2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 126

Annali d'Italia 126


Ora accadde che venuto ad una finestra il vecchio cardinale di San
Pietro, _Francesco Tebaldeschi_ Romano, per acquetar quel tumulto,
corse voce che egli era eletto papa. Tutti allora a gran voce gridando:
_Viva San Pietro_, corsero alla casa del cardinale, e le diedero il
sacco; tornati poscia al conclave, giacchè era ancor chiuso, rotte
le porte, entrarono dentro, volendo vedere il novello pontefice, e si
diedero a venerare il cardinal di San Pietro, che in fine espressamente
lor disse di non esser egli papa, ma bensì l'arcivescovo di Bari,
personaggio ben più meritevole del triregno. Intanto se ne fuggirono
alcuni de' cardinali, chi in castello Sant'Angelo, e chi nelle fortezze
di Roma. Venuta la mattina del dì 9 di aprile, fece l'arcivescovo di
Bari notificar l'elezione sua ai magistrati della città, che ne furono
contenti, e corsero tosto a rendergli i tributi del loro ossequio. Non
volle egli che si procedesse innanzi, se non venivano i sei cardinali
rifugiati in castello Sant'Angelo, i quali assicurati dal senatore
vennero, ed uniti con cinque altri, rinnovarono l'elezione, che fu di
nuovo accettata. Si cantò dipoi il _Te Deum_, ed intronizzato il papa,
prese il nome di _Urbano VI_. Seguì poi la sua coronazione nel dì 18 di
aprile, giorno solenne, e a tutte le funzioni assisterono per alcune
settimane i sedici cardinali che si ritrovavano allora in Roma; anzi
col consiglio ed assenso de' medesimi furono spedite a tutti i re,
principi e repubbliche le circolari, per notificar loro la canonica
elezione del nuovo papa. Lo stesso scrissero questi porporati ai sei
che erano rimasti in Avignone, di modo che pubblicamente e chiaramente
tanto questi come quelli riconobbero per vero e legittimo pontefice
_Urbano VI_. Ma non si può abbastanza deplorare il tradimento tanti
anni prima fatto da _Clemente V_, con fissare la Sede apostolica di
là dai monti. Quanti disordini da ciò provenissero, l'abbiam finora
veduto. Il massimo forse è quello che ora son per dire. Aveano
ben volontariamente consentito i cardinali franzesi all'elezion di
Urbano; ma non sapeano darsi pace che si fosse guasto il nido delle
lor delizie in Provenza, e che fosse ritornata in Italia la cattedra
pontificia. Falso è quello che si legge presso d'alcuni storici,
cioè che avessero eletto l'arcivescovo di Bari[1856] solamente per
liberarsi dalle violenze de' Romani, facendosi promettere da lui, che
qualor fossero tutti in luogo libero, egli rinunzierebbe il papato.
All'interno lor mal animo e dispiacere s'aggiunsero i disgusti che
in poco tempo riceverono da Urbano[1857]. Era egli in concetto di
menar vita austera, e di nudrir molto zelo per la religione; ma non
abbondava di prudenza, perchè l'alterigia e il credere troppo a sè
stesso e agli adulatori gli toglieva la mano. Dicono ch'egli possedeva
gran probità e molte altre virtù; ma o di queste non aveva egli se
non la superficie, od almeno scomparvero tutte, dacchè fu salito
al pontificato. In vece di usar l'umiltà, che sta bene anche ne'
romani pontefici, per non dire di più; invece di guadagnarsi almeno
sui principii l'affetto de' cardinali, e di lavorare a poco a poco
la riforma della corte pontificia, che veramente gran bisogno avea
di correzione, cominciò egli tosto a trattar con aspre maniere que'
porporati, a detestar la loro dissolutezza, l'avarizia, la simonia,
i conviti, ad esigere la residenza dei vescovi, ed a minacciar varie
novità, tutte bensì lodevoli, ma che toccavano sul vivo chi era usato
alla libertà ed anche al libertinaggio. Di più non ci volle, perchè i
cardinali franzesi concepissero disegni di scisma, per liberarsi da un
pontefice sì contrario ai loro interessi e alle concepute speranze; e
massimamente perchè con rotonde parole disse loro di voler creare tanti
cardinali italiani, che pareggiassero od anche superassero il numero
de' franzesi.
 
