2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 129

Annali d'Italia 129


Intanto _Carlo dalla Pace_, nipote del re d'Ungheria, con
consentimento, oppure coll'ordine d'esso re, sul principio d'agosto
si mosse da Verona con mille lancie di buoni combattenti ungheri,
e cinquecento arcieri (negli Annali di Milano[1896] è scritto che
avea seco nove mila Ungheri), premendo più a lui il suo disegno
per la conquista del regno di Napoli, che i vantaggi della lega
contra de' Veneziani; e per gli Stati del marchese d'Este arrivò sul
Bolognese[1897], dove la sua gente, benchè amica, trattò il paese da
nemico. Andò sino a Rimini, ed era per continuare il viaggio da quella
parte, quando i fuorusciti fiorentini, che erano molti e potenti in
questi tempi, l'indussero a cangiar cammino[1898]. Aveano essi fatto
prima venire la compagnia di San Giorgio, comandata da _Alberico conte_
di Barbiano, sul Pisano, Sanese e Fiorentino, sperando di obbligare
i cittadini dominanti a rimettergli in città. Ma _Giovanni Aucud_,
preso per loro generale dai Fiorentini, e il _conte Averardo di Lando_
lor capitano gli aveano fatti tornare indietro con poco lor gusto.
In Toscana parimente era capitata la compagnia scemata di molto de'
Bretoni, ma fece anche essa poche faccende. Le speranze dunque date da
essi fuorusciti a Carlo dalla Pace gli fecero prendere il viaggio per
la Toscana, figurandosi egli, se non potea conquistar terre, almeno di
esigere ricche contribuzioni da quelle contrade. Gubbio se gli diede.
Città di Castello fu vicina a far lo stesso, se non che, scoperto a
tempo ch'egli veniva non per bene altrui, ma solo per pagar la sua
gente colla libertà dei saccheggi, restò rotto il contratto. Arrivò
egli nel settembre alla città d'Arezzo. I Bostoli ed Albergotti, dopo
aver cacciati i loro avversarii, signoreggiavano dianzi in quella
città, e vi aveano già ricevuto gli uffiziali di esso principe Carlo,
ma con provar ben tosto gli effetti della lor balordaggine in aver
messa la città e la fortezza in mano di gente barbara e senza fede,
perch'essa da lì a non molto fece balzar le teste agli stessi Bostoli
suoi benefattori ed amici. Siccome padrone assoluto di quella città,
_Carlo dalla Pace_ fece ivi battere sua moneta, e cominciò a martellare
i Sanesi per aver danaro. Ne smunse due mila fiorini d'oro e molta
vettovaglia. A sommossa poi de' banditi fiorentini minacciava la
città di Firenze, ed uscì anche in campagna co' suoi Ungheri e colla
compagnia dei Bretoni; ma essendosi postato a' confini Giovanni Aucud,
generale de' Fiorentini e gran maestro di guerra, con un bell'esercito,
gli fece tosto perdere la voglia di passar oltre. Mise dunque, pel
suo meglio, in trattato d'accomodamento le controversie, e, lasciando
burlati i fuorusciti, stabilì un accordo co' Fiorentini, da' quali
ricavò, sotto lo specioso titolo di prestito, quaranta mila fiorini
d'oro, e promessa di non dar aiuto alla _regina Giovanna_, con altri
patti. Non gli era mai d'avviso di levarsi di Toscana: tal paura gli
era saltata addosso. Però, lasciata la città di Arezzo in cattivo
stato, cavalcò alla volta di Roma, dove giunse prima che terminasse
l'anno corrente, ricevuto con gran festa da _papa Urbano VI_[1899], che
il dichiarò senatore di Roma, e seco andò facendo le disposizioni per
assalire nell'anno vegnente il regno di Napoli.
 
