2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 110

Annali d'Italia 110


Spedirono i collegati a Milano i loro plenipotenziarii, ed in essa
città fu conchiusa e pubblicata la pace nel dì 8 di giugno. A quel
trattato intervennero anche gli ambasciatori di _Carlo IV imperadore_,
di _Giovanni marchese_ di Monferrato, di Venezia e d'altri signori.
E perciocchè _Galeazzo Visconte_ pretendea la restituzion di Novara
e di Alba, a lui tolte dal suddetto marchese, fu rimessa la decisione
di questa pendenza all'imperadore, il qual poscia decise che fossero
restituite a Galeazzo quelle due città, e che questi restituisse al
marchese la terra di Novi sul confine del Genovesato. Per quello che
vedremo, pare che nulla fosse determinato per conto di Pavia[1600].
Essendo poi nato nel settembre un figliuolo a _Bernabò Visconte_, ne
vollero essere compari al battesimo _Aldrovandino marchese_ d'Este,
_Ugolino da Gonzaga_ e _Giovanni da Oleggio_. V'andarono in persona
i due primi coll'accompagnamento di copiosa nobiltà. L'Oleggio,
volpe vecchia, vi mandò per suo ambasciatore un suo nipote. Di ricchi
presenti, secondo il costume d'allora, fecero questi signori a _Regina_
dalla Scala moglie di Bernabò, e al figliuolo Lodovico. L'Estense donò
una coppa d'oro piena di perle, anelli e pietre preziose di valore
di circa dieci mila fiorini d'oro; il Gonzaga sei coppe di argento
dorato, e l'Oleggio molte pezze di panno d'oro e gran quantità di
zibellini. Sotto questo bel colore comperarono i men forti l'amicizia
dei più forti. Furono anche celebrate in Milano le nozze di _Caterina_,
figliuola del fu _Matteo Visconte_, con _Ugolino da Gonzaga_, e si
fecero per tal occasione bellissime giostre e torneamenti in quella
città. Ma _Feltrino da Gonzaga_, insospettito che il nipote Ugolino
coll'alleanza contratta coi Visconti l'escludesse dal dominio di
Mantova, prima che egli tornasse a Mantova, cavalcò a Reggio, e prese
l'intero possesso di quella città, e provvide di molta gente Suzara,
Reggiuolo e Gonzaga, per impedir gli attentati del nipote. Ugolino,
venuto anch'egli a Mantova, ad esclusion dello zio prese in sè tutta la
signoria di quella città, e tra loro da lì innanzi sempre fu un grosso
sangue.
 
Per la pace seguita in Lombardia restò licenziata la gran compagnia
del _conte Lando_[1601], e questa sen venne sul Bolognese nel mese di
giugno, e si accampò a Budrio. Era ito in Germania il conte, portando
seco gl'immensi tesori raccolti da tante ruberie in Italia, co' quali
fece acquisto di terre e castella. Seppe costui così ben dipignere
a _Carlo IV_ imperadore i vantaggi che potea portare a lui e allo
imperio la sua gente in Toscana, che Carlo il dichiarò suo vicario
in Pisa, e forse per la Toscana. Tornato questo capo di assassini in
Italia, allorchè fu sul Bolognese, intese come i suoi caporali aveano
presa condotta dai Sanesi, e n'ebbe piacere, perchè al precedente
motivo si aggiugnea quest'altro di passare in Toscana. Aveano i
Perugini assediata Cortona. Ora i Sanesi, che di mal occhio vedevano
l'ingrandimento de' vicini Perugini, ed erano anche pulsati per aiuto
dai Cortonesi, non solamente mandarono gente alla difesa di quella
città, ma anche presero al loro soldo _Anichino di Bongardo_, anch'esso
Tedesco, che avea messa insieme una compagnia di circa mille e ducento
barbute. Con tali rinforzi sul fine di marzo usciti in campagna, fecero
levar l'assedio di Cortona con perdita non lieve e molta vergogna de'
Perugini. Per cancellar tale onta, più che mai feroci ed ingrossati
di gente se ne tornarono i Perugini sotto Cortona. Vennero poscia i
Sanesi a battaglia, e ne furono malamente sconfitti, con veder poi
gli stessi nemici alle lor porte: dal che irritati chiamarono al
loro soldo la gran compagnia. In tale stato di cose avvenne che il
conte Lando, giacchè intese l'invito accettato dalla sua gente di
passare sul Sanese, ed egli stesso pel nuovo suo vicariato bramava di
portarsi colà, si mise in viaggio nel dì 24 di luglio per uno scosceso
ed aspro cammino dell'Apennino, a lui prescritto dai Fiorentini. Ma
non potendosi contenere i suoi soldati dal rubare e maltrattare i
montanari, costoro in numero solamente di ottanta si postarono ne'
siti superiori della via, e rotolando giù grossi sassi, senza che
potessero quegli sgherri nè offendere, nè difendersi, li misero in
fuga. Vi furono morti circa trecento di essi, oltre a molti presi, e
più di mille cavalli e trecento ronzini con assai roba rimasta in preda
ai vincitori. Lo stesso _conte Lando_ malamente ferito fu condotto
prigione, ma con promessa di molti danari trafugato si condusse a
Bologna, dove ben accolto da _Giovanni da Oleggio_, per la sua poca
cura fu in pericolo della vita. Il resto di quella mala gente si
ridusse nel contado d'Imola. _Francesco degli Ordelaffi_, che vedea
mal volentieri stretta la sua città di Forlì da due bastie poste dal
legato pontificio, tirò al suo soldo quei masnadieri per isperanza
che smantellassero le due nemiche fortezze. Costoro fecero di grandi
crudeltà e saccheggi in Romagna nel restante dell'anno. Ma avendo
la corte pontificia d'Avignone riconosciuta la balordaggine commessa
nel richiamar d'Italia l'assennato e valoroso _cardinale Egidio_, il
rimandò in quest'anno con titolo di legato ed ampia autorità negli
Stati della Chiesa. Passata la metà di dicembre, arrivò egli in
Romagna, e si diede a studiare i mezzi per vincere la pugna contro
l'ostinato signore ossia tiranno di Forlì. I Sanesi intanto[1602] e i
Perugini, che erano in guerra, e si trovavano stanchi ed esausti per
le perdite vicendevolmente fatte di genti e di avere, vennero a pace.
Restò ai Sanesi una specie di dominio in Cortona. Montepulciano venne
in poter dei Perugini.
 
