2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 123

Annali d'Italia 123


con avergli assegnato il governo di Novara, Vercelli, Alessandria e
Casale di Santo Evasio. Quanto poi alla concordia col conte di Savoia,
il Guichenone[1807] ne rapporta lo strumento, e la fa vedere stipulata
nel dì 29 d'agosto del 1378.
 
Ma _Bernabò_, che durante la tregua non potea impiegare i suoi
pensieri in imprese di guerra, li rivolse tutti alla caccia. Questo
era il suo più favorito divertimento[1808], e per cagion d'esso
ancora commise infinite crudeltà: mestiere per altro sempre a lui
familiare. Sotto pena della vita e perdita di tutti i beni proibì
a chi che sia l'uccidere cignali ed altre fiere; e questa barbarica
legge fece eseguire a puntino, anzi stese i suoi processi a chi nei
quattro precedenti anni ne avesse ucciso o ne avesse mangiato. In
servigio della caccia parimente tenea circa cinque mila cani, e questi
distribuiva ai contadini con obbligo di ben nutrirli e condurli ogni
mese alla revista. Guai se si trovavano magri, peggio se morti: v'era
la pena del confisco dei beni, oltre ad altre pene. Più temuti erano
i canetieri di Bernabò che i podestà delle terre. E, quantunque per
le guerre, per la carestia e moria fossero i suoi sudditi affatto
smunti, accrebbe smisuratamente le taglie e i tributi, per adunar
tesori da far nuove guerre. Alla vista e al rimbombo di queste ed
altre tirannie di sì disumanato principe tutti tremavano, nè alcuno
ardiva di zittire. Due frati minori, che osarono di muover parola a
lui stesso di tante estorsioni, li fece bruciar vivi[1809]. Merita ora
_Francesco Petrarca_ che si faccia menzione della sua morte, accaduta
nel dì 18 di luglio dell'anno presente nella deliziosa villa d'Arquà
del Padovano[1810]. Tale era il credito di questo insigne poeta a' suoi
tempi, che _Francesco da Carrara_ signor di Padova e copiosa nobiltà
vollero colla lor presenza onorare il di lui funerale. Ad esso Petrarca
grande obbligazione hanno le lettere, perchè egli fu uno de' principali
a farle risorgere in Italia. In questi tempi gran guerra ebbero i
Sanesi[1811] coi Salimbeni loro ribelli. E tornato il _duca d'Andria_
nel regno di Napoli con un'armata di Franzesi, Guasconi ed Italiani,
in numero di più di quindici mila combattenti, si condusse verso Capoa
ed Aversa[1812]. Non dormiva la _regina Giovanna_; anch'ella mise in
campo un esercito numeroso. Ma per le esortazioni del conte camerlengo
suo zio, il duca lasciò l'impresa, e se ne tornò di nuovo in Provenza.
Veggendosi così abbandonate le sue truppe, formarono una compagnia
sotto varii capitani, e s'impadronirono di una terra della duchessa
di Durazzo. La regina, col regalo lor fatto di dieci mila fiorini, si
sgravò di costoro, e rivolse il mal tempo addosso ad altri paesi.
 
NOTE:
 
[1802] Cron. Sanese, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1803] Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1804] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer, Ital.
 
[1805] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1806] Corio, Istor. di Milano.
 
[1807] Guichenon, Histoire de la Maison de Savoye.
 
[1808] Petrus Azarius, Chron., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1809] Gatari, Istoria di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
 
[1810] Tomasini, Petrarca rediviv.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXV. Indiz. XIII.
 
GREGORIO XI papa 6.
CARLO IV imperadore 21.
 
