Annali d'Italia 104
con cinquantadue galee per trovarli separati, non ostante la loro
unione, vennero a battaglia nel dì 29 di agosto verso Loiera, ossia
alla Linghiera. La più ardita ed arrischiata gente che fosse allora in
mare erano i Genovesi, e perciò sprezzatori d'ognuno. Quivi si fiaccò
la loro alterigia. Per viltà d'Antonio Grimaldi loro ammiraglio, che
con diecinove galee se ne fuggì, rimase il rimanente sconfitto. Di
loro perirono circa due mila persone; trenta galee vennero in potere
dei vincitori, e da tre mila e cinquecento furono i prigioni, fra'
quali molti de' grandi e principali di Genova. Col calore di questa
vittoria occuparono dipoi i Catalani varie terre suddite dei Genovesi
in Sardegna; ma avendo anche voluto soggiogare il giudice d'Arborea,
ne ebbero sì cattivo mercato, che perderono l'acquistato, e la maggior
parte ancora di quel che possedevano prima. Avvilironsi talmente per
la disavventura suddetta i Genovesi, che parea loro d'essere affatto
perduti. Tutto era lamenti e pianto; trovavansi anche in gran penuria
di viveri, senza poterne ricevere per mare, perchè i nemici ne erano
padroni. Nè per terra ne poteano sperare, perchè _Giovanni Visconte_
arcivescovo di Milano, che già avea l'occhio a profittar delle loro
disgrazie, non ne lasciava passare. Crebbe dunque la confusione in
Genova, e le fazioni dei Guelfi e Ghibellini risvegliate l'accrebbero
a dismisura. Venne finalmente quel popolo, con istupore d'ognuno, alla
risoluzione di darsi al medesimo Giovanni Visconte. Pietro Azario,
non so come, scrive[1519] che Simonino Boccanegra allora doge ne fece
il trattato, per ricavarne anche del vantaggio in suo pro, quando il
Boccanegra tanto prima era stato deposto, ed in que' tempi _Giovanni
di Valente_ portava questo titolo. Adunque nel dì 10 di ottobre
l'arcivescovo fece prendere il possesso di Genova con settecento
cavalieri e mille e cinquecento fanti, diede loro per governatore
_Guglielmo marchese Pallavicino_ di Cassano; ampie provvisioni di
grano v'inviò, e insieme di danaro: sicchè rifiorì quivi la pace, ogni
discordia cessò, e il coraggio tornò in cuore a quell'ardito popolo.
Lodansi gli storici genovesi del governo del Visconte, perchè li trattò
con amore; fece fabbricar l'orologio del pubblico, fin qui cosa nuova
fra loro, e slargare le strade da Genova a Nizza con grande utilità
della mercatura; e rimise in credito le armi e la potenza de' Genovesi,
siccome diremo all'anno seguente.
_Fra Moriale_, cavaliere di Rodi, e non già del Tempio, che fu
cacciato da Aversa, s'era acconcio col _prefetto di Vico_, e con esso
lui avea inutilmente assediato Todi. Perchè non correano le paghe,
costui, siccome uomo avvezzo alle prede, staccossi da lui, e cominciò
a formare una di quelle compagnie di soldati ladroni e masnadieri che
abbiam di sopra veduto; nè questa fu già la prima, come stimò Matteo
Villani. Fatto correr voce per l'Italia che darebbe soldo a tutti,
mise insieme da mille e cinquecento barbute e più di due mila fanti,
e cominciò le sue imprese dal vendicarsi di _Malatesta_ signor di
Rimini, che gli avea fatto sì brutto giuoco in Aversa. Era Malatesta
all'assedio di Fermo, ed avea ridotta quasi all'estremo quella città,
quando fra Moriale, ad istanza di _Gentile da Mogliano_, signore o
tiranno di quella terra, costrinse Malatesta a ritirarsi. Cresciuto
poi di gente, si diede a saccheggiar le terre della Marca e il
contado di Fano. L'anno fu questo, in cui papa _Innocenzo VI_[1520],
veggendo oramai tutte le città della Chiesa in Italia cadute in
mano di tiranni; e massimamente dolendogli che il prefetto da Vico
avesse ultimamente occupate quasi tutte le terre del Patrimonio e di
Roma, ed anche Orvieto; spedì in Italia _Egidio Albornoz_ cardinale
spagnuolo, personaggio di gran petto e mente, che avvezzo nelle armi
prima di portare la sacra porpora, sapea far non meno da generale
d'armata che da legato apostolico. Con ampia facoltà venuto egli in
Italia, magnificamente fu accolto e trattato in Lombardia per tutte
le città dall'arcivescovo di Milano, fuorchè in Bologna, dove nol
lasciò entrare. Nel dì 11 di ottobre arrivò a Firenze, e poscia ito a
Montefiascone, ebbe sulle prime il contento di tirar con un accordo i
Romani a riceverlo per protettore, e a seco unirsi contra di _Giovanni
da Vico prefetto di Roma_, signor di Viterbo, ed usurpatore di tante
terre della Chiesa romana. Di grandi dissensioni e guerre nell'agosto
di quest'anno erano state in Roma per le fazioni degli Orsini,
Colonnesi e Savelli. Il popolo a furore avea lapidato e morto _Bertoldo
degli Orsini_ senatore[1521]; ma finalmente, coll'eleggere loro tribuno
Francesco Baroncelli, cioè il notaio del senatore, ridussero le cose
in migliore stato; ma il rimedio fu di corta durata, e però si mise la
città sotto la protezione del valente cardinale legato.
