Annali d'Italia 101
in aiuto del conte furono anche essi presi, rubati di tutto e ritenuti
prigioni. Il Manfredi e _Francesco degli Ordelaffi_ signore di Forlì,
per resistere al conte Astorgio, aveano preso al lor soldo il _duca
Guarnieri_ condottiere di cinquecento barbute tedesche, il quale si era
partito dal regno di Napoli, siccome dicemmo. Fece correr voce il conte
ch'esso duca, per trattato di Giovanni de' Pepoli, era venuto a Faenza,
e per questo egli avea fatto mettere le mani addosso al Pepoli. Se ciò
sussistesse, nol so dire: ben so che questa prigionia fu universalmente
tenuta per un gran tradimento, e che in que' tempi i ministri inviati
dal papa in Italia furono per lo più in concetto d'uomini di poca
lealtà e capaci di tutto, ma spezialmente attenti ad empiere le loro
borse. Abbiamo dalla Cronica Estense che nel precedente giugno avea lo
stesso conte della Romagna tenuto dei trattati segreti, con promessa
di trenta mila fiorini d'oro ai traditori, per far uccidere Giovanni e
Jacopo dei Pepoli; ma, scoperta la trama, ebbe fine colla morte di due
nobili bolognesi. Condotto _Giovanni de' Pepoli_ nelle carceri d'Imola,
gli fu proposto, se amava la libertà, di cedere Bologna all'armi
del papa: al che si mostrò egli o fintamente o veramente disposto,
e cominciò a scriverne a Jacopo suo fratello. Intanto il conte
s'impadronì di Castello San Pietro; ma perciocchè le sue soldatesche,
per ritardo di paghe, si ammutinarono, pretendendo settanta mila
fiorini d'oro, il conte, non avendo altro ripiego, mise in lor mano
Giovanni de' Pepoli per pegno, con tassare il di lui riscatto ottanta
mila fiorini d'oro. Oltre a ciò, lasciò loro in guardia Castello San
Pietro, ed accrebbe poi le ostilità contra Bologna. Fece allora _Jacopo
de' Pepoli_ venire il _duca Guarnieri_ con sua gente per difesa della
città, e ricorse ancora per aiuto a _Giovanni Visconte arcivescovo_ e
signor di Milano. Bella occasione di pescar nel torbido parve questa
al Visconte, personaggio pieno d'ambizione e di vaste idee non meno del
fu suo fratello Luchino. Anch'egli perciò mandò un corpo di cavalleria
in rinforzo ai Pepoli. Gliene spedì eziandio _Ugolino Gonzaga_, e vi
andò in persona _Malatesta_ signor di Rimini con assai gente: stomacati
tutti del tradimento fatto dal ministro papale a Giovanni de' Pepoli.
Per lo contrario, _Mastino dalla Scala_, ricordevole che i Pepoli erano
stati in lega coi Gonzaghi contra di lui, inviò nuova gente in sussidio
del conte della Romagna.
Trovandosi intanto Giovanni de' Pepoli in ostaggio de' soldati
pontificii, venne ad un accordo, promettendo loro venti mila fiorini
d'oro di presente, e il resto per tutto il dì 6 di settembre; e se
ciò non eseguiva, di tornar nelle loro forze, con dare intanto per
ostaggi i suoi figliuoli. Ebbero esecuzione i patti, ed egli rimesso
in libertà, giacchè gli andò a vuoto un trattato di sorprendere
il conte della Romagna, nel dì 9 di settembre cavalcò a Milano per
trattare con Giovanni Visconte de' suoi affari. Trovavansi questi in
male stato, perchè forze non c'erano per resistere alla guerra mossa
dal conte di Romagna, e mancava la pecunia per riscattare i figliuoli.
Parte dunque per necessità, e parte per vendicarsi del medesimo conte,
segretamente vendè la città di Bologna all'arcivescovo Visconte per
ducento mila fiorini, secondo Matteo Villani[1486]; laonde il Visconte
spedì tosto a Bologna i due nipoti _Bernabò_ e _Galeazzo_ con gran
gente d'armi come ausiliarii de' Pepoli. Allorchè essi Pepoli si
avvisarono d'essere assai forti per poter eseguire il contratto[1487]
fecero eleggere signor di Bologna _Giovanni Visconte_ nel dì 25
d'ottobre, ma con rabbia e dispetto de' migliori e del popolo tutto,
che andava gridando per le strade: _Noi non vogliamo essere venduti_.
Tuttavia bisognò prendere il giogo. Era ne' tempi addietro Bologna
considerata, non come una città, ma come una provincia: tanto lungi
si stendeva il suo distretto, e tanta era la copia degli scolari, i
quali talvolta arrivarono al numero di tredici mila. L'acquisto fattone
dall'arcivescovo di Milano fu un principio di grandi sciagure per
essa città, sì perchè il popolo guelfo di fazione non sapea sofferire
il giogo dei Ghibellini, e sì perchè di ciò s'ingelosirono forte i
Fiorentini ed altri principi di Lombardia, conoscendo abbastanza la
sfrenata avidità del Biscione: che così si cominciò a soprannominar
la casa dei Visconti per cagione della vipera, ossia del serpente
dell'armi sue gentilizie. Nei patti suddetti Jacopo de' Pepoli si
riserbò la signoria di San Giovanni in Persiceto e di Sant'Agata, e
Giovanni quella di Crevalcuore e Nonantola: il che maggiormente accese
l'odio de' Bolognesi contra dei Pepoli.
