Annali d'Italia 102
[1482] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1483] Matteo Villani, lib. 1, cap. 56.
[1484] Vita di Cola di Rienzo, Antiquit. Ital.
[1485] Annal. Caesen., tom. 14 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1486] Matteo Villani, lib. 1. Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer.
Ital.
[1487] Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1488] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Cortusiorum Histor., tom. 12
Rer. Ital. Chron. Bononiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1489] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
[1490] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1491] Gatari, Histor. Padov., tom, 17 Rer. Ital. Cortus. Histor.
[1492] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1493] Marino Sanuto, Ist., tom. 22 Rer. Ital.
[1494] Dominicus de Gravina, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1495] Matteo Villani, lib. 1, cap. 87.
Anno di CRISTO MCCCLI. Indizione IV.
CLEMENTE VI papa 10.
CARLO IV re de' Romani 6.
L'acquisto fatto da _Giovanni Visconte_ arcivescovo di Milano della
città di Bologna, con indignazione era stato inteso da papa _Clemente
VI_[1496], sì per vedere occupata da un sì potente signore una sì
riguardevol città della Chiesa, come ancora per conseguenze fastidiose
che ne poteano avvenire. Però nel novembre dell'anno precedente gli
avea scritto un breve fulminante, con ordine di restituire entro un
termine prefisso quella città, e con intimazione delle censure contra
di lui, di _Galeazzo_ suo nipote e dei _Pepoli_, se non ubbidiva.
Mandò anche in Italia nell'anno presente un suo nunzio per far leghe
contra del Visconte. Se s'ha in ciò da prestar fede al Corio[1497],
arrivato questo nunzio a Milano nel gennaio di quest'anno, rinnovò le
istanze pontificie per la restituzion di Bologna, e disse per parte del
papa al Visconte, che si eleggesse, o d'essere solamente arcivescovo,
o solamente principe temporale, perchè l'uno e l'altro non volea
che fosse. Aspettò l'arcivescovo a dargli la risposta la seguente
mattina nel duomo, dopo aver celebrata solenne messa. Fatta ripetere
l'istanza del nunzio in presenza del popolo, prese colla man manca la
croce, e coll'altra una spada nuda, e disse al prelato: _Monsignore,
risponderete al papa da parte mia, ch'io con questa difenderò l'altra_.
Il pontefice, avuta questa risposta, sottopose all'interdetto tutte
le città dell'arcivescovo, e citò lo stesso arcivescovo a comparire in
Avignone: al che gli fece sapere d'essere pronto. Diede intanto ordine
al suo ministro d'Avignone di far quivi de' preparamenti per dodici
mila cavalli e sei mila fanti; e il ministro cominciò con furia a
preparar fieno e case per li forestieri che il Visconte andava mandando
colà. Avvisatone il papa, volle saperne da esso ministro la cagione: e
uditala, e che la spesa già fatta ascendeva a quaranta mila fiorini,
gli rimborsò quella somma, e comandogli di far sapere al suo padrone
che non s'incomodasse per venir colà. Non farei sicurtà io che questo
non fosse uno di que' racconti che vengono dal popolo per esaltar le
cose del proprio paese. Quello che è fuor di dubbio, l'oro, sì potente
in tante altre congiunture, qui ancora esercitò il suo potere. Cioè
nel dì 24 di settembre dell'anno presente ebbe maniera il Visconte di
riportar dal papa l'investitura di Bologna collo sborso di centomila
fiorini d'oro in due rate; e così cessò tutta la collera della corte
pontificia contra del Biscione. Ma da Matteo Villani[1498] questo
accordo è riferito al dì 8 di maggio, e dal Gazata[1499] all'ottobre
dell'anno seguente. Secondo lo stesso Villani, il Visconte diede da
bere a tutti i maggiorenti d'essa corte, come dicono in Milano, nella
tazza di santo Ambrosio. E perciocchè i Fiorentini, pensando ai casi
loro, studiaronsi di far venire in Italia _Carlo IV_ re de' Romani,
seppe molto bene l'arcivescovo trattenere quest'altro principe con
aurei regali, e con rappresentargli, qual indecenza sarebbe il venire
contra chi sosteneva i diritti dell'imperio in Italia, laddove i
Fiorentini e gli altri Guelfi non cercavano se non di abolirli.
