Annali d'Italia 105
intanto gli avvisi di tal tradimento a Can Grande, che non perdo tempo
a tornarsene indietro. Assicuratosi di Vicenza, con quelle truppe che
avea e che potè raunare, arrivò la notte stessa a Verona, dappoichè
se ne era partito Bernabò. Dal custode della porta di Campo Marzo fu
lasciato entrare in città, e tosto fece intonare: _Viva Cane, e muoiano
i traditori_. Fatto giorno, Cane passò il ponte, ed ebbe all'incontro
Fregnano coi suoi, che fece lunga battaglia, ma in fine vi lasciò la
vita insieme con Paolo Pico dalla Mirandola, eletto da lui per podestà
di Verona, ed altri suoi partigiani. Sollevatosi tutto il popolo
in favor di Cane, fu preso Feltrino da Gonzaga co' suoi consorti e
soldati, e corse pericolo della vita; ma in fine si riscattò con trenta
mila fiorini d'oro. Dopo sì felice avvenimento nello stesso mese giunse
a Verona il _marchese di Brandeburgo_ con assai gente per aiutar Cane,
ma non vi fu più bisogno di lui.
Per la troppo cresciuta potenza di _Giovanni Visconte_ arcivescovo di
Milano, e perchè l'ingordigia sua non era per far mai punto fermo,
si collegarono insieme la _repubblica di Venezia_, il _marchese
Aldrovandino_ signor di Ferrara e Modena[1528], i _Gonzaghi_ signori
di Mantova e Reggio, e i _Carraresi_ signori di Padova. In essa entrò
dipoi anche _Can Grande dalla Scala_ signor di Verona e Vicenza.
L'avere il Visconte occupata Bologna, e il far tuttodì passar le sue
genti pel Reggiano e Modenese, teneva in un continuo allarma questi
popoli. Men male perciò fu creduto dall'Estense e dai Gonzaghi il far
testa ad una potenza che andava a divorar tutto. Ora i Gonzaghi furono
i primi a cominciar la festa, impossessandosi di alcune navi milanesi,
vegnenti da Venezia col carico di mercatanzie, ascendenti al valore di
settanta mila fiorini d'oro. Spedì tosto l'arcivescovo il suo esercito
a' danni del Reggiano e Modenese, con prendere le castella di Fiorano,
Spezzano e Guiglia, e piantar due forti bastie, oppur una al passo di
Santo Ambrosio sul Panaro[1529]. Erasi unita tutta sotto il comando del
conte Lando Tedesco di Suevia la gran compagnia, che dianzi ubbidiva
a fra Moriale, accresciuta dipoi a dismisura pel concorso di chiunque
aspirava alle prede. Queste masnade furono prese al loro soldo dai
collegati, e con esse formato un esercito di più di trenta mila armati,
combatterono le suddette due bastie, e voltatisi poi verso Guastalla,
e passato il Po, nel settembre si diedero a guastare il territorio di
Cremona.
In questo tempo una mortale infermità portò all'altra vita
_Giovanni Visconte_ arcivescovo e signor di Milano, e mise fine
alle sue grandiose secolaresche idee. Discordi sono gli scrittori
nell'assegnare il giorno della sua morte. Nel dì 11 di settembre
scrive il Gazata[1530]; nel dì 4 di ottobre Matteo Villani[1531]; nel
dì cinque di esso mese, giorno di domenica il Corio[1532]. Sto io con
quest'ultimo, perchè il giorno quinto d'ottobre cadde in domenica; e
Pietro Azario[1533], benchè il faccia morto nel dì 4 d'ottobre, pure
confessa che fu giorno di domenica. Lo stesso abbiamo dalla Cronica di
Matteo Griffone[1534], dalla Bolognese[1535], dalla Piacentina[1536]
e da quella de' Cortusii[1537]; e però s'hanno da correggere l'altre
storie, e massimamente gli Annali Milanesi[1538], che il dicono morto
nel dì ultimo d'ottobre. A lui senza opposizione succederono i tre suoi
nipoti, nati dal fu _Stefano_ suo fratello, cioè _Matteo, Bernabò_ e
