2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 108

Annali d'Italia 108


Il fatto andò diverso da quello ch'egli pensava; fu messo in fuga e
sbandato l'esercito suo; molti nobili signori rimasero prigionieri;
e lo stesso conte Lando ebbe bisogno degli speroni per ritirarsi a
salvamento in Pavia. Fra gli altri vi fu preso il vescovo d'Augusta,
chiamato _Marcuardo_, che s'intitolava vicario. All'anno presente e
giorno suddetto vien riferito questo fatto dall'Annalista Piacentino
e dal Corio; ma, secondo Pietro Azario, pare che appartenga all'anno
seguente, scrivendo egli che esso conte svernò nel Novarese, e fece in
quel tempo continua guerra alle ville del distretto di Vercelli; e che,
tornato nella primavera a Mazenta, sentendo che l'esercito milanese
avea riacquistato Casorate, volle ritirarsi in aria sprezzante a Pavia,
ma ne riportò la percossa suddetta.
 
Al cardinale _Egidio Albornoz_ legato apostolico, dopo avere ricuperato
il Patrimonio, il ducato di Spoleti, la marca di Ancona e buona parte
della Romagna, altro non restava da fare che di sottomettere _Francesco
degli Ordelaffi_ signore di Forlì, Forlimpopoli e Cesena, siccome
ancora _Giovanni_ e _Rinieri_ de' Manfredi signori di Faenza. Contra
di loro fece predicar la crociata, e profuse immense indulgenze: il
che, per attestato di Matteo Villani[1576], servì a ricavar danaro da
tutte le parti, perchè non vi era voto, o peccato che spendendo non si
rimettesse ed assolvesse: il che fu un saccheggio alle borse di molti
paesi, e servì ad ingrassare i banditori di essa crociata. Andò il
cardinale all'assedio di Faenza, e nello stesso tempo, cioè nel mese
di giugno, perchè udì che la gran compagnia del _conte Lando_ veniva di
Puglia per entrar nella Marca, si accostò con altro corpo di gente alla
città d'Ascoli. Quel popolo, temendo della venuta di quegli assassini,
prese il miglior partito di darsi al legato, che n'entrò ben volentieri
in possesso. Anche il signore di Fabriano di casa Trinci, che fin qui
s'era tenuto saldo senza cedere agli ordini del legato, venne in questi
tempi all'ubbidienza sua, e da lui riconobbe quella signoria. Faenza
si arrendè al legato per patti fatti coi Manfredi signori di quella
terra, a' quali egli lasciò godere alcune castella[1577]. V'entrò il
cardinale nel dì 17 di novembre. Fu anche dato il guasto a Cesena, che
ubbidiva allora al signore di Forlì. Era questa città difesa da _Cia_
moglie di _Francesco_, donna di raro valore e di spiriti virili, la
quale, vestendo l'armi a guisa degli uomini, fece di molte prodezze,
e lungamente difese quella terra. Una più grave tempesta si scaricò
in quest'anno addosso ai Veneziani[1578]. _Lodovico_ potentissimo
_re d'Ungheria_ da gran tempo nudriva mal animo contra di quella
repubblica, non tanto per Zara ed altre città ch'egli pretendeva[1579],
quanto perchè gli avevano negata qualsivoglia assistenza di navi e di
gente per la guerra fatta al regno di Napoli. Benchè durasse la tregua
di otto anni con quella repubblica, più non volle aspettare a tentarne
la vendetta. Due poderosissimi eserciti mise egli insieme; e presi
de' pretesti di rottura, l'uno spinse in Dalmazia, e l'altro inviò
alla volta d'Italia. Richiese ai Veneziani la Dalmazia e l'Istria; si
sarebbe anche contentato d'un annuo censo; ma sembrando ingiuste e dure
tali dimande ai Veneziani, che da tanto tempo signoreggiavano quelle
contrade, elessero piuttosto di difendersi con pericolo, che di cedere
con vergogna. Venne in persona il re Lodovico coll'esercito unghero in
Italia nel mese di giugno, e i Cortusi[1580] (probabilmente con della
iperbole) scrivono che la sua armata fu creduta di cento mila cavalli.
Unironsi con lui i conti di Collalto, chiamati conti di Trevigi,
perchè tali erano stati i lor maggiori, e quei di Vonigo ed altri
castellani di quelle parti. Strinse d'assedio la città di Trivigi, e
si impadronì d'Asolo, Ceneda e Conegliano. Frattanto nel dì 8 d'agosto
giunse al fine di sua vita _Giovanni Gradenigo_ doge di Venezia, e fu
in suo luogo eletto _Giovanni Delfino_ a dì 14 d'esso mese. Era questi
capitano ossia governator delle armi venete chiuso in Trivigi, città
allora assediata dal re unghero. Spedì il senato veneto ambasciatori
al re, pregandolo di lasciarne liberamente uscire il loro doge.
Secondo i Cortusi e i Gatari, Lodovico cortesemente accordò lor questa
grazia; ma, per attestato del Caresino, la negò loro, gloriandosi di
tenere assediato un doge di Venezia. Da lì nondimeno a qualche tempo
ne uscì il Delfino, e felicemente condotto a Venezia salì sul trono,
ma in tempo in cui si trovava sopraffatta da troppo gravi calamità la
sua repubblica. Per maneggio di _Niccolò Acciaiuoli_ gran siniscalco
riuscì in quest'anno nel mese di novembre a _Luigi re_ di Napoli di
occupar il fortissimo castello di Mattagriffone sopra Messina[1581]:
per la cui presa e pel bisogno ancora che aveano di vettovaglia i
Messinesi, anche la città alzò le di lui bandiere: acquisto che fu
creduto dover decidere la controversia del dominio della Sicilia. In
quella importante città fecero la loro entrata nel dì 24 di dicembre il
_re Luigi_ e la _regina Giovanna_, e grande allegrezza e gala nel loro
accoglimento fece tutta quella cittadinanza.
 
