2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 103

Annali d'Italia 103



[1496] Raynaldus, Annal. Ecclesiast.
 
[1497] Corio, Istoria di Milano.
 
[1498] Matteo Villani, lib. 1.
 
[1499] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1500] Cronica di Bologna, tom. eod.
 
[1501] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1502] Matteo Villani, lib. 1, cap. 95.
 
[1503] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1504] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1505] Chron. Veronens., tom. 8 Rer. Ital. Chron. Estense, ubi supra.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLII. Indizione V.
 
INNOCENZO VI papa 1.
CARLO IV re de' Romani 7.
 
 
Fu questo l'ultimo anno della vita di papa _Clemente VI_[1506].
Infermatosi egli in Avignone, passò all'altra vita nel dì 6 di
dicembre. Lasciò dopo di sè la lode d'essere stato pontefice d'animo
grande, liberale e limosiniere. Acquistò Avignone alla Chiesa, e in
quella città fece di sontuose fabbriche, per eternar ivi il soggiorno
de' papi, se avesse potuto, con grave mormorazion degl'Italiani, e
specialmente di Roma. Non si guardò neppur egli d'impiegare il danaro
della Chiesa in guerre. Attese, benchè con poco frutto, a seminar la
pace fra tutti i principi cristiani, non avendo preso partito se non
nella guerra di _Filippo re_ di Francia contra dell'Inglese: nel che
consumò molto tesoro. Il Baluzio[1507], che si sforza di difendere i
suoi papi avignonesi dalle querele e censure degl'Italiani, i quali non
si possono ritenere dal detestare la permanenza de' papi in Provenza,
siccome cagione di tanti disordini della corte pontificia, di Roma
ed anche dell'Italia; dovette credere picciola cosa l'essere divenuti
que' pontefici schiavi delle voglie dei re di Francia e di Napoli; e la
dissolutezza in cui cadde la lor corte fra le delizie d'Avignone. Sotto
lo stesso Clemente VI non solamente essa non migliorò, ma peggiorò
di molto, perchè, per attestato di Matteo Villani[1508], questo papa
in ingrandire ed arricchire i suoi parenti, non conobbe limite, e
_la Chiesa rifornì di più cardinali suoi congiunti, e fecene di sì
giovani e di sì disonesta e dissoluta vita, che ne uscirono cose di
grande abbominazione_. Nè il papa stesso fu in ciò esente da taccia,
non essendosi, allorchè era arcivescovo, guardato dalle femmine: e
neppur nel papato si seppe contenere, andando a lui le grandi donne,
come i prelati; e specialmente la contessa di Turena tanto fu possente
in cuore di lui, che per lei facea gran parte delle grazie. Giunse
poi l'avidità di far danaro ad innumerabili riserve ed espettative
di benefizii, e a conferire a molti lo stesso benefizio, che in fine
toccava a chi avea la fortuna di carpire il breve dell'_Anteferri_.
Lascio gli altri disordini della corte avignonese, onde nacquero non
pochi scandali, in guisa che taluno diede il nome di Babilonia, non
già alla santa Chiesa romana, sempre salda nelle vere dottrine, ma al
dissoluto vivere di quella corte, nel mentre che Roma, legittima sede
e vescovato proprio de' romani pontefici, andava di male in peggio per
la lontananza de' suoi pastori, e tutte le sue città erano ormai cadute
in mano de' tiranni. Nel dì 18 del suddetto dicembre s'affrettarono
i cardinali di eleggere un papa a lor modo, per prevenire il re di
Francia, che veniva in fretta ad Avignone per farne uno a beneplacito
suo[1509]. Cadde l'elezione nel _cardinale Stefano di Alberto_,
nato nella diocesi di Limoges, vescovo allora d'Ostia, personaggio
provveduto di molta scienza, zelo e giustizia, che prese il nome
d'_Innocenzo VI_. Non tardò egli a riformare alcuno de' più gravi abusi
che correvano sotto il suo antecessore, annullando le riserve di tanti
benefizii e tante commende, delle quali non erano mai sazii i porporati
e prelati d'allora, ordinando ancora la residenza ai vescovi e agli
altri benefiziati, che dianzi correvano a darsi bel tempo alla corte
pontificia, e ad uccellar nuovi benefizii. Riformò ancora il lusso
della sua corte e de' cardinali, che era giunto all'eccesso; e cominciò
a conferire i benefizii a persone di merito, laddove prima si davano
per raccomandazione de' favoriti senza esame di dottrina e di costumi.
 
