2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 109

Annali d'Italia 109



a quella parte la possanza delle lor armi, assediarono Borgoforte,
e se ne impadronirono. E così trovandosi sciolte le mani a maggiori
imprese, passarono sul Serraglio di Mantova, e posero l'assedio alla
stessa città di Mantova. Per questo i collegati, benchè tante volte
traditi dal conte Lando, pure, necessitati da così strane vicende,
tornarono a chiamarlo in Lombardia al loro soldo. Colà si portò egli
nel mese di ottobre colle sue masnade, ed unitosi con _Ugolino Gonzaga_
e coll'altra gente della lega, tutti entrarono nel distretto di Milano,
saccheggiando e bruciando[1591]. Lasciati in Castro, castello del
Milanese, mille barbute (le barbute erano allora uomini d'armi con due
cavalli) e cinquecento fanti, affinchè il nemico fosse distratto in
quelle parti, s'inoltrò l'armata sul Bresciano. _Giovanni Bizozero_,
capitan generale di Bernabò, si levò per questo di sotto a Mantova, e,
andato loro incontro nel mese di dicembre al passo dell'Oglio, venne a
battaglia. Ostinatamente fu combattuto; ma restò sconfitto l'esercito
del Visconte, e fatto prigione lo stesso suo capitano con venti
conestabili ed altra gente. Poco differente fortuna provò un'altra
parte dell'armata d'essi Visconti, la quale, avendo assediato in Castro
i soldati suddetti della lega, si credeva d'ingoiarli; ma fu virilmente
rispinta ed obbligata a ritirarsi. Seguito io qui l'ordine delle cose
e dei tempi tenuto da Matteo Villani, autore molto accurato, e che
scrivea gli avvenimenti d'allora, il cui racconto vien confermato dalla
Cronica di Piacenza; perciocchè le storie di Pietro Azario e del Corio
sembrano a me imbrogliar qui i tempi e le imprese.
 
Nel maggio di quest'anno _Luigi re_ di Napoli, dimorante in Messina,
facendo credere a quel popolo di voler quivi tener la sua corte per
sei anni, si avvisò di far l'assedio di Cattania[1592]. Con mille e
cinquecento cavalieri ed assai fanteria _Niccolò degli Acciaiuoli_
Fiorentino gran siniscalco formò quell'assedio. Ma da due galee
catalane essendo state prese due del re Luigi, destinate a portar la
vettovaglia al campo, talmente rimasero sbigottiti gli assedianti,
prima sì baldanzosi, che si diedero ad una precipitosa fuga sul
fine del suddetto mese, lasciando indietro tende e bagaglio. Furono
inseguiti dalla guarnigion di Cattania, e maltrattati dai villani, con
restar prigione il conte Camarlingo. Le storie di Napoli aggiungono
che anche Niccolò Acciaiuoli fu preso, e riscattato col cambio di due
sorelle del _re di Sicilia Federigo_, soprannominato il Semplice. Ma
abbiamo da Matteo Villani, ch'egli per valore d'un buon destriere
si salvò, con aver nondimeno perduto gran tesoro di gioielli e di
arnesi. Questa disgrazia e la ribellione molto prima cominciata nel
regno di Napoli da _Luigi duca_ di Durazzo, il quale s'era unito con
Giovanni Pipino conte di Minerbino, furono cagione che il re Luigi se
ne tornasse a Napoli, per attendere a quello che più gl'importava nelle
congiunture presenti. Intanto continuava la guerra di _Lodovico re_
d'Ungheria contra de' Veneziani nel Trevisano e in Dalmazia. Sostennero
con vigore questo gran peso i Veneziani in questa parte, ed altrettanto
andavano facendo in Dalmazia[1593]. Ma nel settembre di quest'anno
accadde che, per tradimento dell'abbate di San Grisogono, ossia di San
Michele di Zara, una notte furono introdotte con iscale per le mura
le milizie unghere: laonde quella riguardevol città fu presa, e non
passò l'anno che anche il castello d'essa fu obbligato a rendersi:
disavventure che in fine fecero prendere al senato veneto la risoluzion
di chiedere pace, e di ottenerla, siccome diremo all'anno seguente.
Ma intanto penetrato alle città di Traù e di Spalatro l'avviso che
i Veneziani esibivano al re quelle due città, il popolo d'esse, per
farsi merito con esso re, a lui si diedero prima del tempo, senza
voler dipendere dall'altrui volontà. Anche _Simone Boccanegra_ doge
di Genova tanto s'industriò in questo anno, che ridusse all'ubbidienza
sua Ventimiglia, Savona e Monaco: con che assai crebbe in riputazione
il governo suo. Era in questi tempi frate Jacopo Bussolari dell'ordine
de' Romitani di santo Agostino in gran credito in Pavia per la sua
pietà ed astinenza, e più per le sue ferventi prediche[1594]. Perciò,
divenuto arbitro del popolo, il menava a suo piacere. Non contento
egli d'impiegare il suo talento negli affari spirituali, cominciò a
mischiarsi nel governo temporale. Tenevasi forte con lui _Giovanni
marchese_ di Monferrato, siccome quegli che aspirava al dominio di
Pavia, città allora di gran potenza e ricchezze. Un dì (e fu creduto a
suggestion del marchese) perorò così bene frate Jacopo contro i signori
di Beccheria, signori da gran tempo di quella città, ma discordi fra
loro e poco timorati di Dio, che indusse il popolo a scuotere il loro
giogo, e a governarsi a comune. _Castellino, Fiorello_ e _Milano_,
i primi della suddetta famiglia, essendone fuggiti, intavolarono
segretamente un trattato coi signori di Milano, pensando col braccio
loro di ritornare in Pavia. Scoperto il negoziato, furono cacciati
della città gli altri da Beccheria, e presi da cento cittadini loro
amici, dodici de' quali ebbero mozzato il capo. Quindi venuto a Pavia
il marchese di Monferrato con mille e ducento cavalieri e quattro mila
fanti, mosse il frate tutto quel popolo, ed egli alla testa loro marciò
sul Milanese, da dove asportò una sterminata copia d'uve, di cui Pavia
pativa troppa penuria.
 