Col pretesto dunque del caldo, i cardinali oltramontani l'un dietro
all'altro usciti di Roma si raunarono nella città d'Anagni, e quivi
diedero principio alle lor conventicole, invitando colà nel dì 20 di
luglio i tre cardinali italiani che erano rimasti col papa, uno de'
quali, cioè _Francesco cardinale_ di San Pietro, mancò poi di vita
nel seguente agosto, con protesta che Urbano era stato legittimamente
eletto, e ch'egli il riconosceva per vero successor di San Pietro.
Comunicati a _Carlo V re di Francia_ i lor disegni, il trovarono
quei cardinali disposto a secondarli per la voglia di riavere un
papa franzese, e di tirar di nuovo oltramonti la corte pontificia.
Alla _regina Giovanna_ di sommo piacere era riuscita (se pur fu vero)
l'elezione d'un papa napoletano[1858], ed avea anche inviato _Ottone
duca di Brunsvich_ suo marito con suntuoso accompagnamento e ricchi
donativi a prestargli ubbidienza. Ma essendo ritornati esso duca e
gli altri uffiziali per alcune cagioni non ben conosciute disgustati
del papa, la regina anch'ella si diede a proteggere l'empie mene de'
cardinali franzesi. Il focoso pontefice si lasciò anche scappar di
bocca, che avrebbe mandata quella regina a filare nel monistero di
Santa Chiara. Gran fuoco partorirono queste parole[1859]. Conobbe
allora, ma troppo tardi, papa Urbano VI, assai informato di queste
macchine, gli amari frutti dell'imprudenza sua nell'essersi scoperto
sì rigido sul principio del suo governo, e ne tentò anche il rimedio
coll'inviare ad Anagni i tre cardinali italiani per placare gli
ammutinati, oppure per propor loro un concilio generale[1860]. Non
fu accettata l'offerta, perchè que' porporati aveano già fisso il
chiodo di ribellarsi. Per sicurezza chiamarono alla lor guardia la
compagnia de' Bretoni comandata da _Bernardo da Sala_, contra di cui
si oppose parte del popolo romano in armi per impedirgli il passaggio.
Bisognò venire ad una battaglia. Fu questa infausta ai Romani; più di
cinquecento rimasero sul campo, moltissimi altri furono fatti prigioni;
e per questo in Roma seguì una fiera sedizione contra di tutti gli
oltramontani, massimamente franzesi, che furono spogliati e messi nelle
carceri. Venne il dì 9 d'agosto, e i dodici cardinali che erano in
Anagni, undici franzesi, e _Pietro di Luna_ spagnuolo, pronunziarono
_papa Urbano_ usurpatore della Sede apostolica e scomunicato. Ciò che
fu più strano, i tre cardinali italiani, cioè quel di Firenze _Pietro
Corsini_ vescovo di Porto, quel di Milano, cioè _Simone da Borzano_
e _Jacopo Orsino_, uomo di somma ambizione, lasciato Urbano, andarono
a trovar gli altri, che erano passati a Fondi, sotto la protezione di
_Onorato conte_ di quella città, divenuto nimico del papa. Tuttavia,
per testimonianza di Tommaso da Acerno[1861], essi non consentirono
all'empie loro risoluzioni.
 
Quivi nel dì 20 di settembre i suddetti quindici cardinali elessero
un antipapa; e questo infame onore toccò allo zoppo _Roberto
cardinale di Genova_, che già abbiam veduto sì screditato per la
sua crudeltà. Costui prese il nome di _Clemente VII_. Non ad altro
motivo appoggiarono essi la loro sacrilega risoluzione, se non alla
violenza loro usata dai Romani, per cui pretendeano nulla l'elezion
precedente, per difetto di libertà. Il pontefice Urbano VI, trovandosi
abbandonato da tutti i cardinali, nel dì 19 di dicembre (gli Annali
Milanesi[1862] riferiscono ciò al dì 28 d'ottobre; altri anche prima
del dì 20 di settembre) fece una promozione di ventinove cardinali,
tutti persone di merito, che, a riserva di tre, accettarono. Negli
stessi Annali sono descritti uno per uno. Dichiarò parimente privati
della porpora e scomunicati i cardinali ribelli col loro capo. Ed
ecco formato un lagrimevole e terribile scisma, per cui restò dipoi
lungamente sconvolta e lacerata l'occidental Chiesa di Dio, ne
seguirono infiniti scandali, e crebbe a dismisura la depravazion de'
costumi non meno ne' secolari che negli ecclesiastici. Tanto papa
Urbano, quanto l'antipapa Clemente sostennero le loro ragioni alle
corti dei re e principi cristiani. Tennero il partito dell'antipapa
il _re di Francia_, la _regina Giovanna_ di Napoli, la _Savoia_,
ed altri paesi confinanti alla Francia. Pel legittimo pontefice si
dichiararono il resto dell'_Italia_, l'_Inghilterra_, la _Germania_,
la _Boemia_, l'_Ungheria_, la _Polonia_ e il _Portogallo_. Papa Urbano,
perchè il bisogno premeva, nel dì 24 di luglio dell'anno presente fece
pace con _Bernabò Visconte_. Anche i Fiorentini aveano spedita a Roma
un'ambasceria onorevole per riconoscere esso pontefice. Neppur essi
stentarono ad ottener pace da lui, e a condizioni ben diverse dalle
pretese dal precedente papa.
 