Per li buoni uffizii della corte pontificia, cioè del fu _Clemente
VI_ papa, erano stati da _Lodovico re_ d'Ungheria rimessi in libertà
sul fine dell'anno precedente i Reali di Napoli[1522], tenuti fino
allora prigioni, cioè _Roberto principe_ di Taranto e _Luigi duca_
di Durazzo, coi lor fratelli. Nel gennaio di questo anno giunsero a
Venezia, e furono ben accolti dipoi nei suoi Stati da _Aldrovandino
marchese_ di Este, e in fine giunsero a Napoli. Si udì poco fa menzione
di _Gentile da Mogliano_ signore di Fermo, e delle discordie fra lui
e _Malatesta_ padrone di Rimini. Non avea forse Gentile da contrastare
con sì possente e valoroso nemico. Venuto in Lombardia, niun aiuto potè
ricavar da _Giovanni Visconte_, nè dal _marchese Aldrovandino_. Da
_Francesco degli Ordelaffi_ signor di Forlì, e nemico de' Malatesti,
ottenne dodici bandiere; ma nel viaggio furono disfatte, e quasi
tutte prese in un'imboscata dal _Malatesta_, il quale, prevalendosi
della vittoria, passò dipoi all'assedio di Fermo; ma, interpostosi
l'arcivescovo Visconte, tregua fu fatta sino al dì 20 d'agosto.
Finita questa, _Galeotto de' Malatesti_ col fratello Malatesta tornò a
stringere d'assedio la medesima città. Nel dì 26 d'agosto il _marchese
Francesco_ d'Este, che s'era ritirato da Ferrara, unito un poderoso
esercito nella Romagna e Marca, in compagnia di Malatesta giovane,
figliuolo del suddetto _Malatesta_, venne sul Ferrarese, credendosi
d'ingoiare la città d'Argenta. Ma avendola il marchese Aldrovandino
signor di Ferrara premunita con poderosa guarnigione, e vedendo
il Malatesta vano il suo tentativo, passò ad impadronirsi di Porto
Maggiore. Le forze di Aldrovandino e una malattia sopraggiunta ad esso
Malatesta li fecero ritornar colle bandiere nel sacco a Rimini a dì
26 di agosto. Si erano nello stesso tempo mossi anche i Mantovani e
Padovani ai danni d'Aldrovandino. In sua difesa uscì in campagna _Can
Grande dalla Scala_: il che bastò a dissipar questi nuvoli, e a far
conoscere al marchese chi dovea egli tener per amico e chi per nemico.
NOTE:
[1515] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Cortus, Histor., tom. 12 Rer.
Ital.
[1516] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1517] Matteo Villani, lib. 3, cap. 59.
[1518] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
[1519] Petrus Azarius, Chron., tom. 12 Rer. Ital.
[1520] Raynaldus, Annal. Eccles.
[1521] Vita di Cola di Rienzo, Antiquitat. Ital.
[1522] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
Anno di CRISTO MCCCLIV. Indizione VII.
INNOCENZO VI papa 3.
CARLO IV re de' Romani 9.
Diedesi con vigore in quest'anno il _cardinale Egidio Albornoz_
legato apostolico a ricuperar dalle mani de' tiranni le terre della
Chiesa[1523]. Mirando Roma sempre in confusione, si avvisò di adoperare
uno strumento alquanto strano per mettere al dovere le teste sempre
inquiete e divise dei Romani, e per frenar la prepotenza de' grandi.
Cioè avendo seco Niccolò di Lorenzo, ossia _Cola da Rienzo_, uomo
benchè di cervello stravagante, pure ben provveduto di lingua e
di vaste idee, il mandò colà, dopo averlo provato assai destro e
fedele nelle azioni militari da esso cardinale intraprese. Essendo
già stato ucciso il Baroncello, che era divenuto tiranno[1524], fu
ricevuto Cola in Roma dal popolo con immenso onore. Chiamò egli tosto
all'ubbidienza i baroni romani oppressori del popolo. Nulla ne vollero
far i Colonnesi, anzi diedero principio a delle ostilità contro Roma.
