2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 130

Annali d'Italia 130



regina Giovanna_ rendè sè stessa e i castelli nel giorno seguente al
re vincitore, e fu poi mandata prigioniera al castello di San Felice.
La maggior parte delle terre a lui parimente prestò ubbidienza. Nel
dì primo di settembre arrivò a Napoli il conte di Caserta con dieci
galee di Provenza, credendo di soccorrere la regina; ma ritrovò cielo
nuovo in quelle parti. All'incontro giunse a Napoli _Margherita_,
moglie del _re Carlo_, con _Ladislao_ e _Giovanni_ suoi figliuoli nel
dì 11 di novembre, e nel dì 25 fu coronata regina dal cardinale legato
apostolico con gran festa ed allegrezza di quel popolo, che per suo
costume ogni dì vorrebbe dei re nuovi.
 
Accaddero in quest'anno le calamità della città di Arezzo[1909]. Avea
il _re Carlo_ inviato colà per suo vicario _Giovanni Caracciolo_.
I mali suoi portamenti, oppur la giustizia severa ch'egli
esercitava[1910], cagion furono che la fazion guelfa, avendo prese
le armi, il costrinse a ritirarsi nella fortezza. Era il mese di
novembre, e trovavasi allora nel territorio di Todi colla compagnia di
San Giorgio il conte _Alberico da Barbiano_, cioè, come già dissi, il
più valente condottier d'armi che s'avesse allora l'Italia. Era egli
in questi tempi ai servigi del re Carlo, e forse principalmente per
la di lui buona condotta e bravura erano procedute con tanta felicità
le battaglie e la conquista del regno di Napoli. Fu il conte chiamato
con premurose lettere dal Caracciolo; ed egli, andato colà, ed entrato
nel castello, senza che gli Aretini avessero punto provveduto alle
difese, nel dì 18 di novembre piombò co' suoi masnadieri nella città,
e diede un orrido ed universal sacco alle case non meno dei Guelfi
che de' Ghibellini, senza risparmiar le chiese, i monisteri e l'onor
delle donne. Ser Gorelli poeta aretino d'allora vien descrivendo
tutte le enormità di quella tragedia. Boniforte Villanuccio, mandato
dipoi colà dal re Carlo, fece del resto, e finì di pelare l'infelice
città. Rimase perciò essa affatto desolata, e gli abitatori suoi per
la maggior parte si sbandarono chi qua chi là, accattando il pane per
sostenersi in vita. Un'altra funesta scena succedette in quest'anno
in Verona[1911]. Signoreggiavano quivi i due fratelli bastardi
_Bartolomeo_ ed _Antonio dalla Scala_. La matta voglia di non aver
compagni sul trono instigò il minore, cioè Antonio, a levar di vita il
fratello. Non era a lui ignoto che Bartolomeo andava di notte con un
solo compagno a solazzarsi con una sua amica: il che diede a lui campo
di levarlo senza fatica e tumulto dal mondo. Nella mattina adunque
del dì 13 di luglio fu ritrovato morto esso Bartolomeo con ventisei
ferite nel corpo, e trentasei in quello del suo compagno, davanti
alla porta d'un certo Antonio Veronese. Finse il malvagio fratello
d'esserne estremamente conturbato, e fece martoriare e poi morire la
donna ed alcuni suoi parenti innocenti, come se fossero stati autori
dell'omicidio; ma ben conobbero i saggi, e più lo conobbe _Francesco
da Carrara_, da qual mano era venuto il colpo; e perchè ciò gli scappò
di bocca, e fu riferito ad Antonio, questi non gliela perdonò mai più.
Fin qui la Provenza s'era mantenuta sotto l'ubbidienza dei re di Napoli
con altre terre del Piemonte[1912]. _Clemente VII_ antipapa, dacchè
intese conquistato dal _re Carlo_ il regno di Napoli, ed imprigionata
la _regina Giovanna_, investì d'esso regno _Lodovico duca_ d'Angiò,
zio del re di Francia, perchè già adottato da essa regina; e questi si
mise anche in possesso della felice contrada della Provenza, benchè non
senza molte opposizioni e contrasti d'alcuni di que' popoli.
 
NOTE:
 
[1902] Fazellus de Reb. Siculis.
 
[1903] Gatari, Istor. Padov., tom. 17 Rer. Ital. Redusio, Chron., tom.
19 Rer. Ital.
 
[1904] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1905] Raynaldus, Annal. Eccles.
 
[1906] Theodoric. de Niem., Gobelinus, et alii.
 
[1907] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1908] Bonincontrus Morigia, Annal., tom. 21 Rer. Italic.
 
[1909] Gorelli, Chron., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1910] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXXII. Indiz. V.
 
URBANO VI papa 5.
VENCESLAO re de' Romani 5.
 