NOTE:
 
[1568] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Matthaeus de Griffonibus,
Chron., tom. eod. Matteo Villani, lib. 6, cap. 6.
 
[1569] Petrus Azarius, Chron., cap. 12, tom. 16 Rer. Ital.
 
[1570] Matteo Villani, lib. 6, cap. 3.
 
[1571] Chronic. Placentin., tom. 16 Rer. Italic.
 
[1572] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1573] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1574] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1575] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital. Corio, Istoria di Milano.
 
[1576] Matteo Villani, lib. 6, cap. 14.
 
[1577] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Cronica di Rimini, tom.
15 Rer. Ital.
 
[1578] Gatari, Ist. Padov., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1579] Caresin., Chron., tom. 12 Rer. Ital.
 
[1580] Cortus. Histor., lib. 11, cap. 8, tom. 12 Rer. Ital.
 
[1581] Matteo Villani, lib. 8, cap. 39.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLVII. Indizione X.
 
INNOCENZO VI papa 6.
CARLO IV imperadore 3.
 
 
Quantunque il cardinale _Egidio Albornoz_ legato del papa tante
prodezze avesse fatto negli Stati della Chiesa, dove altro non gli
restava da sottomettere, se non l'ostinato _Francesco degli Ordelaffi_
signor di Forlì e Cesena[1582]; pure, per uno di quei colpi segreti
che facilmente accadono nelle gran corti, fu egli richiamato dal papa
ad Avignone, e mandato in sua vece al governo dell'armi con molta
autorità _Androino abbate di Clugnì_, che s'intendeva più di dire il
breviario che di trattar affari di guerra. Tenne il cardinale nel dì
27 d'aprile un gran parlamento in Fano, dove si licenziò, e raccomandò
a tutti la fedeltà verso la santa Sede; ma, conoscendo ognuno di che
errore e pericolo fosse il lasciar partire in sì fatte contingenze
un uomo di tanto senno, tutti, ed anche lo stesso abbate di Clugnì,
cotanto lo scongiurarono di differir almeno sino al settembre la sua
andata, che si fermò. Teneva il cardinale un trattato coi cittadini di
Cesena[1583], e questo scoppiò nel dì 29 di esso mese d'aprile. Levò
rumore il popolo, gridando: _Viva la Chiesa_; e, prese l'armi, con
tal possanza combatterono contro ai provvisionati di _Francesco degli
Ordelaffi_, che gli astrinsero a ritirarsi nella Murata; che così si
appellava quella fortezza. Non potè riparare all'improvviso colpo la
valorosa _Cia_, moglie d'esso Ordelaffo; fece bensì ella tagliar la
testa a due suoi consiglieri sospetti del tradimento, e poi si accinse
disperatamente alla difesa della Murata. Un gran sacco ed incendio di
case fu il regalo che per tal mutazione toccò a quella misera città.
A questo avviso, il cardinale coi Malatesti e con _Roberto degli
Alidosi_ da Imola corse a Cesena con tutte le sue forze, ascendenti
tra fanti e cavalli a cento ottanta bandiere. Vinta fu la murata, e
Cia si ritirò nella rocca[1584]. Col continuo cavare, fu messa sui
pontelli la torre maestra che dava l'entrata in quella rocca; nè
volendosi mai rendere la feroce donna all'aspetto del pericolo, nè
alle esortazioni di Vanni degli Ubaldini suo padre, che corse apposta
colà, attaccato il fuoco ai pontelli, fu fatta in fine cadere la torre,
di modo che nel di 21 di giugno restò presa la rocca, e Cia ritenuta
prigione coi figliuoli e nipoti. A tale conquista succedette quella
di Bertinoro; e, ciò fatto, rivolse il legato le sue genti contro a
Forlì. Ma convenne interrompere il corso della vittoria, perchè avendo