Allora Cola con bella armata andò all'assedio di Palestrina, terra di
que' nobili. Altri che lui vi voleva a disfare quel forte nido; però
tutto confuso se ne tornò a casa. _Fra Moriale_, quel gran masnadiere,
di cui abbiam parlato di sopra, dopo avere messa in contribuzione la
Marca e la Toscana, commesse innumerabili iniquità, e raunato gran
tesoro, capitò a Roma, o per visitare due suoi fratelli, o perchè
chiamato colà dal senatore, per valersene nei bisogni della guerra. Fu
riferito a Cola di Rienzo, essere scappato di bocca a costui che voleva
uccidere esso Cola. Il fece prendere e tormentare, e poi tagliargli la
testa nel dì 29 d'agosto: pena degna de' suoi misfatti, e applaudita
dagli Italiani, ma che tirò addosso a Cola una universale mormorazione
de' Romani, perchè fu creduto un calunnioso pretesto per ispogliarlo
delle ricchezze e prede fatte in tanti paesi. Una sola parte nondimeno
ne ebbe; la maggiore toccò a Giovanni da Castello. L'aver poi Cola
posta una gabella sopra il vino, che dispiacque forte, fatto troncare
il capo a Pandolfuccio di Guido, uomo virtuoso ed amato da tutti, e
varie sue capricciose pazzie che degeneravano in crudeltà, servirono
a fargli perdere il concetto, e a guadagnarli l'odio della maggior
parte del popolo. Pertanto nel dì 8 di settembre, levatosi a rumore
esso popolo contra di lui, l'assediò in Campidoglio, ed attaccò fuoco
al palazzo. Se ne fuggì egli travestito da facchino, ma riconosciuto,
fu ucciso a forza di pugnalate dall'infuriata gente. Così in breve
tempo ebbero fine due aborti della fortuna, che diedero molto da
ragionar di sè in questi tempi, insegnando che non è mestier d'ognuno
il fondare de' principati con fidarsi dell'incostanza de' popoli, e
senza gran provvision di prudenza. Ora il _cardinale Albornoz_ legato
del papa avea già fatto pubblicar le scomuniche pontificie contra
chiunque occupava in Italia gli Stati della Chiesa romana; ma perchè
queste armi senza le temporali alla pruova si truovano spuntate, mosse
l'esercito suo contra di loro[1525]. Il primo assalito fu _Giovanni da
Vico_ prefetto. Costui trattò tosto di pace, ma poco tardò a mancar di
parola; e però il legato gli tolse Toscanella e l'assediò in Orvieto.
Per paura di peggio, il prefetto andò a gittarsegli ai piedi, e gli
consegnò quella città. Seppe far meglio i suoi affari _Gentile da
Mogliano_ signore di Fermo, perchè, senza voler aspettare la forza,
andò spontaneamente a trovare il cardinal legato a Foligno, e gli diede
la tenuta di Fermo: atto così gradito da esso legato, che dichiarò
Gentile gonfalonier della Chiesa romana.
Strepitosa novità accadde in Verona. _Can Grande dalla Scala_,
signore di quella città, era ito a Bolzano in compagnia di _Can
Signore_ suo fratello, per abboccarsi col _marchese di Brandeburgo_
suo cognato[1526]. _Fregnano dalla Scala_ suo fratello bastardo colse
questo tempo per effettuare il disegno di torgli la signoria: intorno a
che già passava intelligenza fra lui e i Gonzaghi signori di Mantova.
Nella notte del dì 17 di febbraio, ossia ch'egli fosse d'accordo con
_Azzo da Correggio_, lasciato da Can Grande per governatore di Verona,
oppur, come vuole il Gazata[1527], che Fregnano fattolo, a sè venire,
gli minacciasse la morte, se non acconsentiva, amendue sparsero voce,
esser giunte lettere che portavano la morte improvvisa di Can Grande,
e mossero la guarnigione ad uscir di Verona, con farle credere che
_Bernabò Visconte_ veniva con gente a quella volta. Nella seguente
mattina Fregnano con _Alboino_, suo fratello minore e legittimo,
cavalcò per la città, e si fece proclamar signore. In aiuto suo giunse
ancora _Feltrino_ ed altri da Gonzaga con assai nobiltà e milizia di
Mantova. Nel dì 24 d'esso mese _Bernabò Visconte_, chiamato in soccorso
da Fregnano, oppur mosso da speranza di pescare in quel torbido,
comparve con ottocento, ovvero con tre mila barbute e con altra
soldatesca, e dimandò di entrare in Verona. I Gonzaghi, per timore
ch'egli occupasse la città, indussero Fregnano a negargli l'entrata,
cosicchè Bernabò, vedendosi deluso, tentò per forza di voler superare
una porta; ma, conoscendo l'impossibilità dell'impresa, giudicò meglio
di ritornarsene a Milano. Per questo fu da alcuni creduto che anche
l'arcivescovo di Milano avesse tenuta mano a questo fatto. Volarono
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