2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 106

Annali d'Italia 106


[1544] Matth. Palmerius, in Vita Nicolai Acciajoli, tom. 13 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLV. Indiz. VIII.
 
INNOCENZO VI papa 4.
CARLO IV imperadore 1.
 
 
Sul principio di quest'anno giunse a Milano _Carlo IV re_ de' Romani,
accompagnato da pochi dei suoi, ma con gran magnificenza ricevuto da
_Galeazzo e Bernabò Visconti_, e suntuosamente regalato da essi[1547].
Gli fecero vedere in mostra tante migliaia di cavalieri e fanti che
aveano, e parte finsero d'avere al loro soldo, facendo far varie
comparse alle medesime loro truppe: tutto, come diceano, ai servigi
di sua maestà. Nella festa dell'Epifania, cioè nel dì sei di gennaio,
egli prese la corona ferrea dalle mani di _Roberto arcivescovo_ di
Milano. Se crediamo a Matteo Villani, scrittore di grande autorità,
la di lui coronazione fu fatta in Monza; ma verisimilmente egli
prese abbaglio, avendo noi una folla di scrittori, ed alcuni ancora
di essi contemporanei, che l'asseriscono celebrata nella basilica di
Sant'Ambrosio in Milano. Oltre agli storici da me citati altrove[1548],
ci assicurano di questo gli Annali Milanesi[1549], le Croniche
Piacentina[1550], Bolognese[1551], Sanese[1552] e Cesenate[1553],
il Gazata[1554], il Rebdorfio[1555] ed altri. Volevasi veramente far
questa funzione in Monza, ciò apparendo da un breve di papa _Innocenzo
VI_ rapportato dal Rinaldi[1556], ma dovette vincerla l'arcivescovo e
il popolo di Milano, che la vollero in Sant'Ambrosio, secondo l'antico
rito. Da Milano passò Carlo a Pisa. Bollivano fiere discordie in
quella città per la fazione de' Bergolini, cioè de' Gambacorti e di
Cecco Agliati, che dominava, e l'altra de' Raspanti, che si opponeva
alla prima. Aprirono tali dissensioni la strada al re per assumere di
concordia de' cittadini (sforzata nondimeno per conto de' Gambacorti)
il dominio di quella città, e di mettervi le sue guardie. Dopo essere
stato a Lucca, e dipoi a Siena, dove, a petizione del popolo commosso,
annullò il reggimento dei Nove, divenuto troppo odioso alla città,
s'inviò alla volta di Roma. Prima non avea seco più di mille cavalieri,
la maggior parte datagli dai fratelli Visconti. Ne arrivarono in
Toscana dalla Germania ben quattro altre migliaia, tutta bella gente,
con gran baronia e colla _regina Anna_ moglie del medesimo re. Con
questa sì poderosa scorta se n'andò egli a Roma, dove nel dì quinto
d'aprile, giorno solenne di Pasqua di Risurrezione, fu conferita a
lui e alla regina moglie nella vaticana basilica la corona imperiale
dal _cardinal Pietro di Beltrando_ vescovo d'Ostia, deputato a ciò
dal sommo pontefice. Con qual ordine e magnificenza il popolo romano
in questi tempi incontrasse gl'imperadori e i legati apostolici, si
raccoglie da una memoria da me prodotta nelle Antichità Italiane[1557].
Lo stesso dì (che così era ne' patti) il nuovo imperador Carlo
IV, senza potersi fermare di più in Roma, si mise in viaggio alla
volta della Toscana, dove tutti i popoli l'aveano riconosciuto per
sovrano[1558], e gli stessi Fiorentini collo sborso di cento mila
fiorini d'oro aveano da lui impetrato degli ampli privilegii. In
Siena[1559] volle maggiormente mutar quel governo, con far signore
della città _Niccolò patriarca_ di Aquileia suo fratello naturale; ma
poco durò questa novità. Fu vergognosamente deposto e cacciato il buon
prelato. Attendeva questo imperadore più a far danaro che a guarir le
piaghe dell'Italia; e perchè i Lucchesi, allora sottoposti al comune di
Pisa, gli esibirono gran somma d'oro, parve a lui che sarebbe stato un
peccato il lasciar cadere in terra così vistosa offerta. Traspirato in
Pisa questo troppo disgustoso trattato, mosse il popolo a sollevarsi
nel dì 21 di maggio. Furono creduti autori di questo furor popolare
i Gambacorti, perchè i più de' grandi e del popolo traevano alle loro
case; e di questa congiuntura si prevalsero i Raspanti loro nemici per
atterrarli. Gran battaglia fu nella città fra i soldati dell'imperadore
e del popolo; ma in fine rimasero rotti i cittadini, e si quetò il
rumore. A sette dei Gambacorti per tal cagione fu troncato il capo. La
commozion di Pisa animò il popolo di Lucca a tentar la sua liberazione
dal giogo de' Pisani, e giacchè l'imperadore, fattosi dare il castello
dell'Agosta, vi avea messo presidio de' suoi Tedeschi, altro non
restava che di cacciar dalla città i soldati pisani. Adunque nel dì 22
di maggio, fatte entrare in Lucca molte masnade di contadini, levarono
la terra a rumore; ma, afforzatisi i Pisani in alcune case, diedero
tempo al comune di Pisa di spedire colà un grande sforzo di gente,
che non solamente sostenne la città, ma costrinse ancora i Tedeschi a
consegnar loro il castello dell'Agosta. Veggendosi dunque l'imperadore
mal sicuro in Pisa, per quanto era avvenuto, ed insieme oltraggiato
dai Sanesi e malveduto dai Fiorentini, non volle far più lunga dimora
in Pisa, e si ritirò a Pietrasanta, dove con gran gelosia si fermò più
giorni. Quindi passò per gli Stati dei fratelli Visconti, ma senza che
fosse lasciato entrare in città alcuna, fuorchè in Cremona, dove fu
ammesso coll'accompagnamento di poca gente e disarmata. Di là poi passò
in Boemia, seco portando molto oro, ma molta vergogna ancora.
 