Fu in quest'anno[1488] che _Giovanni Visconte_, per meglio stabilire la
sua casa, procurò a _Bernabò_ suo nipote in moglie _Regina_ figliuola
di _Mastino_, e all'altro suo nipote Galeazzo _Bianca_ sorella di
_Amedeo VI conte_ di Savoia. Sul fine di settembre in Verona fu sposata
Regina, e alla nobil funzione intervennero _Obizzo marchese_ d'Este e
_Jacopo da Carrara_ signor di Padova, i quali, secondo l'uso di que'
tempi, non dimenticarono di fare degli splendidi regali alla sposa.
Celebraronsi poscia con pompa maggiore in Milano nel giorno medesimo le
nozze di amendue, e quelle ancora di _Ambrosio_ figliuolo di _Lodrisio
Visconte_. Successivamente nel mese di novembre _Can Grande dalla
Scala_ figliuolo di Mastino prese per moglie _Isabella_ figliuola del
già _Lodovico il Bavaro_, e sorella del _marchese di Brandeburgo_.
Corte bandita e gran solennità fu fatta in Verona per questa occasione
Nell'anno presente[1489] _Lodovico degli Ordelaffi_ s'impadronì di
Bertinoro, e _Francesco degli Ordelaffi_ occupò Meldola. Erano essi
collegati coi _Manfredi_ di Faenza contro al conte di Romagna. Guerra
in questi tempi bolliva tra il patriarca di Aquileia _Beltrando_,
Guascone di patria, prelato di grandi virtù, e il _conte di Gorizia_,
con cui si erano uniti molti castellani del Friuli ribelli del
patriarca[1490]. Mentre con ducento uomini d'armi era esso patriarca in
viaggio verso Udine, fu colto da' nemici; nè solamente andò sconfitta
la sua gente, ma restò egli preso, e, trafitto da un colpo di spada,
vi lasciò miseramente la vita. Ciò pervenuto all'orecchio del duca
d'Austria, corse frettolosamente con poderosa copia di combattenti
nel Friuli, e si mise in possesso d'Aquileia, d'Udine e degli altri
luoghi, alla riserva di Sacile. Gran vendetta fu poi fatta di questo
esecrando misfatto. Avea fin qui con assai prudenza governata la città
di Padova _Jacopo da Carrara_, e s'era guadagnato l'amore del pubblico,
ma non già di Guglielmo bastardo da Carrara, che per li suoi cattivi
portamenti era sequestrato in Padova[1491]. Perchè costui non poteva
ottener la licenza d'andarsene a suo piacimento, talmente s'inviperì,
che nel dì 21 di dicembre, festa di san Tommaso, trovandosi con esso
solo in una camera, sfoderato un coltello, gli tagliò il ventre,
onde cadde morto a terra, Guglielmo dalle guardie fu messo in brani.
Universale fu il pianto de' cittadini per questa perdita; e perciocchè
non si trovava in città se non _Marsilio_ fanciullo, figliuolo di esso
Jacopo, fatto un gran concorso al palazzo, fu creduto bene di metterlo
a cavallo e di condurlo per la città, acciocchè si tenesse in quiete il
popolo, finchè venissero _Jacopino_ fratello e _Francesco_ primogenito
dell'ucciso signore, i quali venuti nel dì 22 del suddetto mese,
entrambi furono di comun concordia del popolo proclamati signori.