Francesco degli Ordelaffi implorato soccorso da _Bernabò Visconte_,
questi, per non iscoprirsi nemico della Chiesa, segretamente indusse
il conte Lando con danari (esca sola ricercata da lui) a condurre nel
mese di giugno la gran compagnia verso la Romagna. Potrebbe nondimeno
essere che senza istigazione di Bernabò, e alle istanze dell'Ordelaffi
si movesse il conte. Vennero questi masnadieri nelle vicinanze di
Forlì. Erano quattro mila cavalieri, mille e cinquecento balestrieri,
oltre ad una smisurata folla di ribaldi e femmine che correvano alla
carogna. La Cronica di Piacenza ha[1585] che fu solamente una parte
della gran compagnia, consistente in soli tre mila combattenti. Bandì
il legato[1586] il perdon generale de' peccati a chi prendea la croce
contra di costoro. Chi non potea o non volea procedere colle armi, e
massimamente le donne, guadagnavano, ciò non ostante, il perdono con
pagare; nè passava dì che il legato con questa buona mercatanzia non
ricavasse mille e mille ducento fiorini d'oro. Benchè si trovasse egli
più forte di gente che la compagnia; pure, temendo di azzardare una
battaglia, meglio amò di far tornare in Lombardia quegl'iniqui collo
sborso di cinquanta mila fiorini. Pertanto sul fine d'agosto, dopo aver
messo l'assedio alla città di Forlì, lasciato il governo dell'armata
all'abbate di Clugnì, se ne tornò accompagnato da _Malatesta_ di Rimini
ad Avignone, glorioso, benchè maltrattato da quella corte. Nè si dee
tacere che, conoscendo egli che la sorgente di tanti guai, a' quali
era allora sottoposta buona parte dell'Italia, veniva dalla soverchia
avidità e potenza dei due fratelli Visconti, stabilì lega offensiva
e difensiva nel dì 28 di giugno con _Aldrovandino_ marchese d'Este,
vicario di Ferrara per la santa Sede, e di Modena per l'imperio, coi
_Gonzaghi_ signori di Mantova e Reggio, con _Giovanni Visconte_ da
Oleggio signore di Bologna, con _Giovanni marchese_ di Monferrato
vicario di Pavia, con _Simone Boccanegra_ doge di Genova, e coi
_Beccheria_ da Pavia. Lo strumento fu da me dato alla luce[1587]. Parve
fatta quella lega contro alla compagnia del conte Lando, ma esso mirava
più oltre.
 
Due mila barbute e gran moltitudine di fanti inviò in quest'anno sul
principio di giugno _Bernabò Visconte_, sotto il comando di Galasso
Pio, nel territorio di Modena, dove fece di gran danno[1588]. Venuto
il luglio, s'inoltrò quest'armata fino a Piumazzo sul Bolognese[1589],
parendo che avesse qualche intelligenza (e fu anche vero) in Bologna.
Nel dì 11 d'esso mese le milizie de' Gonzaghi, dell'Estense e
dell'Oleggio, comandate da _Feltrino Gonzaga_, andarono virilmente ad
assalire l'armata nemica, e le diedero una buona spelazzata, tanto che
la costrinsero a ritirarsi per la via di Nonantola a Carpi, e poscia al
loro paese. Fu ben costretto alla resa sul fine di gennaio dell'anno
presente da _Giovanni marchese_ di Monferrato il castello di Novara,
nè fu possibile ai Visconti con tutti i loro sforzi di dargli soccorso;
ma perciocchè il _conte Lando_, che tuttavia era in quelle parti colla
sua gran compagnia, non si accordava con _Ugolino da Gonzaga_ capitano
della lega, di più non migliorarono gl'interessi della stessa lega.
Anzi verso il fine d'agosto peggiorarono[1590]; imperciocchè riuscì
ai Visconti di torre per tradimento ai signori da Gonzaga il castello
di Governolo: il che fu cagione, per cui i medesimi Visconti, volte

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