Gli affari del _cardinale Egidio_ legato apostolico parve che sul
principio dell'anno prendessero cattiva piega; imperciocchè _Gentile da
Mogliano_, creato da lui gonfaloniere di santa Chiesa, fellonescamente
gli ritolse la città di Fermo[1560]. Questo avvenne per maneggio di
_Malatesta_ signor di Rimini suocero suo, che, rappacificatosi con
lui, l'indusse a ribellarsi, e gli diede soccorso di gente. Passava
ancora nemicizia tra _Francesco degli Ordelaffi_ signore di Forlì e il
suddetto Malatesta. Al vedersi ambedue esposti alla forza del cardinale
legato, personaggio risoluto di voler ricuperare gli Stati della
Chiesa, ed anche scomunicati e fin dichiarati eretici dal medesimo
(perocchè allora ci volea poco a sfoderare ancora questa arma), fecero
pace insieme, e si collegarono con Gentile, per resistere unitamente
tutti e tre al valente cardinale. Nell'aprile di quest'anno riuscì al
suddetto signore di Forlì con ducento cavalieri di metterne in rotta
quattrocento del legato, che si erano posti in agguato, credendosi di
farlo prigione. Diversa fu la fortuna di _Galeotto de' Malatesti_,
fratello del poco fa mentovato Malatesta. Era egli gran maestro di
guerra, e si trovava all'assedio di un castello di Recanati, dove si
era ben fortificato. Ma più di lui ne seppe _Ridolfo da Camerino_,
capitano della gente della Chiesa, che vigorosamente l'assalì in quel
sito, e, dopo ostinata battaglia, sbarattò le di lui genti, e fece
prigione lo stesso Galeotto ferito in più parti. Per questa vittoria
l'esercito pontificio cavalcò fino alle porte di Rimini, prese
Santo Arcangelo, Verrucchio e due altre castella vicino a Rimini, e,
fabbricate alcune bastie intorno a quella città, ne formò un blocco.
Non vi volle di più, perchè Malatesta cominciasse nel mese di maggio
a maneggiare un accordo col legato, il quale da uomo saggio non ebbe
difficoltà di accettarlo, e di accordargli assai oneste condizioni,
contentandosi ch'egli restituisse Ancona ed alcune altre terre alla
Chiesa, e ritenesse il dominio di Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone,
riconoscendole nondimeno dalla Sede apostolica, e pagando l'annuo
censo. Ciò fatto, i fratelli Malatesti giurarono fedeltà, e prestarono
da lì innanzi onoratamente braccio al cardinale per l'altre sue
imprese. Per questo accordo intimidito il popolo di Fermo, e per non
provare il meritato gastigo della sua ribellione, nel mese di giugno
levò rumore nella città contra Gentile da Mogliano, e il costrinse a
ritirarsi nella rocca, dove restò poi assediato dalla gente del legato,
e costretto a capitolare. Gli lasciò il legato tre castella, ma, non
contentandosene colui, gliele ritolse dipoi: laonde andò ramingo a
finir malamente i suoi giorni in altri paesi. Anche i _Polentani_
signori di Ravenna e Cervia si ridussero all'ubbidienza del legato, se
pur non fu nell'anno seguente.
 
