2016년 6월 28일 화요일

Annali d'Italia 112

Annali d'Italia 112



guerre. Ma, ossia che i regali fatti a tempo correre dallo stesso
Bernabò nella corte del re unghero facessero buon effetto, ovvero
che non si accordassero le pive fra la corte pontificia e lui, certo
è che il cardinale gittò via i passi, e se ne tornò qual era ito,
senza ottener soccorso veruno. In questo mentre a dì primo di aprile
ebbero le genti di Bernabò a tradimento il castello di Monteveglio.
Nel dì 15 d'esso mese passò il medesimo Bernabò con poderoso esercito
in vicinanza di Modena, e andò a posarsi a Castelfranco. Messo dipoi
l'assedio a Pimaccio ossia Piumazzo, nel dì 10 di maggio s'impadronì
di quel castello, e fra cinque giorni anche del girone: il che fatto,
se ne tornò per Modena a Parma, accompagnato da pochi, lasciato nel
Bolognese l'esercito suo sotto il comando di _Giovanni Bizozero_. Tre
bastie furono piantate dalle genti sue due miglia lungi da Bologna in
tre siti, cioè una al ponte di Reno, una a Corticella, e la terza a
San Ruffillo. Con queste briglie intorno male stava Bologna. Nuovi guai
ancora si suscitarono in Romagna, perchè _Francesco degli Ordelaffi_,
già signore di Forlì[1623], dacchè vide acceso sì gran fuoco, si mise
a' servigi di Bernabò, e seco ebbe _Giovanni de' Manfredi_ già signore
di Faenza. Ora amendue coll'armi del Visconte e de' lor parziali
cominciarono guerra or contra Forlì, or contra Rimini. Per mancanza
di vettovaglia insorsero in Bologna non pochi lamenti e sospetti di
congiure, parendo al popolo di non poter lungamente durarla così.
Ma il saggio cardinale Albornoz e il vecchio _Malatesta_ signore di
Rimini col senno provvidero al bisogno[1624]. Finsero una lettera
scritta a Francesco degli Ordelaffi per parte di un suo amico, che
gli promettea l'entrata in Forlì, s'egli con corpo di gente si fosse
presentato a un determinato tempo colà. A questo fine si mosse egli con
ottocento barbute, lasciando per conseguente smagrito l'esercito del
Bizozero. Matteo Villani racconta in altra guisa lo stratagemma fatto
da Malatesta al generale del Visconte. Oltre a ciò, una notte, senza
che alcuno se ne accorgesse, arrivò in Bologna _Galeotto de' Malatesti_
con cinquecento barbute e trecento Ungheri. Era il dì 20 di giugno, in
cui il cardinale ordinò che tutta la miglior gente di Bologna fosse in
armi a un tocco di campana. Più di quattro mila ben guarniti e vogliosi
di battaglia, unitisi colle genti d'armi, a dirittura marciarono alla
bastia di S. Ruffillo, ed assalirono con tal vigore il campo nemico,
che, dopo lunga difesa, rimase buona parte della gente di Bernabò od
estinta sul campo, o presa, e pochi si salvarono colla fuga. Lo stesso
generale del Visconte, cioè _Giovanni da Bizozero_, con circa mille
armati fu condotto prigioniere a Bologna. La bastia di S. Ruffillo fu
presa, e per tale sconfitta le guarnigioni di Bernabò che erano nelle
altre due bastie, dopo avere attaccato fuoco, precipitosamente si
ritirarono a Castelfranco.
 
