2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 107

Annali d'Italia 107


Altrettanto dicono i Gatari[1565], con aggiugnere che fra le mogli
d'essi due signori era insorta emulazione, e quindi essere venuto il
trattato di avvelenare Francesco. Comunque sia, per attestato del
Villani, non si potè levar di testa a molti, che unicamente per la
malnata cupidigia di dominare, abborrente ogni compagnia sul trono,
Francesco da Carrara inventasse quelle accuse, affine di sbrigarsi di
suo zio, e di regnar solo. Un'altra più funesta scena si fece vedere
quest'anno in Venezia[1566]. Sulla cadrega di legno di Marino Faliero
doge di Venezia una mattina si trovò scritto: _Marin Faliero dalla
bella moglie: altri la gode, ed egli la mantiene_. Perchè, scoperto il
malfattore, cioè Michele Steno, non ne fu fatta aspra giustizia dagli
avogadori, cotanto se ne sdegnò il doge, che si diede a macchinar una
congiura coi popolari, per far tagliare a pezzi i nobili, e farsi egli
signore di Venezia. Dovea scoppiar la mina nel dì 15 d'aprile; ma prima
di quel tempo, traspirato un sì nero disegno, poste le mani addosso al
doge, nel luogo stesso, dove avea fatto il giuramento nell'assunzione
al ducato, fu a lui tagliata la testa nel dì 17 d'aprile, e a molti de'
congiurati il capestro abbreviò la vita. Fu poscia eletto doge nel dì
21 d'esso mese _Giovanni Gradenigo_.
 
Fecero in quest'anno all'uscita di maggio essi Veneziani una
svantaggiosa pace col popolo di Genova[1567]. Per lo contrario, alcune
navi de' Genovesi fieri corsari nel mese di giugno s'impadronirono
a tradimento della città di Tripoli in Barberia. La preda quivi
fatta in danari e mobili preziosi ascese ad un milione ed ottocento
mila fiorini d'oro. Circa sette mila furono i prigioni fra uomini e
donne. E quantunque il loro comune non approvasse, o facesse vista
di disapprovar quel fatto, pure si mantennero in quella città,
finchè trovarono un ricco saraceno, a cui la venderono per cinquanta
mila doble d'oro, e se ne tornarono in fine a Genova con infinite
ricchezze, le quali fecero lor poco pro, perchè quasi tutti in breve
tempo capitarono male, o tornarono in povero stato. Dai collegati
di Lombardia, dappoichè si furono accorti delle ribalderie e della
corrotta fede del _conte Lando_ Tedesco, fu licenziata la gran
compagnia de' suoi masnadieri; e sentendo costoro che v'era guerra in
Puglia contro _Luigi re di Napoli_, come gli avvoltoi alle carogne,
così trassero anche essi a quella volta; nè trovando contraddizione,
andarono malmenando il paese, e poi passarono in Terra di Lavoro,
accostandosi anche alla stessa città di Napoli. Avea raccolto da
varie parti _Niccolò degli Acciaiuoli_ siniscalco circa mille barbute
di gente tedesca, e pareva che il re Luigi volesse uscire in campo
contra di que' ribaldi. Nulla se ne fece, anzi, perchè non correano
le paghe, molti di que' mille uomini d'armi si andarono ad unire alla
gran compagnia del conte Lando, che sguazzava alla barba de' regnicoli.
In fine il re Luigi, per levarsi d'addosso un sì grave fardello,
s'accordò di pagare a quegli assassini cento cinque mila fiorini d'oro,
trentacinque mila in contanti, e il resto in due rate, purchè se ne
andassero. Bisognò per questo torchiar le borse de' Napoletani e dei
mercatanti, non senza gravi lamenti di que' popoli, i quali fecero per
questo anche una sedizione popolare, che non ebbe conseguenza. Intanto
_don Luigi d'Aragona_ re di Sicilia coll'aiuto dei Catalani avea
ripigliate alcune delle terre occupate dal re di Napoli; ma non potè
proseguire il corso della vittoria, perchè la morte il rapì nel mese di
novembre nella sua verde età. Gli succedette _don Federigo_ suo minor
fratello, di cui presero cura i Catalani, restando più che mai l'isola
lacerata e sconvolta per la fazion contraria de' Chiaramontesi.
 
NOTE:
 
[1545] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1546] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
 
[1547] Matteo Villani, lib. 4, cap. 39.
 
[1548] Muratorius, de Coron. Ferrea, tom. 2, Anecdot. Latin.
 
[1549] Annales de Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1550] Chronic. Placentin., tom. eod.
 