 
Per la tregua fatta coi Visconti, e per la disposizione ancora ad
una pace, pareva che omai si dovesse sperar la quiete in Italia. Ma
eccoti dalla Lombardia passare l'incendio della guerra negli Stati
della Chiesa. _Gregorio XI_ era buon papa, ma buoni non erano gli
uffiziali oltramontani da lui mandati al governo d'Italia[1813].
Tutti attendevano a divorar le rendite della camera pontificia, e
tutti a cavar danari per ogni verso, nè giustizia era fatta da loro:
di maniera che i pastori della Chiesa (così erano chiamati), oltre al
discredito, aveano guadagnato l'odio e la disapprovazione di tutti.
Trascorre in questo argomento con molte esagerazioni l'autore della
Cronica di Piacenza[1814], assai ghibellino, per quanto si vede, di
cuore. _Guglielmo cardinale_ legato di Bologna ebbe, in questi tempi,
un trattato segreto per occupar la bella terra di Prato ai Fiorentini,
e, mostrando di non poter più mantenere le soldatesche, delle quali
s'era servito contro i Visconti, le spinse alla volta di Toscana. Ne
fu gran mormorio e sdegno in Firenze; e que' maggiorenti, i più allora
inclinati al ghibellinismo, dal desiderio della vendetta si lasciarono
trasportare ad esorbitanti risoluzioni contra del buon pontefice,
tradito da' suoi ministri. Perciò si fornirono di gente d'armi, e
a forza di danaro seppero ritenere _Giovanni Aucud_, che, entrando
nel loro distretto co' suoi Inglesi, non facesse acquisto alcuno. La
Cronica di Siena[1815] ha, che gli pagarono centotrenta mila fiorini
d'oro, de' quali gravarono i cherici loro per settantacinque mila.
Qui non finì la faccenda. Cominciarono ancora con segrete congiure a
sommuovere le città della Chiesa a ribellione, promettendo a cadauna
favore ed aiuto, acciocchè ricuperassero la perduta libertà. Nello
stesso tempo fecero lega con _Bernabò Visconte_. Anzi abbiamo dal
suddetto cronista sanese che lega fu fatta fra _Bernabò Visconte_,
la _reina Giovanna_, i _Fiorentini, Sanesi, Pisani, Lucchesi_ ed
_Aretini_, _per riparare agl'iniqui cherici_. La prima città che alzò
la bandiera della libertà colle spalle de' Fiorentini, nel mese di
novembre fu la città di Castello oppure Viterbo, Monte Fiascone e
Narni. Il _prefetto da Vico_, avuto Viterbo, in pochi dì s'impadronì
anche della rocca[1816]. Successivamente nel dicembre si ribellarono
Perugia, Assisi, Spoleti, Gubbio ed Urbino: della qual ultima città
s'impadronì _Antonio conte di Montefeltro_, siccome ancora di Cagli.
_Rinaldino da Monteverde_ si fece signore di Fermo. Ecco già un grande
squarcio fatto agli Stati della Chiesa romana. Verso quelle parti
inviò il legato _Giovanni Aucud_ colla sua forte compagnia d'Inglesi,
che era al soldo della Chiesa. Ma quel furbo maestro di guerra nulla
fece di rilevante, e lasciò che i Perugini tutti in armi divenissero
padroni anche delle due fortezze della loro città. Mangiava costui a
due ganascie, perchè segretamente tirava una pensione da' Fiorentini.
In somma in pochi giorni si sottrassero al dominio della Chiesa ottanta
fra città, castella e fortezze, nè si trovò chi facesse riparo a sì
gran piena.
 