 
_Lodovico duca d'Angiò_, che a tempo non era potuto venire in Italia
per impedir la caduta e prigionia della _regina Giovanna_, si mise
in quest'anno in cuore di liberarla dalle mani del _re Carlo_. A tale
effetto raunò un formidabile esercito di Franzesi e d'altre nazioni.
Costume è de' popoli, ed anche de' principi, siccome abbiam detto più
volte, d'ingrandire a dismisura il ruolo delle armate. Oltre all'autore
della Cronica di Forlì[1913], il Gazata[1914], vivente allora, giugne a
dire che il di lui esercito ascendeva a sessantacinque mila cavalieri.
L'autore degli Annali Milanesi[1915] gliene dà quarantacinque mila.
Ma il Cronista Estense[1916] e Matteo Griffoni[1917] con più giudizio
scrissero ch'egli entrò in Italia con quindici mila cavalli, e tre
mila e cinquecento balestrieri; ed avea seco _Amedeo conte di Savoia_,
principe di gran riputazione. Era questo duca d'Angiò, se si ha da
credere al Gazata, uomo crudelissimo, e da tutti odiato in Francia.
Vantavasi egli di venire in Italia per abbattere _papa Urbano_,
giacchè egli riconosceva l'antipapa Clemente per vero papa. Rapporta
il Leibnizio[1918] un atto curioso d'esso Clemente, cioè una bolla
di lui, colla quale instituisce e dona al suddetto duca d'Angiò e a'
suoi discendenti il _regno dell'Adria_, formandolo colle provincie
della marca di Ancona e Romagna, col ducato di Spoleti, colle città
di Bologna, Ferrara, Ravenna, Perugia, Todi, e con tutti gli altri
Stati della Chiesa romana, a riserva di Roma, Patrimonio, Campania,
Marittima e Sabina. Dio non permise poi un sì grave assassinio allo
stato temporale de' romani pontefici. Quell'atto vien riferito da esso
Leibnizio nell'anno presente 1382. Ma ivi si legge: _Datum Spelunga
Cajetanae Dioecesis XV kalendas maji, pontificatus nostri anno primo_:
note indicanti l'anno 1379. Ma non par molto verisimile che, stando
allora l'antipapa nel territorio di Gaeta, ideasse così di buon'ora
uno smembramento tale degli Stati della Chiesa. Comunque sia, affine
di potere sicuramente passare per gli Stati de' Visconti, _Lodovico_
cercò l'amicizia di _Bernabò_, e si convenne che il Visconte darebbe
in moglie _Lucia_ sua figliuola ad un figliuolo d'esso duca, e gli
presterebbe quaranta mila fiorini d'oro, con altri patti d'assistenza
per la conquista del regno di Napoli[1919]. Negli Annali Milanesi[1920]
è scritto avergli Bernabò promesso ducento mila fiorini d'oro a titolo
di dote: e lo stesso autore, siccome il giornalista napoletano[1921],
ci conservarono il registro dell'insigne nobiltà e baronia che
accompagnò esso duca d'Angiò a questa spedizione. Fece Bernabò quante
finezze potè all'Angioino nel suo passaggio; passaggio ben greve ai
territorii, che tanta cavalleria ebbero a mantenere, e sofferir anche
lo spoglio delle case. Furono ben trattati i Bolognesi; e _Guido da
Polenta_ signor di Ravenna alzò le bandiere d'esso duca di Angiò[1922].
 
Aveva il _re Carlo_ spedito il _conte Alberico da Barbiano_ con
trecento uomini d'armi per opporsi a questo passaggio. Per tale, benchè
picciolo, aiuto Forlì e Cesena tentate dal duca si sostennero, e vi
furono solamente bruciate alcune ville. Anche _Galeotto Malatesta_
negò la vettovaglia. Ciò non ostante, e quantunque Alberico avesse dato
il guasto a tutto il foraggio del paese di là da Forlì, pure l'armata
angioina nel mese d'agosto passò oltre, ed essendosegli data Ancona,
arrivò finalmente nel regno di Napoli. L'autore della Cronica di Rimini
scrive[1923] d'aver veduto passar quest'armata, e parve a lui e ad
altri vecchi pratici della guerra di non essersene mai veduta una sì
grossa, nè di più bella gente, di modo che comunemente si credeva che
fossero più di quaranta mila cavalli. Intanto il re Carlo, sentendo
qual turbine terribile romoreggiasse contra di lui, secondo la mondana
politica credette non essere più da lasciare in vita l'imprigionata
_regina Giovanna_. Sui principii la trattò egli con assai umanità, le
fece anche delle carezze, sperando d'indurla a cedere in suo favore non
solo il regno di Napoli, ma anche la Provenza[1924]. Tale nondimeno era
l'odio che in suo cuore covava essa regina contra di questo ladrone
(così ella il chiamava), che mai non volle consentire. Arrivate
le galee di Marsiglia, siccome dissi, troppo tardi in aiuto suo,
allora il re Carlo rinforzò le batterie, acciocchè essa confessasse
d'essere trattata da madre, e comandasse ai Provenzali di ricevere
esso re Carlo per signore. Finse ella di acconsentire, ma come furono
condotti alla presenza sua gli uffiziali di quelle galee, da donna
magnanima disse loro quanto potè di male del re Carlo, ordinando che
si sottomettessero, non mai a quell'assassino, ma bensì a _Lodovico
duca d'Angiò_, eletto da lei per suo erede; e che per conto di lei ad
altro non pensassero se non a farle il funerale, e a pregar Dio per
l'anima sua. Da ciò venne che il _re Carlo_ la fece chiudere in dura
prigione; ed allorchè intese che con tante forze era per venire il duca
d'Angiò per liberarla, nel dì 12 di maggio, siccome hanno i Giornali
di Napoli[1925], oppure nel dì 22, come ha il testo di Teodorico
di Niem[1926], o col veleno, oppure, come fu voce e credenza più
accertata, con laccio di seta la fece privar di vita, e poscia esporre
il suo cadavero, acciocchè fosse veduto da tutti. Tal fine ebbe la
misera regina, la cui fama di molto restò annerita per la morte del suo
primo marito Andrea, in cui certo è che ebbe mano. Tristano Caracciolo,
scrittore di gran senno ed onoratezza, da lì a cent'anni fece assai
conoscere che nel resto delle azioni sue fu principessa giusta, saggia
e degna di lode, benchè con fine sì ignominioso miseramente terminasse
la vita.
 
