2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 128

Annali d'Italia 128


Veneziani, i quali finalmente misero il formale assedio alla città di
Chiozza. Prima di questi tempi, cioè nel giugno di quest'anno, era
stato spedito _Carlo Zeno_ valente capitano dai Veneziani in corso
per infestare i Genovesi con nove galee. Diede egli il sacco alla
riviera di Genova; fece di ricchissime prede; e sopra tutto nel dì 17
di ottobre prese una cocca de' Genovesi appellata la Bichignona, la
maggiore e più ricca che allora solcasse il mare, in cui trovò merci di
valore immenso, ascendente, per quanto fu detto, a più di cinquecento
mila fiorini d'oro. Ma avvisato finalmente il Zeno de' bisogni della
patria, lasciò il gustoso mestiere di corsaro, e se ne tornò a Venezia,
conducendo seco quattordici galee, perchè in viaggio s'era accresciuto
il suo stuolo. Con gran giubilo de' suoi concittadini arrivò nel dì
primo di gennaio, e ritrovò che seguitava l'assedio di Chiozza non
senza gran mortalità dall'una e dall'altra parte. Anch'egli fatto
condottiere dell'armata, s'applicò ad obbligar quella città alla resa.
 
Per dar qualche aiuto a' Veneziani suoi collegati, _Bernabò Visconte_
in quest'anno condusse al suo soldo[1885] la compagnia della Stella,
composta di masnadieri. Capo di essi era _Astorre de' Manfredi_
signor di Faenza, che indarno avea tentato di penetrar nel Modenese
e Bolognese. Spinse il Visconte costoro all'improvviso nel dì 2 di
luglio addosso ai Genovesi. Si fermarono essi a San Pier d'Arena in
numero di circa quattro mila armati, buona parte cavalleria, e fecero
un netto del paese. Perchè in Genova si dubitava di discordia e di
cattive intelligenze, _Niccolò di Guarco_ doge col suo consiglio
giudicò meglio di adoperare l'esorcismo dell'oro per dissipare il
mal tempo. Con diciannove mila fiorini d'oro gl'indusse ad andarsene
con Dio. Andarono; ma che? Siccome gente di niuna fede, nel dì 22
di settembre eccoli comparir di nuovo nella villa d'Albaro presso
alla città. Allora i Genovesi irritati da questo tradimento, presero
le balestre e l'altre armi, e nel dì 24 usciti della città sul
far del giorno, coraggiosamente gli assalirono, li ruppero, e ne
fecero prigionieri assaissimi, con prendere tre bandiere di Venezia
e Milano. Astorre Manfredi fatto prigione, con aver promessa buona
somma di danaro a due Genovesi, in abito da contadino ebbe la fortuna
di salvarsi. Fu intrapreso in quest'anno, siccome dissi, l'assedio
di Trivigi da _Francesco da Carrara_ signor di Padova[1886], e colà
arrivò _Carlo_, soprannominato _dalla Pace_, figliuolo del fu _duca
di Durazzo_, della prosapia di _Carlo II re_ di Napoli, che seco, per
ordine del re d'Ungheria, condusse dieci mila cavalli. Nella Cronica
Estense[1887] non si parla se non di otto cento cavalli. Da Venezia gli
furono spediti ambasciatori per trattare di pace. Nulla si conchiuse
di questo; ciò non ostante, si lasciò egli corrompere dalla sete del
denaro, e permise che i Veneziani introducessero quanta vettovaglia
lor piacque in quella città e in varie castella: il che fu cagione
che i Padovani, trovandosi traditi da chi men lo dovea, sciogliessero
lo assedio di Trivigi. Intanto _papa Urbano VI_ maneggiava un segreto
trattato per condurre esso _principe Carlo_ alla conquista del regno di
Napoli: impresa molto desiderata da _Lodovico re_ d'Ungheria, il cui
odio contro la _reina Giovanna_ non mai s'era rallentato. Per dispor
meglio le cose, se ne tornò Carlo in Ungheria, risoluto di procedere
nell'anno vegnente alla volta di Napoli. Bench'io abbia raccontata
nel precedente anno la discordia di _Bernabò Visconte_ coi fratelli
_Scaligeri_ signori di Verona e Vicenza, pure[1888] vien creduto che
solamente in quest'anno nel dì 13 di maggio seguisse, se non la guerra,
almen la pace fra loro. Vi s'indusse Bernabò, perchè avendo spedito
_Giovanni Aucud_ co' suoi Inglesi, e il _conte Lucio_ Lando co' suoi
Tedeschi ai danni del Veronese, se ne ritirarono dopo venti giorni
con loro perdita: il che fu preso per un tradimento da Bernabò[1889].
Nè volendo egli per questo pagarli, que' masnadieri fecero di gran
saccheggio e bottino sul Bresciano e Cremonese. Li bandì Bernabò, e
pubblicò una taglia contra di loro, ma ciò fu creduto una finzione.
Andarono poi costoro in Romagna, e di là in Toscana.
 