Due matrimonii seguirono nell'anno presente in Milano[1900], amendue
colla dispensa di papa Urbano, cioè quello di _Violante_, sorella
di _Gian-Galeazzo_ conte di Virtù, e già vedova di due mariti, con
_Lodovico Visconte_, suo cugino carnale, perchè figliuolo di Bernabò.
Anche lo stesso Gian-Galeazzo nel dì 2 d'ottobre prese per moglie
_Caterina_ figliuola del medesimo Bernabò, sua cugina carnale. Nè si
dee tacere che due anni prima, trovandosi il regno di Sicilia diviso
fra due fazioni, ed essendo la principessa _Maria_, erede di quel
regno, come in prigione[1901], aspirò Gian-Galeazzo alle nozze della
medesima, e ne seguirono anche gli sponsali, con patto che il Visconte
spedisse colà un corpo di combattenti per mettere in libertà quella
principessa, e ricuperar le terre occupate dai baroni; e similmente,
ch'egli nel termine di un anno passasse in persona in Sicilia. Ma,
scoperto questo trattato, il _re d'Aragona_, che, oltre all'avere
in quell'isola il suo partito assai forte, non sapea digerire che un
sì bel regno uscisse fuori della sua real casa: inviò nel precedente
anno tre galee nel mare di Pisa ad aspettare che gli uomini d'armi del
Visconte uscissero di Porto Pisano in navi, per andare in Sicilia.
Seguì battaglia fra loro, e rimasero fracassati i Lombardi. Per
questo accidente sinistro andò a monte il divisato matrimonio colla
principessa, ossia regina di Sicilia[1902], la qual prese dipoi per
marito _Martino_ della schiatta dei re aragonesi. Conseguentemente
anche Gian-Galeazzo si accoppiò con _Caterina_ sua cugina, sperando
col mezzo di tale unione di allontanare il suocero e zio Bernabò da
pensieri maligni contra di lui e de' suoi stati.
 
NOTE:
 
[1888] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1889] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1890] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1891] Theodericus de Niem., lib. 1, cap. 22.
 
[1892] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1893] Vita Clementis Antipap., P. II, tom. 3 Rer. Italic.
 
[1894] Chinazzi Istor., tom. 15 Rer. Ital. Gatari, Istor. di Padova,
tom. 17 Rer. Ital.
 
[1895] Caresin., Chron., tom. 12 Rer. Ital. Chron. Estense, tom. 15
Rer. Ital.
 
[1896] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1897] Cronica di Bologna, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1898] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital. Ammirati, Istoria di
Firenze, lib. 15.
 
[1899] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1900] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Italic.
 
[1901] Corio, Istor. di Milano.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXXI. Indizione IV.
 
URBANO VI papa 4.
VENCESLAO re de' Romani 4.
 
 
In quest'anno ancora seguitò la guerra fra i Veneziani e Genovesi per
mare[1903]; e _Carlo Zeno_, valente generale de' primi, fatti quanti
danni potè agli altri, conservò l'onor della patria colle sue navi
in corso. Ma per la guerra di terra non fu già propizia la sorte ai
Veneziani. _Francesco da Carrara_ continuava l'assedio o blocco di
Trivigi, ed avendo occupate varie castella e paesi d'intorno, impediva
ai Veneziani il recar soccorso a quell'afflitta città. Però il senato,
che per le passate disgrazie si trovava esausto di denaro e scarso di
combattenti, pensò ad abbandonar la terra, per attendere unicamente al
mare, dove tuttavia erano assai forti i maggiori loro avversarii, cioè
i Genovesi. Trivigi non si potea lungo tempo sostenere: ma piuttosto
che lasciarlo cadere in mano del Carrarese, determinarono i Veneziani
di donare ad altri quella città: tanto era l'odio che gli portavano, e
sì forte il riguardo ch'egli maggiormente non s'ingrandisse. Spedirono
dunque _Pantaleon Barbo_ a _Leopoldo duca d'Austria_, offerendogli
Trivigi, purchè egli prendesse a far guerra contra del Carrarese. Nel
dì 2 di maggio diedero essi al duca il possesso di quella città: il che
fu una stoccata al cuore di _Francesco da Carrara_, il quale, dopo aver
ridotto Trivigi alle estremità, si vide sul più bello tolto il boccone
di bocca. Pertanto ordinò egli nel dì 6 di maggio che il suo campo,
giacchè il duca era in viaggio, si levasse di sotto a quella città. Ma
venendo Pantaleon Barbo suddetto colà con due carrette cariche di panno
d'oro e d'argento, per regalare il duca d'Austria alla sua entrata
in Trivigi, inciampato nelle truppe padovane, fu preso con tutto il
suo equipaggio, e condotto a Padova sotto buona guardia. Era egli il
maggior nemico che si avesse il Carrarese; e tuttochè graziosamente
fosse rimesso in libertà, con promessa di non essergli contro, pure
operò peggio di prima. Nel dì 7 del mese suddetto arrivò il duca
Leopoldo con circa dieci mila cavalli nei contorni di Trivigi, e nel
dì 9 fece la sua solenne entrata in essa città. Poco si fermò egli,
e, lasciato quivi un copioso presidio, se ne tornò in Germania. Ed
intanto il Carrarese seguitava a prendere le castella del Trivisano con
istupor d'ognuno, e vi faceva inalberar le bandiere del re d'Ungheria,
con dire di essere suo servitore. Di pace intanto si trattava alla
gagliarda fra i Veneziani e la lega. Erasi interposto _Amedeo conte
di Savoia_, duca di Chablais, e marchese d'Italia, principe allora di
sommo credito, per quetar tanti turbini; e per la fede che ebbero in
lui tutti gl'interessati, fu egli appunto accettato come mediatore
e compromessario di sì gloriosa impresa. A questo fine concorsero
a Torino le ambascerie del _re d'Ungheria_, de' _Veneziani_, de'
_Genovesi_, del _signore di Padova_, e del _patriarcato d'Aquileia_,
che, per la morte del patriarca _Marquardo_, succeduta in quest'anno,
si trovava allora mancante di pastore. Proferì il conte di Savoia il
suo laudo nel dì 8 d'agosto in Torino[1904], in cui decretò che il
castello di Tenedo fosse rimesso in sua mano per due anni, dopo i quali
lo dovesse spianare; che al Carrarese si restituissero alcuni luoghi,
ed egli fosse disobbligato dai patti della pace dell'anno 1372, con
altre condizioni ch'io tralascio. Da questa concordia restò escluso
_Bernabò Visconte_. Non si può abbastanza esprimere l'universale
allegria che questa pace produsse, massimamente nei popoli ch'erano
mischiati nella guerra. E allora fu che il senato veneto mantenne la
data parola a chi più degli altri si era segnalato in aiuto della
patria, con avere specialmente alzate alla nobiltà veneta trenta
famiglie popolari.
 