_Galeazzo_. Gli Stati furono divisi in tre parti. A Matteo toccarono
_Lodi, Piacenza, Parma, Bologna e Bobbio_; a Bernabò _Bergamo, Brescia,
Cremona_ ed altre terre; a Galeazzo _Como, Novara, Vercelli, Asti,
Alba, Alessandria, Tortona_ e molte terre del Piemonte. _Milano_ e
_Genova_ rimasero indivise, e tutti e tre vi comandavano, camminando
fra loro con molta concordia. Si figurò la lega di Lombardia di poter
più agevolmente ottenere l'intento suo contro la possanza di Giovanni
Visconte, quando era vivente, col chiamare in Italia _Carlo IV_ re
di Boemia e de' Romani; e mandò a questo fine ambasciatori; ma nel
medesimo tempo anche il Visconte facea per mezzo de' suoi delle belle
offerte, promettendogli la corona ferrea, subito che fosse calato in
Italia. Perciò Carlo, trovando ben disposti gli animi degl'Italiani,
ed ottenuta licenza dal papa, si mise in viaggio nell'ottobre di
quest'anno con poco accompagnamento di gente d'armi[1539], e nel dì 3
di novembre col patriarca d'Aquileia suo fratello arrivò a Padova, con
grande onore accolto da _Jacopino_ e _Francesco da Carrara_ signori di
quella città. Fu ad incontrarlo prima del suo arrivo colà _Aldrovandino
marchese d'Este_, e da che fu partito da Padova, andò _Can Grande dalla
Scala_ a fargli riverenza a Legnago. Riposossi in Mantova per qualche
settimana il re Carlo per trattare, se era possibile, di concordia fra
i collegati e i Visconti. Gli spedirono i fratelli Visconti una nobile
ambasciata con suntuosi regali, promesse d'aiuti e della corona ferrea.
Si fece valere l'attaccamento loro agl'interessi dell'imperio, e quanto
avesse operato _Matteo_ lor avolo contro i ribelli della corona, cioè
contro i Guelfi, di modo che Carlo restò soddisfattissimo di loro, e
si dispose a passare a Milano. Così rimasero delusi i collegati, che
a loro spese aveano tirato in Italia questo debole principe; e niun
profitto ne ricavarono, essendosi egli convenuto coi Visconti di non
molestarli, purchè gli dessero la corona d'Italia, e una buona scorta
fino a Roma per prendere l'altra dell'imperio.
Non avea mancato _Giovanni Visconte_, quando era vivente, d'inviare
ambasciatori a Venezia, per mettere pace fra quella repubblica e
quella di Genova. Uno degli ambasciatori fu il celebre _Francesco
Petrarca_, al quale nulla servì la sua eloquenza per condurre a buon
fine questo negoziato. _Andrea Dandolo_ doge e il suo consiglio, erano
sì mal animati contra dei Genovesi, e malcontenti dell'arcivescovo
per la signoria e protezion presa di quel popolo, che ricusarono
ogni proposizion d'accomodamento. Colle lor forze e coll'aiuto
dell'arcivescovo armarono essi Genovesi trentacinque galee[1540], e
ne fu generale il prode _Paganino Doria_. Dopo essere state queste
in corso contra dei Catalani, vennero in Levante in traccia de'
Veneziani, abbruciarono Parenzo, e presero alcune ricchissime cocche
veneziane. Trovarono poscia a Portolungo verso Modone, ossia nel
porto della Sapienza, la maggior parte della flotta veneta, composta
di trentacinque galee, sei grosse navi e venti altri legni minori
sotto il comando di _Niccolò Pisano_. Nel dì 4 di novembre virilmente
andò il general genovese ad assalir nel porto la nemica armata, e tal
dovea essere in questi tempi in credito la bravura de' Genovesi in
mare, oppur fosse altro accidente, che contra il solito sbigottiti
i Veneziani, senza far molta difesa si diedero tutti per vinti.