Gravido fu d'altri funesti avvenimenti questo infelice anno. Nel dì 29
di novembre diede fine alla sua vita in Praga _Carlo IV imperadore_,
principe di molta pietà e buona intenzione, ma di poco valore, che
tuttavia fu un eroe a petto del suo successore, cioè di _Venceslao_
suo figliuolo[1863], già eletto re de' Romani, ed approvato poi
anche da _papa Urbano_. Terminò parimente i suoi giorni nel dì 4 di
agosto _Galeazzo Visconte_ signor di Pavia, di molte altre città e
della metà di Milano. Poco si dolsero di sua morte i sudditi suoi,
perchè troppo aggravati da lui in occasion delle guerre passate. Se
gli era attaccato ancora nel crescere degli anni il male de' vecchi,
cioè l'avarizia; e non pagando egli i suoi soldati, cagione era
che seguissero continui furti e rapine. In somma fu uomo cattivo, e
considerato piuttosto come tiranno che come signore. Nel dominio de'
suoi Stati succedette _Galeazzo_ suo figliuolo, soprannominato _conte
di Virtù_, che da lì innanzi fu appellato _Giovan-Galeazzo_[1864]. La
doppiezza ed ingordigia di questo novello principe cominciò tosto a
scoprirsi nell'anno presente. Imperocchè il popolo d'Asti, malcontento
del governo di _Secondotto marchese_ di Monferrato[1865], accordatosi
con un fratello del marchese medesimo, che era governatore della città,
negò ad esso marchese l'ingresso, allorchè egli ritornava da Pavia
colla moglie _Violante_. Gian-Galeazzo, essendo ricorso a lui come
cognato, il marchese non mancò d'unire con lui le sue armi; e fatte
poi di belle promesse per quetare quel popolo, prese il possesso della
città, e mediante una capitolazione cominciò a mettervi il podestà
e gli uffiziali a nome del marchese. Ma fu questa una mascherata;
per tal via Gian-Galeazzo s'impadronì d'Asti, nè più volle renderlo
al cognato; mostrando bene quanto più poderosa sia l'ambizione che
la parentela fra i principi. Era Secondotto un umor bestiale e quasi
furioso. Per minimi accidenti uccideva di sua mano uomini e fanciulli.
Con animo di passare in Monferrato, venne egli nel mese di dicembre a
Cremona; ed arrivato a Langirano sul distretto di Parma, mentre era in
una stalla, preso dal suo furore, strangolar volle un ragazzo di suo
seguito. Allora un Tedesco, per salvar la vita al compagno, sguainata
la spada, tal colpo diede sulla testa al marchese, che da lì a quattro
giorni miseramente spirò l'anima sua, e fu seppellito in Parma[1866].
Succedette nella signoria di Monferrato _Giovanni Terzo_ suo fratello,
tuttavia incapace di governo, il quale nel gennaio seguente costituì
governatore de' suoi Stati il _duca Ottone di Brunsvich_ tornato di
nuovo apposta da Napoli, siccome fedel tutore di quella casa, per
accudire agl'interessi del pupillo principe, e per ricuperare la
città d'Asti: il che non gli venne mai fatto. Mosse in quest'anno
_Bernabò Visconte_ le pretensioni di _Regina dalla Scala_ sua moglie
contra di _Bartolommeo_ ed _Antonio dalla Scala_ signori di Verona
e Vicenza. Cioè pretendeva ella, per essere bastardi i fratelli, di
dover succedere, siccome legittima e naturale, in quel dominio. Nel
dì 18 d'aprile, giorno solenne di Pasqua, entrò all'improvviso il
grande sforzo dell'armi di Bernabò sul Veronese, e quivi fabbricate
due bastie, diede un gran sacco al paese[1867]. Voce comune fu che a
Bernabò non potea mancare la conquista di quelle due città; ma egli
avea al suo soldo _Giovanni Aucud_ co' suoi Inglesi, e il _conte Lucio_
co' suoi Tedeschi, cioè due personaggi avvezzi ai tradimenti, perchè
troppo facili a lasciarsi corrompere dal danaro. Di questo onnipotente
mezzo si servirono gli Scaligeri. Accortosi perciò della trama Bernabò,
licenziati e banditi questi due capitani colla lor gente, diede luogo
ad un trattato d'accordo. Si convenne che gli Scaligeri pagassero a lui
di presente cento sessanta mila fiorini d'oro, e poscia quaranta mila
altri ogni anno per lo spazio di sei anni, in tutto quattrocento mila
fiorini d'oro. Ma questa pace, siccome dirò, solamente seguì nell'anno
susseguente, e diversamente ancora viene raccontato questo fatto dagli
Annali Milanesi e da Daniello Chinazzi[1868]. Secondo essi, _Francesco
da Carrara_ mandò gagliardi soccorsi agli Scaligeri, e i Veronesi non
solamente scorsero tutto il Bresciano, ma anche alzarono quattro bastie
intorno a Brescia, di modo che Bernabò conchiuse nel settembre una
tregua fino al principio di gennaio.
 