NOTE:
 
[1582] Matteo Villani, lib. 7, cap. 56.
 
[1583] Chron. Caesen., tom. 14 Rer. Ital.
 
[1584] Vita di Cola di Rienzo, Antiquit. Ital.
 
[1585] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1586] Matteo Villani, lib. 7, cap. 84.
 
[1587] Piena Esposizione, Append., num. 14.
 
[1588] Johann. de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1589] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1590] Matteo Villani, lib. 7, cap. 98.
 
[1591] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital. Matteo Villani, lib.
8, cap. 18. Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1592] Matteo Villani, lib. 7, cap. 72.
 
[1593] Gatari, Istor. di Padova, tom. 17 Rer. Ital. Marino Sanuto,
Istor., tom. 22 Rer. Ital. Cortusiorum Hist., tom. 12 Rer. Italic.
 
[1594] Petr. Azar., Chron., tom. 16 Rer. Ital. Matteo Villani, lib. 8,
cap. 2.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLVIII. Indizione XI.
 
INNOCENZO VI papa 7.
CARLO IV imperatore 4.
 
 
La gran potenza e i fortunati successi di _Lodovico re_ d'Ungheria
nella guerra da lui mossa alla repubblica veneta indussero quel saggio
senato a pregarlo di pace, con rimettere a lui, sapendo quanto fosse
magnanimo, le condizioni dell'accordo[1595]. Gradì il re così manierosa
offerta, accettò i loro ambasciatori, e rispose di non voler danari,
perchè niun bisogno avea dell'altrui moneta, ma bensì che pretendea
quello che anticamente era della sua corona. Però fu convenuto che
a lui restassero le città dell'Istria, Dalmazia e Schiavonia; e
laddove da tanto tempo indietro il doge di Venezia si intitolava _dux
Venetiarum, Dalmatiae, Croatiae, et quartae partis totius imperii
Romaniae_, bisognò ridurre quel titolario al solo _dux Venetiarum_. Per
altro il re restituì loro tutte le castella prese sul Trevisano, con
obbligare i Veneziani a dar pace a tutti que' castellani, e a fornirgli
nelle occorrenze ventiquattro galee alle spese del medesimo re. In
questa dolorosa maniera terminò la guerra del re unghero, terrore
allora di tutti i vicini, colla repubblica veneta. Restò un'amarezza
grande di quel senato contra di _Francesco da Carrara_ signore di
Padova, perchè egli avea usato di molte finezze al re Lodovico e
alle sue genti durante la guerra suddetta di Trivigi; con lamentarsi
inoltre, perchè egli continuamente avesse somministrato vettovaglie al
campo nemico, senza di che sarebbe stata presto terminata la guerra
in quelle parti per mancanza di sussistenza. Rispondeva il Carrarese
d'aver ciò fatto per necessità della vicinanza, e per salvare il
proprio paese, mentre avrebbono que' Barbari preso per forza e senza
pagamento ciò che si fosse loro negato. Ma nè queste nè altre ragioni
ritennero i Veneziani dal farne vendetta, allorchè il tempo propizio