Furono condotti que' legni a Genova con più di cinque mila prigioni,
fra' quali lo stesso general pisano, e poi bruciati. Per istrada
fuggirono ben due mila de' prigioni fatti; e furono anche prese da
altri legni veneziani due galee genovesi, che s'erano sbandate dallo
stuolo. Abbiamo da Matteo Villani[1541] minutamente descritto questo
avvenimento, sì funesto alla gloria e potenza de' Veneziani, e tale
che in Venezia molto si temette che la vittoriosa armata volasse colà
a fare del resto. Risparmiò Iddio l'avviso e il dolore di sì inusitata
sconfitta ad _Andrea Dandolo_, virtuosissimo doge di Venezia e
scrittore della famosa Cronica Veneta, da me data alla luce; imperocchè
nel dì 7 di settembre di questo anno[1542] egli era passato a miglior
vita, e in luogo suo nel dì 11 d'esso mese era stato surrogato
_Marino Valiero_ ossia _Faliero_. Nè si dee tacere che trovavasi in
questi tempi l'isola di Sicilia disfatta e ridotta a gran carestia
per la disunione di que' baroni e popoli, stante la minorità del _re
don Luigi_ figliuolo del _re don Pietro_[1543], e le due prepotenti
fazioni, l'una de' Catalani, e l'altra de' conti di Chiaramonte. Per
maneggio di _Niccolò Acciaiuoli_, gran siniscalco di Napoli[1544], si
accordò il _conte Simone di Chiaramonte_ con _Luigi re di Napoli_; e
questi spedì immediatamente colà sei galee con poca gente d'armi, e
molti legni carichi di grano e di vettovaglia; la qual oste bastò a
fare che le città di Palermo, Trapani, Milazzo, Mazara, ed altre terre
e castella al numero di cento dodici, alzassero le bandiere del re di
Napoli. Questa era la congiuntura, in cui il re Luigi s'impadronisse
di tutta la Sicilia; al che non era mai potuto arrivare in sua vita
il _re Roberto_ con tanti sforzi e possenti spedizioni da lui fatte
per ricuperare quel regno. Ma in troppa debolezza si trovava allora
il regno di Napoli a cagion delle guerre passate e di tanti Reali che
conveniva mantenere, fra' quali anche vi fu _Luigi duca di Durazzo_, il
quale si ribellò, e bisognò domarlo coll'armi. Gran guadagno nondimeno
fu quello del re Luigi in Sicilia nell'anno presente, e questo crebbe
anche nel seguente. Pure la Sicilia giunse a mutar padrone; e in
questo anno i Messinesi occuparono tre galee ed altri legni pieni di
vettovaglie, che il re Luigi mandava per rinforzo a Palermo.
In occasion della guerra insorta fra l'arcivescovo Visconte e
i collegati, fu nel dì 10 di giugno alquanto di sollevazione in
Bologna[1545], perchè da _Giovanni da Oleggio_ governatore era uscito
ordine che due quartieri della città cavalcassero armati alla volta
di Modena, e il popolo, mal soddisfatto del governo milanese, non si
sentiva di sacrificar le vite in servigio di così pesante padrone.
Giovanni da Oleggio, che era un mal arnese, cacciò per questo in
prigione gran copia di cittadini nobili e plebei; molti ne fece
giustiziare, altri tormentare; e durò assai giorni questa tragedia.
Tolse ancora l'armi agli abitanti, di modo che di terrore e confusione
era ripiena quella città. Arrivò poi nel dì 21 d'agosto sul contado di
Bologna parte dell'esercito de' collegati, di cui era capitan generale
_Francesco da Carrara_, uno de' due signori di Padova, e si unì colla
gran compagnia del _conte Lando_ Tedesco. Saccheggiando e bruciando le
ville di quei contorni, arrivarono fin presso alla città di Bologna.
Secondo i Cortusii[1546], avrebbono potuto impadronirsene; ma il conte
Lando, che, secondo il costume di quegl'iniqui masnadieri, mentre
militava per l'una parte, sapea servire all'altra nemica, ne impedì
l'acquisto, e dipoi ricusò di combattere le due bastie del passo di
Sant'Ambrosio; e per questa cagione s'ebbe da lì innanzi gran sospetto
della fede di costui; e Francesco da Carrara, temendone qualche
tradimento, giudicò meglio di ritirarsi a Padova, e di lasciare il
baston del comando in vece sua a _Feltrino da Gonzaga_.
NOTE:
[1523] Raynald., Annal. Eccles.
[1524] Vita di Cola di Rienzo, lib. 2, cap. 17.
[1525] Matteo Villani, lib. 4, cap. 10.
[1526] Chron. Veronense, tom. 8 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15 Rer.
Ital.
[1527] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1528] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens., tom.
18 Rer. Ital.
[1529] Petrus Azarius, Chron., cap. 11, tom. 18 Rer. Ital.
[1530] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
[1531] Matteo Villani, lib. 4, cap. 25.
[1532] Corio, Istoria di Milano.
[1533] Petrus Azarius, Chron. Regiens., tom. 16 Rer. Ital.
[1534] Matth. de Griffonibus, Chron., tom. 18 Rer. Italic.
[1535] Chron. Bononiens., tom. eod.
[1536] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
[1537] Cortusiorum Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1538] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
[1539] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
[1540] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital. Caresin.
Chron. tom. 12 Rer. Ital.
[1541] Matteo Villani, lib. 4, cap. 32.
[1542] Marino Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Italic.
[1543] Matteo Villani, lib. 4. cap. 3.
댓글 없음:
댓글 쓰기