nemica, e cominciò all'ore
ventidue, tre miglia lungi da Cremona, la battaglia, che durò sino
alla notte, con restar presi cinque galeoni ducheschi. Ma essendo
nell'alba del giorno seguente _Francesco Sforza_, _Niccolò Piccinino_
(il Sanuto nol nomina). _Guido Torello_ ed altri capitani entrati con
gran numero di genti d'armi negli stessi galeoni, la mattina suddetta
sì bruscamente assalirono i Veneziani[2630], che tutta la lor flotta
rimase sterminata, e vennero in potere de' vincitori ventotto galeoni
con altre barche, armi e munizioni senza numero, e circa otto mila
prigioni. Avea il general Trivisano mandato a chiedere soccorso al
Carmagnola, che stava accampato in quelle vicinanze coll'esercito di
terra; ma egli punto non si mosse, dicono per avviso furbescamente
fattogli dare che l'armata terrestre del duca si metteva in ordine per
dargli battaglia. L'autore della Cronica di Bologna[2631], che si trovò
presente a questo fatto d'armi, asserisce essere stato quello uno dei
più formidabili e mortali che mai si fossero veduti in Po, ed essere
stati maggiori i fatti di quel che fu scritto. Certamente incredibile
fu il danno patito in tal congiuntura dalla repubblica veneta[2632]. Nè
il Carmagnola nel resto dell'anno si attentò a far altra impresa, se
non che nel dì 15 d'ottobre, avendo inteso che si facea poca guardia
in Cremona, spedì colà un corpo de' suoi, ai quali riuscì di dare una
scalata alla picciola fortezza di San Luca e di prenderla. Quivi si
mantennero costoro per due dì, senza che il Carmagnola dipoi, tuttochè
avvisato, volesse marciare a quella volta, allegando per iscusa di
temer degli aguati de' nemici. Parte di quella gente da' Cremonesi
fedeli al duca fu presa, e gli altri se ne tornarono al campo. E
qui ebbero principio le diffidenze de' Veneziani contra del medesimo
Carmagnola.
 
Nè solamente guerra fu in quest'anno in Lombardia. La sua parte
n'ebbe anche la Toscana[2633]. Erano entrati i Sanesi e i Lucchesi
in lega col duca di Milano contra de' Fiorentini. In Pisa stessa quel
popolo, bramoso di ricuperare la perduta libertà, non era quieto. Ora
trovandosi tuttavia nella primavera di quest'anno, cioè prima della
guerra veneta, _Niccolò Piccinino_ in Lunigiana[2634], dopo aver tolto
Pontremoli a _Gian-Luigi del Fiesco_, nel dì 22 di marzo comparve sul
Lucchese, ed, inoltratosi sul Pisano, cominciò a prendere varie di
quelle castella. Passò anche sul Volterrano, siccome uomo speditissimo
nelle sue imprese: nel qual tempo anche i Sanesi apertamente mossero
guerra a Firenze, ed altrettanto ancora fece _Jacopo_, ossia _Lodisio
Appiano_ signor di Piombino. Erano a mal partito i Fiorentini
allora, perchè sprovveduti di esercito e di capitano, e malmenati dal
Piccinino, che ogni dì andava prendendo nuove terre, e lor conveniva
tener buon presidio in Pisa, Arezzo ed altre città minacciate.
Presero pertanto al loro servigio _Niccolò da Tolentino_ e _Micheletto
Attendolo_ da Cotignola colle lor genti d'armi. Frequenti erano in
questo secolo i condottieri d'armi italiani, annoverati nelle Croniche
di Marino Sanuto. Cadaun di questi venturieri conduceva la truppa de'
suoi combattenti, chi più chi meno, e prendeva poi soldo dove migliore
trovava il mercato. Ma la salute de' Fiorentini altronde venne. Da
che i Veneziani con tante forze ebbero aperto il teatro della guerra
contro lo Stato di Milano, abbisognando il duca del Piccinino e delle
sue truppe, il richiamò in Lombardia, e ne ricevè poi buon servigio,
per quanto abbiamo veduto. Aveano essi Veneziani, a fine di far maggior
diversione all'armi del duca[2635], e di sovvenire ancora al bisogno
de' Fiorentini, inviata nel Mediterraneo a Porto Pisano una flotta di
galee e d'altri legni comandata da _Pier Loredano_, dove si congiunse
con altri legni de' Fiorentini. S'incontrò questa nel dì 27 d'agosto
in vicinanza di Portofino colla genovese, inferiore di forze, di cui
era capitano _Francesco Spinola_[2636]. Attaccata la battaglia, per
tre ore continue rabbiosamente si combattè fra quelle due nazioni
_ab antiquo_ nemiche, finchè, superata la capitana di Genova, si
dichiarò la vittoria in favore de' Veneziani, colla presa di sette
o otto galee[2637], e dello stesso ammiraglio Spinola. Dalla parte
ancora del Monferrato fecero guerra al duca di Milano i Veneziani
e Fiorentini, avendo tirato nella lor lega _Gian-Giacomo_ marchese
di quella contrada, e _Bernabò Adorno_ ribello di Genova e padrone
di alcune castella nel Genovesato, il quale nel mese di settembre
infestò non poco la Riviera occidentale de' Genovesi. Spedito dal
duca a quella volta _Niccolò Piccinino_ nell'ottobre, ebbe la maniera
di sconfiggerlo e farlo prigione nel dì 9 di quel mese. Dopo di che,
per attestato di Giovanni Stella e del Sanuto, egli rivolse l'armi
contra del Monferrato, e durante il verno ridusse quasi in camicia
quel marchese[2638] con torgli la maggior parte delle di lui terre,
annoverate da Benvenuto da San Giorgio[2639]. Non gli restava più
se non Casale di Sant'Evasio con pochi altri luoghi, quando _Amedeo
duca di Savoia_, parente suo e del duca di Milano, s'interpose per
aggiustamento. Restò conchiuso che il marchese depositasse quelle poche
terre, che restavano in mano sua, in quelle di Amedeo duca di Savoia;
il che fu eseguito. Egli poi pieno d'inutili pentimenti incognitamente
per gli Svizzeri si portò a Venezia ad implorar l'aiuto di quel
senato, e a vivere alle spese dei Veneziani. Il Simonetta[2640] e il
Corio[2641] suo copiatore, e, quel che è più, il Biglia attribuiscono
l'impresa del Monferrato al _conte Francesco Sforza_. Potrebbe essere
che anche egli intervenisse a quella festa; s'egli poi fosse, o il
Piccinino, come pretende il Poggio e Giovanni Stella, autore anch'esso
contemporaneo, il principal mobile di quell'impresa, nol saprei dire.
Aggiungono bensì tali autori, avere le soldatesche del duca in tal
congiuntura commesse tali enormità, sfoghi, incendii e crudeltà contra
dei Monferrini, che il raccontarle farebbe orrore.
 