NOTE:
 
[1595] Gattari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer Ital. Matteo Villani, lib.
8, cap. 30.
 
[1596] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Italic.
 
[1597] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1598] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1599] Johannes de Bazano, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1600] Corio, Istor. di Milano.
 
[1601] Matteo Villani, lib. 8, cap. 60.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLIX. Indizione XII.
 
INNOCENZO VI papa 8.
CARLO IV imperadore 5.
 
 
Dacchè _Bernabò Visconte_ ebbe sciolta la lega lombarda, che tanto gli
avea dato da fare, benchè avesse fatta pace ancora con _Giovanni da
Oleggio_ signor di Bologna, nè questi occasione alcuna gli avesse dato
di romperla; pure si preparò in quest'anno per fargli guerra, tenendo
per fermo che fosse giunto il giorno beato di ricuperar Bologna[1603].
Unita dunque una armata di quattro mila cavalli e di molta fanteria,
di cui fece capitano il _marchese Francesco Estense_ fuoruscito di
Ferrara, nel dì 6 di dicembre questa arrivò nelle vicinanze di Modena.
Avea l'Oleggio ben preveduto questo nembo, e a tal fine spediti i suoi
soldati con parte del popolo di Bologna alla guardia del fiumicello
Muzza, e fatto anche fortificar quelle ripe; ma appena giunse la voce
dell'avvicinamento di un sì poderoso esercito nemico, che tutti diedero
volta e si ritirarono a Bologna. Nel dì 8 del suddetto mese avendo
l'armata milanese passato in due guadi il fiume Panaro, andò a mettere
l'assedio a Crevalcuore, e per accordo entrò in quella terra nel dì 17.
Poscia nella festa del santo Natale arrivò ne' contorni di Bologna;
levò a quella città il canale dell'acqua del Reno, e per conseguente
l'uso de' mulini, e fabbricò una bastia a Casalecchio. Allora fu che
Giovanni da Oleggio cominciò a prevedere di non poter sostenere a lungo
tante forze venutegli addosso, massimamente perchè neppure uno alzava
un dito per lui.
 