NOTE:
 
[1873] Clementis VII Vita, P. II, tom. 3 Rer. Ital. Giornal. Napolet.,
tom. 21 Rer. Ital.
 
[1874] Theodoricus de Niem., Histor.
 
[1875] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital. Vita di santa Caterina da
Siena.
 
[1876] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1877] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1878] Chinazzi, Istor., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1879] Caresin., Chron., tom. 13 Rer. Ital.
 
[1880] Gatari, Istoria di Padova, tom. 17 Rer. Ital.
 
[1881] De Redusio, Chron., tom. 19 Rer. Ital.
 
[1882] Caresin., Chron., tom. 12 Rer Ital.
 
[1883] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[1884] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1885] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Italic.
 
[1886] Gatari, Istor. di Pad., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1887] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXX. Indiz. III.
 
URBANO VI papa 3.
VENCESLAO re de' Romani 3.
 
 
Andava sempre più avvalorandosi lo incendio dello scisma. _Papa Urbano_
pien di bile contro di _Giovanna regina_ di Napoli[1890], principal
promotrice, o almeno fomentatrice della deplorabil divisione insorta
nella Chiesa di Dio, nel dì 21 d'aprile la dichiarò con bolla solenne
scismatica, eretica, rea di lesa maestà, privata di tutti i suoi
dominii, confiscati tutti i di lei beni, assoluto ogni suo suddito
dal giuramento di fedeltà. Fulminò ancora le censure e la sentenza di
deposizione contro _Bernardo da Caors_ arcivescovo di Napoli, per aver
egli prestata ubbidienza all'_antipapa Clemente_. E diede per pastore
a quella chiesa _Luigi Bozzuto_ nobile napoletano, che fu per questo
aspramente perseguitato dalla regina Giovanna. Ma i suoi principali
maneggi furono con _Lodovico re d'Ungheria_ e _Polonia_, offerendogli
il regno di Napoli, acciocchè colle sue armi calasse in Italia.
Lodovico, siccome quegli che da gran tempo temea che Giovanna chiamasse
alla successione di quel regno qualche straniero, ed insieme amava
_Carlo dalla Pace_ sopra mentovato, principe suo nipote; non volle
già egli, per essere vecchio, accudire in persona a quell'acquisto,
ma bensì condiscese che esso Carlo, sbrigato che fosse della guerra
co' Veneziani, marciasse alla volta di Napoli colle sue armi, per
detronizzar la regina. Ora papa Urbano, per effettuar questo disegno,
trovandosi scarso di danaro, e conoscendo la necessità di averne,
giacchè la pubblicazion della crociata poco fruttava, non lasciò
indietro mezzo alcuno per raunarne alle spese della Chiesa romana e
delle altre ancora[1891]. Perciò riservò a sè stesso le rendite di
tutti i beneficii vacanti; vendè a' cittadini romani assaissimi stabili
e diritti delle chiese e dei monisteri di Roma, con ricavar da tali
alienazioni più di ottanta mila fiorini di oro. Passando anche più
innanzi, a misura dei bisogni, vendè poscia o convertì in moneta insino
i calici d'oro e d'argento, le croci, le immagini de' santi, e gli
altri mobili preziosi d'esse chiese[1892]. Diede inoltre nel dì 30 di
maggio di quest'anno facoltà a due cardinali d'impegnare o alienare i
beni mobili ed immobili delle altre chiese, ancorchè contraddicessero
i prelati, i capitoli e i titolari de' benefizii. Poco meno faceva in
Francia l'antipapa Clemente. Tutto era ben impiegato per sostenere il
loro impegno. La causa di Dio si allegava da entrambi, ma ognuno teneva
per consigliera anche l'ambizione. Intanto in Napoli non s'ignorava
il disegno del papa e di _Carlo dalla Pace_, anzi dappertutto se ne
discorreva senza riguardo alcuno[1893]. Però la _regina Giovanna_
pensando alla propria difesa, e sperando assai nell'aiuto della
Francia, dappoichè Dio non le avea data successione, e il figliuolo
suo già condotto in Ungheria dovea essere mancato di vita; nel dì 29
di giugno dell'anno presente adottò per suo figliuolo _Lodovico duca di
Angiò_, fratello di _Carlo V re_ di Francia, soprannominato il Saggio,
e ciò fece con partecipazione ed assenso dell'antipapa Clemente;
affrettando quel principe ad accorrere in aiuto suo, prima che
arrivasse il turbine che la minacciava dalla parte dell'Ungheria. Ma
perchè nel settembre terminò il suddetto re Carlo i suoi giorni, cotal
mutazione ritardò poi di troppo la venuta di esso Lodovico d'Angiò in
Italia.
 