Nè questa fu la sola avversità di _Bernabò_. Perch'egli teneva Lugo
in Romagna, mille e ducento de' suoi cavalieri nel novembre inviati a
quella volta vollero passare il ponte di Reno[1625]. Uscì il popolo di
Bologna, li perseguitò, e buona parte di essi fece prigionieri. Nella
Cronica di Bologna[1626] questo fatto è narrato all'anno seguente. Così
nel mese di giugno[1627] avendo egli un segreto trattato in Correggio
per prendere quella terra, _Giberto da Correggio_ lo penetrò, ed
ottenute da _Ugolino da Gonzaga_ signor di Mantova quindici bandiere
di cavalieri, fece vista di lasciar entrare le diciassette bandiere di
cavalieri colà inviate da Bernabò, ed aperta la porta, gli ebbe tutti
prigioni. Parimente nel settembre[1628] essendosi portata a Revere
sul Mantovano una parte dell'esercito di Bernabò, mettendo tutto a
sacco, _Ugolino da Gonzaga_ col popolo di Mantova andò valorosamente
ad assalir quella gente, e totalmente la sconfisse colla strage
e prigionia di molti. Ma non era in que' tempi molto difficile il
rimettere in piedi le armate, per quel che riguarda la gente perchè
l'uso portava che i vincitori, riunendo tutti i conestabili, uffiziali,
ed altre persone capaci di taglia, lasciavano andar con Dio i prigioni
gregarii, con spogliarli solamente dell'armi e de' cavalli. In questo
mentre _Galeazzo Visconte_ fratello di Bernabò attendeva a fabbricar la
cittadella di Pavia, e per desiderio di ristorar quella città afflitta
dalle guerre passate, con privilegio imperiale fondò quivi nell'anno
presente un'illustre università, conducendo colà valenti lettori di
leggi e dell'altre scienze[1629], ed obbligando tutti gli scolari
degli Stati sudditi suoi e del fratello a portarsi a quelle scuole. Ma
neppur egli fu senza avversità. L'esempio delle scellerate compagnie
de' soldati masnadieri che cominciarono in Italia, servì di norma a
suscitarne delle nuove anche in Francia in occasion della tregua o
pace stabilita fra i re di Francia e d'Inghilterra. Erano composte
d'Inglesi, Franzesi, Normanni, Spagnuoli, Borgognoni. Tutta la gente
di mal affare concorreva a queste scomunicate leghe per isperanza
di bottinare, e sicurezza di vivere alle spese di chi non avea forza
maggior di loro. In grandi affanni e pericoli fu per questo la stessa
corte sacra di Avignone, perchè quella mala gente, senza religione,
entrò in Provenza, e se non otteneva danari, minacciava lo sterminio a
tutti. Ci mancava ancor questa, che dopo essere calpestata l'Italia da
tanti masnadieri tedeschi ed ungheri, venissero fin dall'Inghilterra
nuovi cani a finire di divorarla. Ora portò l'accidente che _Giovanni
marchese_ di Monferrato, sentendosi solo ed esposto alle forze
troppo superiori di _Galeazzo Visconte_ suo nemico, altro ripiego
non sapendo trovare al suo bisogno, benchè burlato più volte dalle
infide compagnie dei Tedeschi, passò in Provenza, per condurre in
Italia alcune di quelle che soggiornavano nei contorni di Avignone.
Una ne incaparrò, chiamata la compagnia bianca[1630], e il papa, per
levarsi di dosso quella bestial canaglia, e per iscaricare il mal
tempo addosso ai contumaci Visconti, vi contribuì da cento mila fiorini
d'oro. Il marchese con sì sfrenata gente, la quale, secondo la Cronica
Piacentina[1631], ascendeva a dieci mila tra cavalieri e fanti, venne
in Piemonte.
 