Terminò in quest'anno sul principio di gennaio o di febbraio i suoi
giorni _Giovanni da Murta_ doge di Genova, dopo aver con assai zelo
e prudenza governata quella repubblica[1492]. In luogo suo fu eletto
_Giovanni di Valente_. Ma in questo anno ebbe principio una nuova
guerra fra i Genovesi e i Veneziani, nazioni emule da gran tempo per
la mercatura che faceano in Levante. Erano i primi padroni di Gaffa
nella Crimea[1493], e pretendendo che i Veneziani non navigassero nel
mar Nero, ossia Maggiore, presero alcuni loro legni, e ne ritennero
la mercatanzia. Essendo riuscite vane le istanze fatte per via di
ambasciatori, affinchè restituissero il maltolto, adunarono i Veneziani
una flotta di trentacinque galee sotto il comando di Marco Ruzino. Con
questa avendo colte nel di 29 di agosto quattordici galee di mercatanti
genovesi ad Alcastri, cinque ne presero, e all'altre fu messo fuoco
da' Genovesi medesimi; oppure, secondo lo Stella, dieci vennero alle
loro mani, e quattro si salvarono a Scio. Più di mille prigioni furono
condotti a Negroponte. Ecco dunque dichiarata la guerra fra queste
due nazioni, sì potenti allora in mare. Diede essa motivo dipoi a'
Veneziani di collegarsi col _re di Aragona_, nemico anch'esso de'
Genovesi; e di queste maledette divisioni e rivalità de' cristiani
seppero ben profittare allora i Turchi con istendere la loro potenza
nell'Asia. Benchè sembrassero gli affari del re d'Ungheria in assai
buono stato dopo la rotta data ai Napoletani, pure cangiarono presto
faccia per l'infedeltà ed ingordigia de' Tedeschi, comandati dal _duca
Guarnieri_. Cominciarono essi a tumultuare in Aversa per cagion delle
paghe che non correvano[1494]. _Stefano vaivoda di Transilvania_,
generale dell'armata unghera, tentò di placarli col dar loro nelle
mani i baroni napoletani prigioni, acciocchè col riscatto di essi
si rimborsassero. Racconta il Gravina che que' crudi masnadieri,
per indurre essi nobili a pagare cento mila fiorini d'oro, con varii
tormenti li ridussero quasi a morte: laonde promisero di pagare quella
somma, che Matteo Villani fa ascendere fino a ducento mila fiorini.
Ma neppur questo bastando al compimento delle paghe da loro pretese,
si scoprì una risoluzione da lor fatta di far prigione lo stesso
vaivoda. Perlochè il vaivoda una notte con tutti i suoi Ungheri se ne
andò alla volta di Manfredonia. Rimasti i Tedeschi padroni d'Aversa e
d'altri luoghi, trattarono una tregua col _re Luigi_ e coi Napoletani,
ricavandone cento mila fiorini d'oro. Cento altri mila furono loro
promessi, se cedevano Aversa, Capoa ed altri luoghi ad esso re Luigi.
Ma in fine costoro, non avendo più sussistenza di viveri, si ritirarono
da Aversa, e la depositarono in mano del cardinal di Ceccano[1495].
Il duca Guarnieri con settecento cavalieri, siccome dicemmo, venne
dipoi a Forlì e Bologna, dove prese soldo. Corrado Lupo con altri
Tedeschi si acconciò di nuovo ai servigi del vaivoda. Avendo poscia
il re Luigi ripigliato Aversa, e fortificatala, parevano risorti i
di lui affari, quando eccoti _Lodovico re_ d'Ungheria, che con gran
gente, mosso dalle sue contrade, viene a sbarcare in Manfredonia.
Unite insieme le sue forze in Baroli, si trovò che ascendevano a quasi
quattordici mila Ungheri a cavallo ed otto mila Tedeschi parimente
cavalieri, e a quattro mila fanti lombardi. Il Villani, forse con più
fondamento, la fa minore di qualche migliaio. Conquistò Bari, Bitonto,
Baroli, Canosa, Melfi, Matalona, Trani ed altre terre. I Salernitani
gli aprirono le porte: in una parola venne alle di lui mani, fuorchè
Aversa e Napoli, tutta la Terra di Lavoro. Lungo tempo si trattenne
dipoi il re d'Ungheria all'assedio di Aversa, nè, per quanti assalti
desse alla terra con gran perdita di sua gente, potè vincerla. L'ebbe
in fine per trattato da quei cittadini. Ma intanto papa _Clemente
VI_ non intermetteva diligenza alcuna per mettere fine a questo fiero
sconvolgimento del regno di Napoli, facendo proporre, per mezzo di due
cardinali, tregua o pace. Il re d'Ungheria, che gran voglia avea di
ritornarsene al suo paese, vi diede orecchio; molto più il _re Luigi_ e
_la regina Giovanna_ sua moglie, che erano giunti al verde, nè sapeano
più come sostenersi. Fu dunque rimessa al pontefice la cognizion della
differenza, con che intanto i due re e Giovanna uscissero del regno.
Se si trovava colpevole la regina della morte del _duca Andrea_, dovea
perdere il regno, e questo darsi al re unghero; se innocente, avea
da tornarne in possesso, e pagare al re unghero per le spese della
guerra trecento mila fiorini d'oro. Venne il re d'Ungheria per sua
divozione a Roma, e poscia si ridusse ai suoi stati d'Ungheria. La
sentenza della corte pontificia in fine fu favorevole alla _regina
Giovanna_, come ogni saggio ben prevedeva; e il re di Ungheria per
sua magnanimità neppur volle o pretese i trecento mila fiorini, che
gli si doveano secondo i patti. In quest'anno _Benedetto di Buonconte
de' Monaldeschi_, dopo avere ucciso due de' suoi consorti, si fece
signore d'Orvieto. _Giovanni de' Gabrielli_ anch'egli prese la signoria
di Gubbio; e perciocchè i Perugini andarono all'assedio di quella
città, il tiranno chiamò in suo aiuto _Bernabò Visconte_, che per
l'arcivescovo suo zio vi mandò un rinforzo di cavalleria, e in questa guisa si difese.
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