Nel dì 13 di febbraio dell'anno presente vennero in vicinanza di
Costantinopoli i Veneziani e Genovesi, tutti pieni d'odio e d'invidia
gli uni contra degli altri[1510]. Menavano i primi un'armata di
settantacinque galee tra le proprie e le armate da' Catalani, e quelle
di _Giovanni Cantacuzeno imperador_ de' Greci loro confederato. Ne
era generale _Nicoletto Pisani_. La flotta de' Genovesi, comandata
da _Paganino Doria_, ascendeva a sessantaquattro galee. Terribil fu
quella battaglia, fatta in più parti e con più rimesse. Vi si sparse
gran sangue, e in fine parve che la vittoria fosse de' Genovesi.
Imperciocchè il generale de' Catalani, e molti nobili e più di due
mila persone dalla parte dei Veneziani e Catalani vi rimasero uccise;
e furono prese da' nemici quattordici galee venete, dieci de' Catalani
e due de' Greci, e circa mille e ottocento uomini. Ma avendo anche i
Genovesi perdute tredici loro galee, oltre a sei che erano fuggite,
ed essendo morti nel conflitto più di settecento della lor gente,
fra' quali non pochi de' principali cittadini di Genova, neppur essi
cantarono il trionfo. Si ritirarono i Veneziani, perchè più malconci
degli altri, e si accinsero a riparare il danno, per tentare miglior
fortuna in un altro combattimento. I Genovesi all'incontro, per
vendicarsi del Cantacuzeno, chiamati in loro aiuto i Turchi, che vi
andarono con sessanta legni armati, e ricevute da Genova dieci altre
galee, si misero ad assediar Costantinopoli, e ridussero a tale quella
città, che nel dì 6 di maggio obbligarono l'imperadore greco a dimandar
la pace, che fu stabilita con molto loro vantaggio pel commercio, e
coll'espulsione de' Veneziani e Catalani da Costantinopoli, ma con
vergogna del nome cristiano. Seguì nell'anno presente in Napoli la
coronazione del _re Luigi_ e della _regina Giovanna_ per mano di un
legato apostolico, correndo la festa della Pentecoste nel dì 27 di
maggio. Con gran solennità fu eseguita quella funzione[1511], essendovi
intervenuti quasi tutti i baroni e vassalli del regno, a' quali fu
conceduto un generale indulto di tutte le passate ribellioni: con che
tornò a fiorir la pace in quelle contrade. Ma il papa permise al re
Luigi la corona, a condizione che, se mai premorisse a lui la regina
Giovanna senza figliuoli, il regno pervenisse a _Maria_ di lei sorella,
e Luigi dimettesse il titolo di re, con riassumere quello di principe
di Taranto. Per cacciar poscia dal regno Corrado Lupo, il quale con
grosso corpo di Tedeschi s'era afforzato a Nocera de' Pagani, altro
mezzo non ebbe il re Luigi che di adoperar l'efficace ricetta dell'oro,
ottenendo da lui quanto volle, collo sborso di trentacinque mila
fiorini. Fece anche ritornare alla sua ubbidienza la città dell'Aquila.
Ma perchè era rimasto nel regno _fra Moriale_, che cogli Ungheri teneva
tuttavia il castello, ossia la città d'Aversa, mandò il re Luigi per
_Malatesta da Rimini_ con dargli il titolo di vicario del regno. Andò
colà Malatesta con quattrocento cavalieri, e continuò a perseguitare
i ladroni, a tener nette e sicure le strade, e a far pagare le colte.
Finalmente si voltò contra di fra Moriale, ed assediò Aversa, tenendola
talmente stretta per tutto il dicembre, che il costrinse a renderla, e
insieme tutto il tesoro da lui adunato con tante ruberie, fuorchè mille
fiorini d'oro che il re per sua bontà gli permise di asportare.
 