Di maggiore importanza e strepito fu un'altra guerra che si accese
in questo anno: cioè contra dei Veneziani fecero lega insieme i
_Genovesi_, _Francesco da Carrara_ signor di Padova, _Lodovico re_ di
Ungheria e il _patriarca d'Aquileia_. Tutti aveano motivi o pretesti
contra di quella repubblica, la quale in tanto bisogno non contrasse
lega se non coi _Visconti_ e col _re di Cipri_, ma poco o niun soccorso
ne ricavò dipoi. Non si dee tacere che la scintilla di questa atroce
guerra venne dall'Oriente. Nell'agosto dell'anno 1376 i Genovesi,
presa la protezione di _Andronico Paleologo_, figliuolo accecato per
ordine di _Caloianni_ suo padre _imperadore_ vivente, l'alzarono al
trono, con deporre lo stesso suo padre amicissimo de' Veneziani. Per
questa scelleraggine Andronico promise loro il castello e l'isola di
Tenedo. Era quella una fortezza importantissima a cagione del passo
nel mar Maggiore. Ma non ebbero effetto le promesse, perchè quel
governatore, fedele a Caloianni, negò di consegnarla ai Genovesi, anzi
la diede dipoi a' Veneziani. Montarono in furia per questo i Genovesi,
e cominciarono le ostilità per mare contra di loro. Daniello Chinazzi
e Andrea Redusio[1869], scrittori esattissimi e minuti di tutti gli
avvenimenti di questa rabbiosa guerra, narrano i diversi incontri delle
nemiche armate. Favorevole fu in quest'anno ai Veneti la fortuna, e
fra le altre imprese _Vittor Pisani_ general di essi diede una rotta
a _Luigi del Fiesco_ generale de' Genovesi, costringendolo alla fuga,
dopo aver prese cinque loro galee. Maritò _Bernabò_ in quest'anno
_Valentina_ sua figliuola a _Pietro Lusignano_ re di Cipri[1870], e
nell'aprile coll'accompagnamento di secento quarantasei cavalli per
Modena e Ferrara la mandò a Venezia, da dove, scortata da una squadra
di navi veneziane, arrivò in Cipri. Ma non riuscì ad essi Veneti di
ritorre a' Genovesi Famagosta capitale di quell'isola. Loro bensì venne
fatto di obbligare a ritirarsi _Francesco da Carrara_, che avea stretto
d'assedio la terra di Mestre. Fu in quest'anno, correndo il mese di
luglio, in Firenze la congiura de' Ciompi[1871], cioè della più vil
plebe, che saccheggiò e bruciò molti palagi de' nobili. Capo d'essi fu
_Silvestro de' Medici_; ma poco durò la sua autorità, e fu dispersa
quella canaglia. Ampia descrizione ce ne lasciò Gino Capponi, da me
dato alla luce. Stesesi la pessima influenza di questo funestissimo
anno anche a Genova. Benchè _Domenico da Campofregoso_ doge di quella
repubblica tenesse sempre ai fianchi la prudenza nel governo suo,
pure il genio sempre tumultuoso di que' cittadini si mosse a rumore
contra di lui, e nel dì 17 di giugno, in concorrenza di _Antonio
Adorno_[1872], fu eletto doge _Niccolò di Guarco_, uomo manieroso,
ed amico anche de' nobili, che, per assicurarsi della sua signoria,
rinserrò tosto in dure carceri il _Campofregoso_ suo predecessore, e_Pietro_ di lui fratello.

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