Mentre queste cose passavano in corte del papa, _Bernabò Visconte_,
il quale in vece del fratello _Galeazzo_ era ito al comando di
Bologna[1500], riscattò dalle mani de' Tedeschi i due figliuoli di
_Giovanni dei Pepoli_, e da essi ricavò ancora il possesso di Castello
San Pietro, e ricuperò Lugo, ed ogni altra fortezza e castello del
Bolognese. Il _duca Guarnieri_ soddisfatto delle sue paghe, e carico
d'oro, andò ai servigi di _Mastino dalla Scala_; e il conte della
Romagna[1501], cioè _Astorgio di Duraforte_, accortosi tardi della
pazza sua condotta e dei mali effetti della sua dislealtà, screditato
se ne tornò oltramonti. A dì 14 di aprile arrivò al governo di Bologna
_Giovanni Visconte_ da Oleggio. La parzialità e fidanza grande che
aveva in costui l'arcivescovo, fecero credere a molti ch'egli fosse suo
figliuolo. Nel dì 3 di maggio l'esercito del Visconte andò allo assedio
d'Imola sotto il comando di Bernabò, con cui furono _Francesco degli
Ordelaffi_ signor di Forlì e _Giovanni de' Manfredi_ signor di Faenza.
Ma dentro v'era _Guido degli Alidosi_, che fece una gloriosa difesa,
finchè l'arcivescovo mosse l'armi sue contro la Toscana. Intanto nel
dì 21 di giugno si scoprì un trattato in Bologna; se vero o finto, io
nol saprei dire. Andando la notte in ronda un uffiziale di Giovanni
da Oleggio, trovò la porta di Strà Castiglione non serrata con chiave.
Imprigionato il capitano e tormentato, accusò _Jacopo de' Pepoli_ come
congiurato coi Fiorentini, per ritorre quella città; e nominò alcuni
complici, i quali tormentati confessarono lo stesso. Fu perciò preso
Jacopo de' Pepoli ed Obizzo suo figliuolo, dimorante in San Giovanni
in Persiceto, terra che, non men di Crevalcuore e di Sant'Agata, si
diede poco appresso a Giovanni da Oleggio. Francamente se ne andò
a Milano _Giovanni dei Pepoli_, che dimorava allora in Nonantola, a
lamentarsi coll'arcivescovo di quanto avea operato il di lui uffiziale,
pretendendolo un'iniquità e una mera calunnia. Gli fu permesso di
stare in Milano coll'assegno d'una pensione mensuale, purchè facesse
venir colà un suo figliuolo, e cedesse la terra di Nonantola: il che
fu eseguito. Jacopo condannato ad una perpetua carcere, nell'ottobre
fu condotto a Milano; ma alcuni de' suoi compagni come rei finirono la
vita loro sopra un patibolo in Bologna. Dacchè Giovanni Visconte non
potea, per li patti fatti col papa, stendere le sue conquiste verso
la Romagna, rivolse i suoi pensieri alla Toscana. Sturbò le leghe che
andavano maneggiando in Lombardia i Fiorentini, ed egli tirò al suo
partito i Pisani e tutti i Ghibellini di quelle parti. Non isbigottiti
per questo i Fiorentini[1502], attesero a premunirsi contra l'ingordo
prete, che colla sua potenza già si scopriva disposto ad ingoiar
tutti i vicini. La prima loro impresa fu di assicurarsi di Pistoia.
V'erano dentro delle turbolenze per la nemicizia dei Panciatichi coi
Cancellieri; e temendo che non ne approfittasse il Biscione, il quale
tuttavia faceva dell'amico loro, nel dì 26 di marzo tentarono di
sorprenderla con una scalata sul fare del giorno. Fallito il colpo,
misero l'assedio a quella città, e la tennero stretta per qualche
tempo, finchè, venuti gli ambasciatori di Siena a trattare d'accordo,
ottennero sul fine d'aprile che quel popolo prendesse alla loro guardia
i Fiorentini.
Era quasi spirato il mese di luglio, quando si fecero palesi i disegni
dell'arcivescovo e signor di Milano _Giovanni Visconte_ contra de'
Guelfi toscani. Marciò il di lui esercito da Bologna alla volta di
Pistoia, ed, impadronitisi della Sambuca, si accampò sul territorio
di Pistoia. Ne era capitan generale il soprammentovato _Giovanni
da Oleggio_. Nello stesso tempo si mossero contro ai Fiorentini gli
Ubaldini, i Tarlati e i Pazzi di Valdarno. Cavalcarono dipoi le genti
del Visconte sul distretto di Firenze sino a Campi e Peretola; ma
quivi, cominciando a penuriar di viveri, poco si poterono fermare,
e passarono in Mugello. Cinsero poscia d'assedio la terra di
Scarperia[1503]; ma quegli abitanti col presidio de' Fiorentini fecero
così valorosa difesa, che, per quanti assalti si dessero alla terra,
non solo niun vantaggio ne riportarono gli assedianti, ma furono sempre
respinti con loro danno e vergogna. Sicchè nel dì 16 di ottobre prese
Giovanni da Oleggio il partito di valicar l'Apennino, e di tornarsene
collo screditato suo esercito a Bologna, senza aver preso un castello
di conto. Per sì felice avvenimento furono in gran gloria ed allegria
i Fiorentini, e ne scapitò forte l'onore dell'arcivescovo di Milano.