loro si presentò. Era anche stata guerra in regno di Napoli per la
ribellione del _duca di Durazzo_: laonde s'erano riempiute d'assassini
e di mala gente tutte quelle contrade. Ma dacchè il conte di Minerbino,
grande autore e fomentatore di sedizioni, fu, secondo il suo merito,
impiccato, ebbe campo _Niccolò Acciaiuoli_ gran siniscalco con altri
baroni di metter pace fra il _re Luigi_ e il suddetto duca, e gli
altri Reali nel maggio di quest'anno. Gran festa se ne fece, e dacchè
furono banditi dal regno gli uomini d'arme forestieri, si restituì la
tranquillità a quel regno.
 
Tornò nell'aprile di quest'anno _Galeazzo Visconte_ all'assedio di
Pavia per terra e per acqua[1596]. Perchè fu creduto che i signori da
Beccheria, che erano col Visconte, fossero gl'istigatori di questa
guerra, fra Jacopo Bussolaro, di cui s'è parlato di sopra, tanto
strepito fece colle sue prediche, piene in apparenza di zelo, per la
lor distruzione, che il popolo, uomini, donne e fanciulli corsero a
diroccare e spianare da cima a fondo tutti i loro bei palagi: impresa
veramente nobile di quel religioso cappuccio, quasi che peccassero
le case, onde meritassero un sì barbaro gastigo. Grande fu lo sforzo
de' Pavesi per la difesa della città, e fecero anch'essi un nobile
armamento di navi sul Ticino per resistere al copioso naviglio di
Galeazzo, formato in Piacenza[1597], di cui era capitano Fiorello da
Beccheria. Fra queste due armate navali succedette un giorno un fiero
combattimento ad uno steccato fabbricato da' Pavesi in quel fiume.
Restarono morti e feriti assaissimi dall'una parte e dall'altra; ma
ne andarono infine sconfitti i Pavesi; fu distrutto lo steccato, e
quattro lor galeoni con altre barche vennero in potere de' Piacentini.
Durava nello stesso tempo la guerra di _Bernabò Visconte_ contro ai
Gonzaghi, Estensi e Bolognesi[1598]. Nel dì 20 di marzo s'affrontarono
le loro armate a Monte Chiaro, che era allora del distretto di
Cremona, e tutti menarono ben le mani. La vittoria si dichiarò in
favore de' collegati. Ma neppur questo servì a vantaggiar gl'interessi
di _Ugolino da Gonzaga_, perchè i Visconti dopo una perdita pareva
sempre che comparissero più forti di prima; e il contado di Mantova,
per la perdita di Governolo e Borgoforte e del Serraglio, si trovava
in gravi angustie e in pericolo di peggio. Perciò cominciò egli a
muovere parola di pace, e trasse nel sentimento suo anche _Aldrovandino
Estense_ signore di Ferrara, e _Giovanni da Oleggio_, giacchè tutti si
consumavano in questa guerra senza profitto alcuno. Prestò volentieri
orecchio a questa proposizione anche Bernabò Visconte per desiderio di
rompere il nodo di quella lega, e perchè a lui nulla costava di far
oggi una pace, e domani il romperla, se gli tornava il conto[1599].

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