Entrato il _duca d'Angiò_ per la parte d'Abruzzo nel regno di Napoli,
fu messo in possesso dell'importante città dell'Aquila, datagli da
_Ramondaccio Caldora_. Ebbe Nola, Matalona, ed altre città e terre.
Seco fu una gran frotta di baroni napoletani, che aveano tutti sposato
il partito di lui e dell'infelice regina. Veggonsi essi ad uno ad uno
annoverati dal Buonincontri ne' suoi Annali[1927]. E quindi nacque
la fazione _angioina_, che lungo tempo durò poi, e tenne diviso quel
regno. Per mediazione di _papa Urbano_ condusse il _re Carlo_ al
suo soldo _Giovanni Aucud_ con due mila e ducento cavalli[1928], che
nel dì 22 d'ottobre giunse a seco unirsi. Così venne egli ad avere
quattordici mila cavalli al suo servigio; ma il _duca d'Angiò_ ne
contava molte migliaia di più. Avrebbe il re potuto venire ad un fatto
d'armi, siccome bramavano gli avversarii franzesi; ma, per consiglio
del saggio _conte Alberico da Barbiano_, volle star sempre alla
difesa, sperando che vedrebbe a poco a poco dissiparsi e venir meno
le soldatesche del principe nemico, siccome in fatti avvenne. Portata
al duca d'Angiò la nuova che l'Aucud era venuto a militare contra
di lui, considerandolo tuttavia come capitano dei Fiorentini, ordinò
che in Provenza fossero prese tutte le merci de' Fiorentini: ordine
che fu puntualmente eseguito con grave danno di quella nazione[1929].
Verità o finzione fosse, certo è che i Fiorentini l'aveano casso. Nel
mese d'ottobre del presente anno mancò di vita _Lodovico da Gonzaga_
signor di Mantova[1930], e andò a rendere conto a Dio dei due suoi
fratelli _Ugolino_ e _Francesco_ uccisi per ordine suo. Aveva atteso
a mettere insieme gran danaro. Gli succedette nel dominio _Francesco_
suo figliuolo, che avea per moglie una figliuola di _Bernabò Visconte_.
L'ultimo anno ancora della vita di _Lodovico re d'Ungheria e di
Polonia_ fu questo, cioè di un principe che abbiam veduto mischiato
non poco negli affari d'Italia, e che lasciò dopo di sè una memoria
gloriosa per la sua pietà e per le sue memorabili imprese[1931].
Di lui non restò prole maschile. Solamente ebbe due figliuole, cioè
_Maria_, che ereditò il regno d'Ungheria, e coronata prese il nome di
re, e non di regina. Ad _Edvige_, altra sua figliuola, toccò il regno
di Polonia. A questa grande eredità aspirava _Carlo di Durazzo_ re
di Napoli, pretendendo dovuti quei regni a sè, come maschio e parente
stretto; ma per ora, trovandosi egli troppo occupato dalla guerra col
_duca d'Angiò_, con dissimulazione se la passò. In vigor della pace
fra i Veneziani e Genovesi, dovea essere consegnato ad _Amedeo conte di
Savoia_ l'importante castello di Tenedo[1932]. Spedirono essi l'ordine,
ma _Zanachi Mudazzo_ capitano di quella fortezza si ostinò in non
volerla consegnare. Creduto ciò un'invenzione de' Veneziani, fu fatta

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