Questa fu la prima volta e l'occasione che misero il piede in Italia
soldatesche inglesi, le quali poi recarono tanti guai a varii paesi, e
andarono crescendo, perchè questi ne chiamavano degli altri, e la voce
del gran guadagno bastava a muovere i lontani anche senza pregarli.
Ricominciò dunque il _marchese_ con sì poderoso rinforzo in Piemonte la
guerra contra di _Galeazzo_, e gli tolse alcune castella, commettendo
orribili crudeltà, spezialmente nel Novarese. Per buona giunta
Galeazzo, affine di levar loro il nido, finì di bruciare e distruggere
molte terre e ville di quel distretto, non per anche rovinate dai
nemici. Pietro Azario[1632] ce ne ha conservato il funesto catalogo.
Ma non tentò il marchese impresa alcuna contro le città, perchè dianzi
le aveva il Visconte ben guernite di genti d'armi e di munizioni.
Accadde che _Amedeo conte di Savoia_ venne in questi medesimi tempi
ad una sua terra di Piemonte. Ne ebbe contezza la compagnia bianca
de' suddetti masnadieri, e con una marcia sforzata quivi sorprese il
conte e la sua baronia. Rifugiossi bensì il conte nel castello, ma
assediato, gli fu forza di venire ad un accordo, e di liberarsi con
cento ottanta mila fiorini d'oro, parte pagati allora, parte promessi
con buone cauzioni. Perchè il Guichenone non parla di ciò nella Storia
della real casa di Savoia, non so dire il nome di quella terra. Adunque
per tali guerre tutta era in affanni la Lombardia; e i Visconti, per
sostenerla, indicibili aggravii metteano non solamente ai secolari,
ma al clero ancora; ed in quest'anno Galeazzo occupò tutti i frutti e
le rendite degli ecclesiastici di Piacenza. Gravissimi flagelli erano
questi, e pure se ne provò un maggiore nell'anno presente; cioè una
fierissima inesorabil pestilenza[1633]. Infierì essa in Francia, in
Inghilterra ed in altri paesi, con levare dal mondo le centinaia di
migliaia di persone. Entrò in Avignone, e vi fece una strage immensa
di quel popolo, e privò di vita anche otto o nove cardinali, con
assaissimi altri uffiziali della corte pontificia. Per questo motivo
ancora, cioè per timor di cadere vittima d'essa peste, la compagnia
suddetta de' soldati masnadieri si acconciò volentieri col marchese
di Monferrato, sperando in Italia il godimento della sanità. Ma ossia
che gli stessi portassero il malore in Italia, o ch'esso vi entrasse
per altra porta, certa cosa è che in quest'anno nel mese di giugno, e
poscia nell'anno seguente, si diffuse la peste nel Piemonte, Genova,
Novara, Piacenza, Parma ed altre città. Milano, preservato nella
terribilissima peste del 1348, non potè guardarsi da questa, e ne
rimase desolato per la gran perdita di gente. In tempi di guerra la
peste sguazza, e va senz'argini dovunque vuole. _Galeazzo Visconte_ si
ritirò a Monza, _Bernabò_ a Marignano, e vi si tenne con tal guardia
e ritiratezza, che corse dappertutto, e durò lungo tempo, la voce che
fosse morto. Esenti da questa calamità ne andarono in quest'anno[1634]
Modena, Bologna e la Toscana; ma in Venezia incredibil fu la moria
di quel popolo, e fra gli altri vi lasciò la vita nel dì 12 di
luglio[1635] _Giovanni Delfino_ doge di quella repubblica, in cui luogo
fu eletto _Lorenzo Celso_, giovane quanto all'età, ma vecchio per la
sua saviezza e prudenza. In quest'anno nella notte del dì secondo di
novembre venendo il dì terzo, passò al paese dei più _Aldrovandino
marchese_ d'Este, signor di Ferrara, Modena, Comacchio e Rovigo[1636].
Benchè lasciasse un figliuolo legittimo, cioè _Obizzo IV_, pure il
_marchese Niccolò_ suo fratello prese le redini del governo di tutti
gli Stati senza contraddizione alcuna. Per discordie nate nell'agosto
di quest'anno[1637] fra _Bocchino_ signore o tiranno di Volterra, e
Francesco de' Belfredotti suo parente, si sconvolse tutta quella città.
Corsero immediatamente al rumore i lesti Fiorentini, e tanto seppero
fare, ch'essi di volontà del popolo occuparono la signoria di quella
città con gran dispetto de' Pisani e Sanesi. Nel mese di ottobre anche
ai Sanesi riuscì di sottoporre al loro comando Monte Alcino.
 
NOTE:
 
[1622] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Italic. Johannes de Bazano,
tom. 15 Rer. Italic.
 
[1623] Matteo Villani, lib. 12, cap. 53.
 
[1624] Matth. de Griffonibus, Chronic. Bononiens. tom. 18 Rer. Ital.
 
[1625] Matthaeus de Griffonibus, Chron. Bonon., tom. 18 Rer. Ita.
 
[1626] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1627] Matteo Villani, lib. 10, cap. 61.
 
[1628] Johann. de Bazano, Chron. Mutin., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1629] Corio, Istor. di Milano.
 
[1630] Matteo Villani, lib. 10, cap. 64.
 
[1631] Chronic. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1632] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Italic. pag. 370.
 
[1633] Matteo Villani, lib. 10, cap. 71. Rebdorfius, Annal. Vita
Innocentii VI, P. II, tom. 3 Rer. Italic.
 
[1634] Johannes de Bazano, Chron., tom. 15 Rer. Italic.
 
[1635] Caresin., Chron., tom. 2 Rer. Ital.

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