Governava intanto tirannicamente _Giovanni Visconte_ da Oleggio la
città di Bologna a nome di _Matteo Visconte_[1561]. Perchè _Galeazzo
Visconte_ fratello di Matteo gli occupò nel contado di Como un buon
castello colla valle di Belegno a lui spettante, se ne lamentò; ma
per quanto se ne dolesse, non gli fu mai fatta giustizia. Mandò ancora
Matteo Visconte a Bologna delle persone con ordine di fare il sindacato
al medesimo Giovanni. Uomo di gran coraggio e di maggiore astuzia era
l'Oleggio, e, chiamandosi offeso per tal trattamento, determinò di
farne tal vendetta che tornasse anche in suo pro. Pertanto ben disposte
le cose, nel dì 18 di aprile mise in armi tutti i suoi parziali, cioè
i Maltraversi e Ghibellini; fece prigioni gli uffiziali di Matteo
Visconte; in breve tempo tirò alla sua ubbidienza tutte le castella
forti del contado, a riserva di Bazzano, che si sostenne fedele ai
Visconti; e si fece proclamar protettore, o, come altri scrivono,
signore di Bologna. Una contribuzione da lui fra poco imposta di venti
mila fiorini d'oro ai cittadini, cagionò di gravi lamenti, ma convenne
pagarla. Ad istanza ancora dei Maltraversi, cioè de' Ghibellini,
fece prendere quattrocento cittadini guelfi, sospetti d'essere a lui
contrarii, e li mandò ai confini; tali nondimeno e tante furono le
doglianze del popolo, che stette poco a richiamarli. Di questo colpo sì
pregiudiziale ai Visconti si rallegrarono forte i collegati lombardi:
nè tardò il _marchese Aldrovandino_ d'Este a spedir dei buoni aiuti
all'Oleggio, per tenerlo saldo nell'usurpato dominio. All'incontro,
ne furono turbatissimi i Visconti, e tosto inviarono il _marchese
Francesco d'Este_ con un esercito sul Bolognese, che recò molti danni
a quelle ville e tentò anche di prendere Bologna, ma ne fu bravamente
respinto.
 
Intanto nel dì 26 di settembre venne a morte _Matteo Visconte_,
personaggio di molta avvenenza, che non avea pari nella facondia, e
superava anche i suoi fratelli nelle virtù, se non ch'era stranamente
guasto dalla lussuria. Comune fama fu ch'egli morisse di veleno datogli
da' suoi due fratelli _Bernabò_ e _Galeazzo_[1562]; chi immaginò
perchè gli fosse scappato di bocca, essere bella cosa il dominar
senza compagni; e chi perchè, essendo egli bestialmente perduto nella
libidine, e facendo incetta di belle donne nobili, ad onta ancora
de' lor genitori o mariti, temerono che ne seguisse un dì qualche
sollevazione. Fors'anche la sfrenata lussuria sua il consumò. Certo
è ch'egli, quasi all'improvviso, mancò di vita. Giacchè non lasciò
dopo di sè maschi, divisero i due fratelli la di lui eredità. A
_Bernabò_ toccarono Lodi, Parma e la perduta Bologna, colle castella
di Marignano, Pandino e Vavrio; a _Galeazzo_ Piacenza, Bobbio, Monza,
Vigevano ed Abbiate. Milano fu diviso in due parti, e Genova restò
indivisa. Non passarono due mesi che lo scaltro _Giovanni da Oleggio_
intavolò un trattato di pace con Bernabò Visconte; e seguì infatti,
credendosi per tal via Bernabò di poter meglio ottenere il suo
intento, cioè di atterrarlo, essendosi convenuto ch'egli metterebbe
i podestà in Bologna: Giovanni da Oleggio ne godrebbe il dominio sua
vita natural durante; e questo dopo morte ritornerebbe a Bernabò. Con
gran festa e solenni bagordi fu pubblicata questa pace in Bologna nel
dì 7 di dicembre. Signoreggiavano in Padova _Jacopino da Carrara_ e
_Francesco da Carrara_ nipote suo; e sembrava fra loro un'invidiabil
concordia[1563]. Era Francesco generale della lega di Lombardia contro
ai Visconti. Preso un pretesto, cavalcò a Padova, e nel dì 18 di luglio
nell'ora di cena fece mettere le mani addosso allo zio, e il mandò
prigione in una fortezza, dove con suo comodo finì quello che gli
restò di vita. Sua moglie _Margherita da Gonzaga_ con un figliuolino
d'un anno fu rimandata a Mantova, e Francesco prese tutta la signoria
di Padova. Secondo i Cortusi[1564], Jacopino tramava insidie alla
vita di Francesco per mezzo di Zambone Dotti, che convinto fu messo
in una gabbia di ferro, e poscia ucciso da' suoi stessi parenti.

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