[1551] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1552] Cronica Sanese, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1553] Chronic. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
 
[1554] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1555] Rebdorfius, Annal.
 
[1556] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1557] Antiquit. Italicar., Dissert. XXIX, pag. 855.
 
[1558] Matteo Villani, lib. 5, cap. 20.
 
[1559] Chron. Senense, tom. 15 Rer. Ital. Cortus. Hist., tom. 12 Rer.
Ital.
 
[1560] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital. Matteo Villani, lib. 4,
cap. 52.
 
[1561] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital. Matth. de
Griffonibus, Chron. Bonon., tom. 18 Rer. Ital. Cronica di Bologna, tom.
eod.
 
[1562] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital. Corio, Istor. di
Milano. Matth. de Griffonib., Chron., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1563] Matteo Villani, lib. 5.
 
[1564] Cortus. Histor., tom. 12 Rer. Ital.
 
[1565] Gatari, Cron. di Padov., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1566] Sanuto, Istor., tom. 22 Rer. Ital. Caresinus, Chron., tom. 12
Rer. Ital.
 
[1567] Matteo Villani, lib. 5, cap. 48.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLVI. Indizione IX.
 
INNOCENZO VI papa 5.
CARLO IV imperadore 2.
 
 
La pace conceduta da _Bernabò Visconte_ a _Giovanni da Oleggio_
si scoprì in fine fatta per tradirlo[1568]. Certamente l'Oleggio
la conservò con tutta onoratezza; ma Bernabò, fingendo di volere
far guerra al marchese di Ferrara, mandò sul Bolognese con assai
combattenti Arrigo figliuolo di Castruccio, già signore di Lucca, il
quale, entrato in Bologna, cominciò a manipolare una congiura contra
dell'Oleggio. La buona fortuna e insieme l'avvedutezza di Giovanni gli
fecero scoprir la trama. Arrigo di Castruccio, due conti da Panigo
ed altri non pochi ebbero tagliata la testa per questo; e per tal
tradimento non sapendosi più l'Oleggio indurre a fidarsi de' Visconti,
si collegò con _Aldrovandino d'Este_ marchese di Ferrara, e cogli
altri alleati contra de' medesimi Visconti, e fedelmente proseguì da
lì innanzi in questa lega. Tale fu il frutto che riportò Bernabò dalla
scoperta sua infedeltà. Avea intanto _Galeazzo Visconte_ suo fratello
disgustato _Giovanni Paleologo_ marchese di Monferrato, principe per
valore, per potenza ed accortezza molto riguardevole[1569]. Bastava
anche ad alienar l'animo d'ogni vicino dai Visconti la smoderata loro
superbia ed insaziabilità, per cui niuno dei principi si credea più
sicuro in casa sua. Era il marchese di Monferrato unito coi Beccheria
di Pavia, anzi, come vicario generale costituito da _Carlo IV_ Augusto,
teneva un buon piede in quella città. Perciò mandò la sfida a Galeazzo,
le cui città confinavano col suo marchesato. Se l'intese cogli
Astigiani, signoreggiati allora dai Visconti contro i patti ch'essi
aveano stabilito col fu _Luchino Visconte_. Ora il marchese Giovanni
s'impadronì della medesima, allora possente e buona, città di Asti, con
un giudizioso stratagemma; e tuttochè i fratelli Visconti inviassero
gran gente in aiuto al castello, che tuttavia si tenea per loro, ebbe
tal vigore il marchese, che quella fortezza venne alle sue mani. Tolse
anche a Galeazzo la città di Alba[1570], e gli fece ribellare Cherasco,
Chieri e tutte le terre del Piemonte, e si strinse dipoi in lega con
_Amedeo conte di Savoia_, appellato il _conte verde_. Rivolsero i due
fratelli Visconti il loro sdegno contra di Pavia, e con grandi forze
nel mese di maggio andarono ad assediar quella città da ogni parte,
risoluti di non levare il campo, se prima non la riducevano alle loro
voglie. Ma, per non impiegar ivi troppa gente, la strinsero dipoi con
tre bastie, e ne seguirono varii combattimenti coi Pavesi. Intanto
Bernabò, intento ad altre imprese, spedì due mila cavalieri, grossa
fanteria ed un copioso naviglio per Po all'assedio di Borgoforte sul
Mantovano. Ma di là furono fatti sloggiare; nè andò molto che i Pavesi,
animati da un soccorso loro inviato dal marchese di Monferrato, e più
dalle prediche di frate Jacopo Bussolari dell'ordine agostiniano, a
cui aveano gran divozione e fede[1571], usciti di città nel dì 27 di
maggio, presero valorosamente quelle bastie, abbruciarono il naviglio
che i Visconti teneano sul Ticino, e con gran guadagno di munizioni
ed arnesi rimasero liberi affatto per ora dai loro artigli. Oltre a
ciò, _Filippo_ ed _Ugolino da Gonzaga_, signori di Mantova e Reggio,
venuti a Modena[1572], ed uniti con Ugolino da Savignano capitano delle
genti di _Aldrovandino marchese_ d'Este, nel dì 6 di febbraio andarono
per assalire l'esercito de' Visconti, che, venuto sul Reggiano, avea
quivi fabbricata una bastia, cioè una di quelle fortezze di legno che
si piantavano allora, e ben munite faceano e sosteneano gran guerra.
Ritirossi l'armata nemica, e, dato l'assalto alla bastia, fu presa
colla strage di molti, e col far prigioni circa quattrocento soldati.
Poscia nel dì 10 d'esso mese marciarono a San Polo, che era assediato
da' nemici, e li misero in fuga, con prendere ducento uomini e trecento
cavalli. Un'altra buona percossa ebbero le genti del Biscione, cioè da
Bernabò, a Castiglione delle Stiviere, sul finire d'agosto. Dopo aver
lungamente assediata quella terra, ne furono con loro vergogna e danno
cacciati dalle milizie de' Gonzaghi e del marchese di Ferrara.
 