Era già pervenuto a Roma _Carlo dalla Pace_ colla sua armata, siccome
avvertimmo di sopra[1905]. Il _pontefice Urbano_ non solamente
l'investì del regno di Napoli con sua bolla data nel dì primo di
giugno, ma solennemente ancora di sua mano il coronò nel giorno
seguente in tal congiuntura; e giacchè questo pontefice era tutto
pieno di pensieri temporali, si obbligò ancora esso Carlo di conferire
il principato di Capoa a _Francesco Prignano_ nipote di lui, cioè la
miglior parte del regno, conquistato ch'egli l'avesse. L'ardore con
cui Urbano procedeva in questo affare, più che mai comparve; perciocchè
allora fu specialmente[1906], che spogliò chiese ed altari per fornir
di moneta questo suo favorito campione. Seco inoltre unì quante truppe
potè, e colla sua benedizione l'inviò contro la _regina Giovanna_. Avea
questa riposte le sue speranze nel valore di _Ottone duca di Brunsvich_
suo consorte, e nelle fallaci promesse de' baroni napoletani[1907]. Ma
era troppo divisa la cittadinanza di Napoli. Volevano alcuni la regina,
altri papa Urbano, altri il re Carlo. Si oppose Ottone sulle frontiere
all'esercito nemico; ma gli convenne ritirarsi[1908]. Inoltratosi il
re Carlo fin sotto a Napoli, dove s'era afforzato il duca Ottone, fu
creduto che si verrebbe a battaglia; ma trovaronsi traditori che nel
dì 16 di luglio aprirono una porta della città al re Carlo. Entrato
ch'egli fu, Ottone, dopo aver trucidato cinquecento de' nemici, si
ridusse ad Aversa, e la regina in Castel Nuovo, dove restò assediata e
in gravi angustie, perchè per balordaggine de' suoi ministri si trovò
sfornita di vettovaglia. Fu dunque obbligata a capitolare, che se nel
termine di alquanti giorni non veniva tal forza che la liberasse, ella
si renderebbe al re Carlo, il quale nello stesso tempo mostrava delle
buone intenzioni per lei. Perciò il duca Ottone nel dì 25 d'agosto,
ultimo della capitolazione fatta, calato da castello Sant'Ermo, andò
con sue genti a tentar la fortuna, ed attaccò un fiero combattimento
coll'esercito del re Carlo. Ma essendo stato ucciso _Giovanni marchese
di Monferrato_, che militava con lui (ed ebbe perciò successore nel
dominio dei suoi stati _Teodoro II_ suo minor fratello), e lo stesso
duca Ottone nel calor della battaglia essendo restato gravemente ferito
(non si sa se da' suoi o da' nemici) e poi fatto prigione, si mise in
rotta e fuga tutto l'esercito suo. Questa vittoria decise del resto. La

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