Nè si dee tacere che nel mese di settembre, mandando i Perugini in
aiuto dei Fiorentini secento de' lor cavalieri, tutta bella gente
d'armi _Pier Saccone_ de' Tarlati, che avea ricevuto un sussidio di
quattrocento cavalieri tedeschi dal capitano del Visconte, postosi in
agguato, gli assalì; e, benchè sulle prime restasse egli prigione,
pure riavuto sconfisse i Perugini con far prigioni trecento de' lor
cavalieri, e prendere ventisette bandiere. Nel novembre seguente esso
Pier Saccone per tradimento entrò in Borgo San Sepolcro, terra molto
ricca, e se ne impadronì: nè i Perugini, con tutto il loro sforzo,
poterono impedire ch'egli non acquistasse ancora le rocche, le quali
si erano tenute forti per qualche tempo. Intanto per la guerra insorta
fra i Veneziani e Genovesi, dall'una e dall'altra repubblica fatto
fu un forte armamento[1504]; ma più in Genova, dove si allestirono
sessantaquattro galee con gran copia d'armati, e massimamente di
balestrieri, sotto il comando di _Paganino Doria_. Passata questa
possente flotta nel mese di luglio nel golfo di Venezia, recò danno
a varii luoghi, e poi dirizzò le prore verso Negroponte, dove erano i
prigioni di lor nazione. Trovarono in quel porto tredici o più galee
veneziane; v'ha chi scrive che le presero, e mandarono a Genova colle
mercatanzie; e chi, avere il general de' Veneziani attaccato ad esse
il fuoco. Tennero gran tempo i Genovesi assediata quella città, e
l'assalirono in fine con tal empito, che v'entrarono per forza, e
liberarono i lor prigioni; ma, conoscendo di non poter tenere quel
luogo, dopo avergli dato fuoco in più siti, se ne andarono a Pera.
Intanto i Veneziani collegatisi coi Catalani, o vogliam dire col re
d'Aragona[1505], nemico spacciato de' Genovesi, gli spedirono ventitrè
corpi di galee, perchè le armasse di sua gente, siccome egli fece.
Altre ventisette ne armarono nobilmente gli stessi Veneziani. Unitisi
questi legni in Sicilia, fecero vela nel novembre verso l'Arcipelago,
e raccolti altri di lor bandiera che erano in Levante, si trovarono
i Veneziani avere una flotta di sessanta galee, che svernò in quelle
parti. Intanto i Genovesi s'erano impadroniti dell'isola di Tenedo,
togliendola ai Greci, ed aveano dato il sacco ad altre loro terre: dopo
di che passarono anch'essi il verno in quelle contrade. Nel dì 3 di
giugno dell'anno presente passò all'altra vita _Mastino dalla Scala_
signore di Verona e Vicenza, principe rinomato e temuto assaissimo
in vita sua, e di cui, più che di altri, Giovanni Visconte cercò
l'amicizia e paventò il valore. Lasciò, oltre a molti bastardi, dopo
di sè tre figliuoli legittimi, cioè _Can Grande secondo, Can Signore_
e _Paolo Alboino_. Era tuttavia vivente _Alberto dalla Scala_ suo
fratello, e questi si contentò che anche i nipoti fossero eletti e
proclamati signori. Ma, o sia che al solo _Can Grande_ fosse data la
signoria con suo zio, oppure che gli altri suoi due minori fratelli
cedessero: certo è che il governo restò in mano di Can Grande dopo la
morte d'_Alberto_, la quale avvenne a dì 13 di settembre dell'anno
seguente, senza che di lui restasse prole alcuna legittima. Riuscì
nell'anno presente al pontefice _Clemente VI_, siccome già accennammo,
di mettere pace fra il _re Lodovico_ d'Ungheria e il _re Luigi_ di
Napoli: laonde gli affari di quest'ultimo cominciarono a prosperare, e
i baroni a poco a poco vennero a riconoscerlo per loro signore.
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