Prima che queste cose avvenissero[1604], _Galeazzo Visconte_, aiutato
da _Bernabò_ suo fratello, spedì un poderoso esercito sotto il comando
di _Luchino dal Verme_ all'assedio di Pavia. Moriva di voglia di quella
sì riguardevol città; e seco erano i signori da Beccheria, i quali
aveano già prese tutte le castella della Lomellina e del distretto
pavese. Frate Jacopo Bussolari, di cui abbiam parlato altre volte,
dell'ordine di santo Agostino, e non già degli Umiliati, come ha il
Corio[1605], non cessava colle sue prediche di animar quel popolo
alla difesa, promettendo loro continuamente vittorie. E perciocchè
era venuto meno il danaro, con persuadere alle donne l'abbandonare
il lusso e le pompe, cavò loro di mano tutti gli anelli, e gioielli e
vesti preziose, e da' cittadini tutti i vasi d'oro e d'argento, colla
vendita dei quali fatta in Venezia ricavò assai pecunia per supplire
a' bisogni della guerra. Ma questo a nulla giovò. Cominciò la città a
penuriar di grano. Il buon frate ne cacciò tutti i poveri, gl'inabili
e le donne di mala vita. Pure di dì in dì cresceva la carestia[1606],
e a questi malanni s'aggiunse una grave epidemia, che portò gran gente
all'altro mondo. Secondochè scrisse il Corio, i Pavesi durante questo
assedio fecero una sortita con tal bravura, che misero in isconfitta
l'esercito del Visconte, uccidendone e prendendone assaissimi. Dal che
nondimeno non punto sbigottito Galeazzo, in breve rifece l'armata, e
più forte di prima tornò a strignere d'assedio Pavia. Nulla di ciò s'ha
da Pietro Azario storico di questi tempi. Ma siamo assicurati da Matteo
Villani[1607] e dagli Annali di Piacenza[1608] che _Giovanni marchese_
di Monferrato, vedendosi tolta la maniera di soccorrere quella città,
non meno per terra che per acqua, prese al suo soldo la compagnia del
_conte Lando_, e fattala venire per la riviera di Genova, andò con essa
gente a postarsi verso Bassignana. Non poterono i Visconti impedire un
dì lo sforzo di costoro, che non introducessero in Pavia un convoglio
di vettovaglia; ed allora accadde, a mio credere, il conflitto poco
fa accennato dal Corio. Ma nel mese di settembre peggiorò la febbre di
Pavia, con aver Galeazzo Visconte tirata al suo soldo buona parte della
suddetta compagnia del conte Lando, gente senza legge e fede, pronta
a vendersi ogni dì a chi più le offeriva. Restò solamente al servigio
del marchese di Monferrato _Anichino di Bongardo_ Tedesco con circa
due mila persone tra cavalieri e fanti. Perciò veggendo fra Jacopo
Bussolari e i principali di Pavia disperato ii lor caso, nel mese di
novembre cominciarono a trattare con Galeazzo della resa della città,
e a procurar dei vantaggiosi patti. Impetrarono tutto, e il Visconte
anch'egli ottenne il possesso e dominio di Pavia. Gran confidenza
mostrò il Visconte al Bussolari in quel trattato, ed anche dopo essere
entrato padrone in Pavia; ma giacchè il superbo frate, nel procacciare
agli altri una buona capitolazione, scioccamente avea dimenticato di
chiedere alcuna sicurezza o vantaggio per la propria persona, da lì a
pochi giorni fu preso, e condannato dal suo generale ad una perpetua
prigionia nella città di Vercelli: gastigo a cui non si oppose il
Visconte, o, per dir meglio, gastigo a lui procurato segretamente
dal Visconte medesimo, e d'istruzione ad altri d'attendere al loro
breviario, e di non mischiarsi ne' secolareschi affari, e molto meno
in quei di guerra. Fece poi Galeazzo fabbricar un forte castello in
Pavia per tenere in briglia quel popolo, che da tanto tempo manteneva
una grave antipatia con Milano e co' signori di Milano. Grande
accrescimento di potenza fu questo a _Galeazzo Visconte_.
 
Fu ben presa, siccome dicemmo, al suo soldo da _Francesco degli
Ordelaffi_ la compagnia del _conte Lando_; ma parte perchè egli non
potea mantenerla, e parte per li prudenti maneggi del _cardinale
Egidio_ legato, questa si voltò verso il contado di Firenze, cercando
da sfamarsi e da trovar buon bottino. Non si lasciarono far paura
in questa occasione i Fiorentini, ed usciti in campagna con quanta
gente d'armi poterono adunare anche delle loro amistà, mostrarono
a que' masnadieri i denti in maniera, che a guisa di sconfitti si
partirono dal loro distretto, passando dipoi a' servigi del marchese
di Monferrato. Restato perciò in asse il bestiale signor di Forlì,
e sempre più stretta la sua città, si ridusse in fine come disperato
a quella risoluzione che mai non volle prendere in addietro, benchè
con patti di molto vantaggio. Interpostosi adunque _Giovanni da
Oleggio_[1609], andò l'Ordelaffo a rendersi liberamente al cardinale
legato, il quale nel dì 4 di luglio prese il possesso di quella città
e di tutte le fortezze, con gran festa di que' cittadini che si videro
liberati da un aspro giogo. All'Ordelaffo il prode cardinale diede
l'assoluzione, e lasciò la signoria di Forlimpopoli e di Castrocaro.
Così la Romagna restò in pace, e tutta all'ubbidienza della Chiesa
romana. Terminò i suoi giorni in quest'anno, nel dì 10 oppure 13 di
marzo[1610] _Bernardino da Polenta_ signore, o piuttosto tiranno
di Ravenna, uomo perduto nella lussuria, uomo crudele, che enormi
aggravii avea imposto a quel popolo, di modo che in Ravenna non
abitavano più se non dei contadini e de' poveri artigiani. Erede
suo fu _Guido da Polenta_, suo figliuolo, proclamato signore da quei
cittadini, tutto diverso dal padre, che, richiamato alla patria ogni
fuggito e bandito, si diede a governar con placidezza ed amore il suo
popolo, e dal cardinale legato riportò la conferma di quel dominio.

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