Furono guerre nell'anno presente in Toscana. Quivi sussistevano
tuttavia sparse qua e là molte soldatesche di _Giovanni
Visconte_[1512]. Francesco Castracani degli Interminelli, dopo aver
tenuto l'assedio più di quattro mesi a Barga, terra de' Fiorentini
in Garfagnana, sconfitto da essi Fiorentini, lasciò ivi gli arnesi
e molti prigionieri nel mese di ottobre. Bettona, terra ricchissima,
che non la cedeva alle città[1513], fu assediata dai Perugini, presa
ed interamente disfatta. Pier Saccone dei Tarlati ebbe delle percosse
da' Fiorentini. Gravissime scosse di tremuoto gran danno recarono in
Toscana ed in altre parti. Spezialmente in Borgo Santo Sepolcro[1514]
nel dì 26 di dicembre e ne' susseguenti si rovesciò la maggior parte
degli edifizii, colla morte di circa due mila persone. Roma in questi
tempi, per le civili discordie de' nobili e del popolo, provava
anche essa non pochi affanni. Ne fu cacciato Luca Savelli da Rinaldo
Orsino senatore. Fecero anche i Romani esercito contra Viterbo, ma
vergognosamente se ne tornarono a casa. Nel dì 15 del mese di marzo
infermatosi in Ferrara _Obizzo marchese_ d'Este[1515], fatti a sè
venire i cinque suoi figliuoli, cioè _Aldrovandino, Niccolò, Folco,
Ugo_ ed _Alberto_, a lui nati da Lippa dagli Ariosti, e poi legittimati
col matrimonio, li fece cavalieri, e compartì lo stesso onore ad altri
nobili ferraresi, modenesi, padovani e d'altre città. Poscia nel dì
19 o 20 d'esso mese compiè il corso di sua vita, lasciando nel popolo
un gran desiderio di sè e un giusto motivo di lagrime. Il maggiore
de' suoi figliuoli, cioè _Aldrovandino_, nel giorno seguente fu nel
pieno consiglio di quella città, e così in quello di Modena, eletto
signore. Se l'ebbe a male _Francesco Estense_, figliuolo del _marchese
Bertoldo_, che fin allora era stato in isperanza di succedere in quel
dominio; e però nel dì 2 d'aprile, fingendo di non vedersi sicuro in
Ferrara, se ne absentò, e ritirossi a Padova, poscia in Milano, dove
si diede ad ordir delle tele contra del marchese Aldrovandino, delle
quali parlerò a suo luogo. Per testimonianza del Gazata[1516], storico
di questi tempi, nè suddito della casa d'Este, Aldrovandino era signor
buono, persona d'onore, giusto e savio.
 
NOTE:
 
[1506] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1507] Baluz., Praefation. ad Vit. Papar. Aven.
 
[1508] Matteo Villani, lib. 2, cap. 43.
 
[1509] Vita Innocentii VI, P. II, tom. 3 Rer. Ital.
 
[1510] Caresin., Histor., tom. 12 Rer. Ital. Georgius Stella, Annal.
Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Matteo Villani, lib. 2, cap. 59.
 
[1511] Raynaldus, Annal. Eccles. Matteo Villani, lib. 3, cap. 8.
 
[1512] Matteo Villani, lib. 3, cap. 35.
 
[1513] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1514] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLIII. Indizione VI.
 
INNOCENZO VI papa 2.
CARLO IV re de' Romani 8.
 
 
Il poco profitto che faceano l'armi di _Giovanni Visconte_ in Toscana
l'indusse finalmente a cercare o ad ascoltare trattati di pace coi
comuni di Firenze, Siena e Perugia[1517]. E tanto più vi condiscese
egli, perchè ben seppe che quei comuni aveano fatto gagliardo ed
efficace maneggio per far calare in Italia Carlo IV re de' Romani:
il che a lui non piaceva. Tenutosi dunque un congresso fra gli
ambasciatori in Sarzana, nel gennaio di quest'anno fu stabilita e poi
pubblicata la pace con condizioni onorevoli per ambedue le parti.
Seguitando più che mai l'izza de' Genovesi e Veneziani, i primi
allestirono sessanta galee, e fecero lega con _Lodovico re_ d'Ungheria,
principe che non avea mai dimesso l'odio e le pretensioni sue
contra de' Veneziani per le città della Dalmazia. Infestarono ancora
l'Adriatico con alcuni loro legni, e fecero delle insolenze fino alla
città di Venezia. Dal canto loro anche i Veneziani rinnovarono la lega
con _Pietro re_ di Aragona a danni de' Genovesi, essendosi convenuti
che questo re armasse trenta galee al suo soldo, e venti al soldo de'
Veneziani. Se ne armarono altre venti in Venezia, di modo che misero
insieme una flotta di settanta galee. Vennero ad unirsi coi Catalani
i legni veneti verso la Sardegna[1518], e i Genovesi affrettatisi

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