Era negli anni addietro stato occupato _Sigismondo re_ de' Romani,
d'Ungheria e Boemia nelle terribili guerre degli ostinati eretici
Ussiti, che sconvolsero lungamente la Boemia, e costarono sangue
senza fine[2642]. In quest'anno, giacchè erano in qualche calma i suoi
affari della Germania, determinò di venire in Italia per prendere le
corone. Arrivò, non so dire se nell'ottobre, oppure nel novembre, a
Milano, con seguito di poca gente, accolto con gran solennità da quel
popolo, e lautamente spesato dal duca. Curiosa cosa fu il vedere che
esso _duca Filippo Maria_, il quale soggiornava allora a Biagrasso per
cagion della peste, quantunque praticasse tutte le maggiori finezze
a questo gran principe sovrano suo, pure non si lasciò mai vedere a
Milano, finchè vi dimorò Sigismondo, non so se per diffidenza, o per
qualch'altro motivo. Certo è che non gli volle mai permettere l'entrata
nel castello di Milano[2643]. Egli era una testa particolare. Nel dì
25 del suddetto novembre, festa di santa Caterina[2644], seguì nella
basilica di Sant'Ambrosio di Milano la coronazione di Sigismondo,
avendogli _Bartolomeo Capra_ arcivescovo posta in capo la corona
ferrea. Fermossi poi in Milano nel verno, disponendo intanto il suo
viaggio alla volta di Roma. Nei dì 5 di maggio dell'anno presente[2645]
i tre _Malatesti_, che dominavano in Rimini, Fano e Cesena, essendo
di poca età, furono in pericolo di perdere la lor signoria per una
sollevazione, non so se ordinata da _Malatesta_ signore di Pesaro,
oppure dagli uffiziali di _papa Eugenio_. Solamente apparisce che in
questi tempi in Forlì dominava il pontefice. Ne' medesimi tempi Città
di Castello assediata da _Niccolò Fortebraccio_[2646] ebbe soccorso
da _Guidantonio conte_ d'Urbino, e restò libera dalle unghie di lui.
Furono infestati nell'autunno di quest'anno i Veneziani[2647] nel
Friuli dagli Ungheri per ordine del _re Sigismondo_ a petizione del
duca di Milano, fra cui ed esso re passava buona corrispondenza ed
amicizia. D'uopo fu che il senato inviasse al riparo _Taddeo marchese_
d'Este con altri condottieri d'armi, i quali non perderono tempo a
sconfiggere quei barbari, e a farli tornar di galoppo alle lor case.
Si diede principio in questo anno al concilio generale di Basilea,
presidente del quale fu a nome del papa _Giuliano Cesarino_, cardinale di gran credito in questi tempi.

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