Continuarono i Veneziani con gran vigore per alcuni mesi ancora ad
assediare la città e il porto di Chiozza, dove erano rinserrati i
Genovesi[1894]; nel qual tempo seguirono molti fatti d'armi e di
singolar bravura dall'una e dall'altra parte. Ma sempre più veniva
mancando agli assediati la provianda; e quantunque da Genova fosse
venuta un'armata nuova di ventitrè galee e di alcuni altri legni
minori per dar loro soccorso, niuna via trovò questa per mettere
gente in terra e sovvenire al bisogno de' suoi nazionali; tante erano
le guardie e i passi presi dai Veneziani. Finalmente, vinti dalla
fame, i Genovesi, nel dì 21 di giugno mandarono ambasciatori al _doge
Contareno_, e si renderono a discrezione. Circa quattro mila d'essi
e di altri loro ausiliarii rimasero prigioni, e furono condotti alle
carceri di Venezia. Nel dì 24 il doge trionfante entrò in Chiozza.
Vennero alle mani dei vincitori diciannove galee, assaissimi burchi
e barche colle lor munizioni, e copiosa quantità di sale. Tutto il
rimanente, secondo le promesse, fu lasciato in preda alle soldatesche.
Ed ecco dove andò a terminare il grave pericolo della nobilissima
città di Venezia e la albagia de' Genovesi. Erasi intanto l'armata
navale d'essi Genovesi, che navigava nell'Adriatico, accresciuta sino
a trentanove galee, e sei galladelle. Con queste forze essi nel dì
primo di luglio presero la città di Capo d'Istria, e la donarono al
patriarca d'Aquileia, a cui i Veneziani la ritolsero nel dì primo di
agosto per valore di _Vittor Pisani_, il quale con quarantasette galee
ben armate fu inviato colà. Ma nel calore di queste imprese caduto
infermo esso Pisani, nel dì 13 del mese suddetto gloriosamente diede
fine alla sua vita[1895]. Impadronironsi poscia i Genovesi della città
di Pola, e la consegnarono alle fiamme. Ribellossi ancora alla signoria
di Venezia Trieste nel dì 26 di giugno, e si sottomise al patriarca
d'Aquileia. Tralascio altri fatti; ma non debbo tacere che _Francesco
da Carrara_ nel maggio e nei seguenti mesi tornò a stringere d'assedio
la città di Trivigi, e l'avea ridotta quasi agli estremi per mancanza
di vettovaglie. Fecero sforzi grandi i Veneziani per soccorrerla di
viveri, e riuscì loro di introdurvene, ma non tanto da assicurarla per
l'avvenire; e massimamente peggiorò lo stato di quella città, dacchè
il Carrarese nel novembre e dicembre s'impossessò di Porto Buffaledo e
di Castelfranco. Perciò anche dopo la liberazion di Chiozza, seguitò la
repubblica veneta ad essere in mezzo a gravissime burrasche.

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