Intanto, capitata in queste parti la gran compagnia del _conte Lando_,
quantunque poco capitale potesse farsi della fede di costui e della
sua gente, pure l'Estense e i Gonzaghi la presero al loro soldo.
Formata in questa maniera una poderosa armata di cavalieri e fanti,
si inviarono alla volta di Parma e Piacenza, ed arrivarono fin sul
distretto di Milano, mettendo a sacco quelle contrade, e commettendo le
enormità tutte che soleano praticarsi dagli Oltramontani d'allora. Andò
poscia la gran compagnia di quei masnadieri ai servigio di _Giovanni
marchese_ di Monferrato, contro cui aspramente guerreggiavano i
Visconti. Ma qui non finirono le disgrazie di essi Visconti[1573]. Il
marchese di Monferrato tolse loro Novara; e se il conte Lando, uomo di
corrotta fede, avesse secondato i di lui disegni, avrebbe fatto delle
maggiori conquiste. Il peggio fu che Genova in questo anno a dì 14
di novembre levatasi a rumore[1574], si sottrasse all'ubbidienza de'
Visconti, dimenticandosi ben presto que' cittadini che coll'appoggio
dell'_arcivescovo Giovanni_ da un basso stato erano risaliti ben
alto. Dacchè quel popolo vide i due fratelli Visconti, _Bernabò_ e
_Galeazzo_, impegnati in una guerra sì viva in Lombardia, e tolte loro
varie città dal marchese di Monferrato, cominciarono a scoprire la lor
voglia di rimettersi in libertà, e non ne faceano mistero. Trovavasi
in Milano a guisa d'ostaggio _Simonino Boccanegra_, che negli anni
addietro era stato doge di Genova. Sapea ben parlare, e diedesi a
far credere ai Visconti, che se gli avessero permesso di tornare a
Genova, per la pratica ch'egli avea di quel popolo, gli dava cuore
di pienamente calmarlo. Gli fu creduto, ed andò. Ma giunto colà, fece
tutto il rovescio, ed egli fu che commosse i cittadini a ribellarsi,
cioè i popoli, perchè i nobili non furono con lui. Nel dì seguente
15 di novembre si fece egli proclamar doge di Genova, e ridusse
il governo affatto popolare, con escluderne i nobili, e mandare ai
confini alcuni de' più potenti. Dopo di che entrò in lega col marchese
di Monferrato contra de' Visconti. Ma questo marchese, dacchè si fu
impadronito di Novara, attendendo a conservare un sì bell'acquisto e
ad assediare il castello, benchè ricercato dalla lega lombarda[1575],
ricusò di marciare sul Milanese. Perciò il _conte Lando_ e i collegati
ch'erano a Mazenta, Casorate e Castano, terre da loro spogliate d'ogni
sostanza, al vedere che ogni dì più s'ingrossava l'armata de' Visconti,
giudicarono meglio di ritirarsi a Pavia. Quando eccoti nel dì 13 di
novembre il _marchese Francesco d'Este_ e _Lodovico Visconte_, capitani
de' fratelli Visconti, che vengono coll'esercito milanese ad assalirli
alla coda. Se il conte avesse voluto uscir di strada, e mettersi al
largo, avrebbe forse vinta la pugna; ma siccome egli non istimava un
frullo le genti di Milano, così non si mise gran pensiero di loro.

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