Giunse in quest'anno nel dì 17 oppure 19 d'ottobre al fine de' suoi
giorni _Can Signore dalla Scala_ signore di Verona e Vicenza[1817].
Suo fratello _Paolo Alboino,_ siccome legittimo, avrebbe dovuto
succedere in quella signoria, ma egli era detenuto prigione in
Peschiera, e Cane, pensando più al mondo da cui si partiva, che
all'altro a cui s'incamminava, prima di morire, il fece barbaramente
strangolare, affinchè, senza contrasto, succedessero nel dominio i
due suoi figliuoli bastardi Bartolomeo ed Antonio, i quali già avea
fatto proclamar signori, dappoichè vide disperata la sua salute. Fu
pubblicamente esposto il cadavero d'Alboino, e per questo cessò ogni
pericolo di commozione. Ma, essendo i suddetti suoi figliuoli in età
meno di sedici anni, corse _Galeotto Malatesta_, lasciato insieme con
_Niccolò marchese_ di Ferrara per loro curatore; ed esso marchese
e _Francesco da Carrara_ vi spedirono gente per lor sicurezza. In
questi tempi trovandosi vedova _Giovanna regina_ di Napoli per la
morte già seguita dell'infante suo terzo marito, pensò di passare a
nuove nozze[1818], consigliata a questo o da' suoi ministri, o dal
timore di _Lodovico re_ d'Ungheria e Polonia, che tuttavia andava
mantenendo, anzi producendo le sue pretensioni sopra quel regno, o
sopra il principato di Salerno e la contea di Provenza. Dava ancora
molto da sospettare alla regina _Carlo di Durazzo_, figliuolo del già
_Luigi_ suo zio, il quale allora si trovava a' servigi del suddetto re
Lodovico in Ungheria. Ancor questi aspirava al regno pel diritto del
sangue. Mise dunque Giovanna gli occhi, benchè in lontananza, addosso
ad _Ottone duca di Brunsvich_, e a lui diede la preminenza nella scelta
d'un marito[1819]. Per nobiltà, se si eccettuavano i re della schiatta
franzese, niuno gli andava innanzi, perchè discendeva dall'antica
e nobilissima linea estense guelfa di Germania, che avea prodotto
illustri duchi e un imperadore. Pochi poi il pareggiavano nel valore
e nella saviezza. Da alcuni anni in qua egli dimorava in Monferrato,
lancia e scudo ai teneri figliuoli del fu _marchese Teodoro_ suo
parente. Per li suoi importanti servigi unitamente con essi figliuoli
era investito delle città d'Asti e d'Alba, e della terra di Montevico,
e non men d'essi dichiarato vicario generale dell'imperio in quelle
parti da _Carlo IV Augusto_. Accettò questo principe l'offerta
del regal matrimonio, e nell'anno seguente si diede compimento al
contratto, ma colla condizion che la reina gli farebbe comune il letto,
ma non il trono.
 
NOTE:
 
[1811] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1812] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1813] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Gazata, Chron. Regiens.,
tom. eod.
 
[1814] Chron. Placentin., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1815] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1816] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1817] Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital. Chron. Veronens., tom. 8
Rer. Ital. Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1818] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXVI. Indiz. XIV.
 
GREGORIO XI papa 7.
CARLO IV imperadore 22.
 
 
Sempre più andarono peggiorando in quest'anno gli affari temporali
della Chiesa romana in Italia. Pareva che tutti i popoli, anche delle
più minute terre, andassero a guadagnar indulgenza, ribellandosi al
papa loro legittimo signore. Ascoli si rivoltò; Civita Vecchia, Ravenna
ed altre città non vollero essere da meno. _Guglielmo cardinale_ legato
apostolico tenne colla sua presenza per quanto potè in ubbidienza
la città di Bologna[1820]; ma quel popolo al vederne tanti altri,
che, scosso il giogo, aveano ripigliata la libertà, segretamente
ancora stuzzicato da' Fiorentini, autori di tutte queste sedizioni,
finalmente nella mattina del dì 20 di marzo, mostrando sospetto che
il cardinale fosse dietro a vendere Bologna a _Niccolò marchese_ di
Ferrara[1821] per mancanza di danari (che neppur un soldo veniva da
Avignone), levarono rumore, e presero il palazzo. Fuggì travestito
il legato, e poscia se ne andò a Ferrara. Fu dato il sacco a tutto
il suo avere e a tutta la famiglia sua. Poscia, dacchè si furono que'
cittadini impadroniti del castello di San Felice, che furiosamente fu
smantellato, formarono governo popolare, e mandarono a Firenze per aver
soccorso. Prima di questo avvenimento, cioè sul fine di dicembre, anche
la città di Forlì[1822], dopo avere scacciata la fazione guelfa, si

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