2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 132

Annali d'Italia 132


Anno di CRISTO MCCCLXXXIV. Indiz. VII.
 
URBANO VI papa 7.
VENCESLAO re dei Romani 7.
 
 
Il guasto grande che la peste avea fatto nell'armata del _duca d'Angiò_
accrebbe l'animo a _Carlo re di Napoli_ per finalmente uscire in
campagna con tutte le sue forze: al che nello stesso tempo l'incitava
_papa Urbano_, a cui troppo stava a cuore l'abbattere questo potente
protettore dell'antipapa[1941]. Maggiore impulso venne ancora dalle
nuove che era in moto un altro esercito di cavalleria, che il re di
Francia spediva in rinforzo del duca suo zio. Ascendeva l'armata del
_re Carlo_ a sedici mila cavalli e a molta fanteria; e seco erano
assaissimi baroni napoletani, la lista de' quali si legge ne' Giornali
da me dati alla luce. Nel dì 12 d'aprile arrivò il re Carlo con queste
genti a Barletta, e fece prigione _Raimondello Orsino_, uno dianzi de'
suoi più potenti e più prodi partigiani, probabilmente per sospetti
di sua fede, ma non finì il mese stesso che questi ebbe la fortuna
di fuggirsene e di passare all'armata del duca d'Angiò, il quale con
grandi carezze il ricevette, e diedegli, mercè d'un matrimonio, il
contado di Lecce. Ora trovandosi il re Carlo in Barletta, mandò nello
stesso dì 12 al duca d'Angiò il guanto della disfida. Accettollo il
duca di buon cuore, e diede per risposta, che fra cinque dì sarebbe
alle porte di Barletta. Nulla più desiderava egli che di decidere
la contesa con una battaglia. Ma il re Carlo, apprendendo poscia il
rischio, a cui con quella disfida avea esposto sè stesso e la corona,
fece venire al campo _Ottone duca di Brunsvich_, già marito della
regina Giovanna, fin qui stato prigione nel castello di Molfetta, per
consigliarsi seco, ben conoscendolo un capitano di rara sperienza e
saviezza. Ottone, ben pesate le cose, fu di parere che il re tenesse a
bada per alquanti giorni il nemico, e si guardasse da battaglia, perchè
il duca d'Angiò non potea tener la campagna, e da per sè si andrebbe
disfacendo. Però, a riserva di qualche scaramuccia vantaggiosa pel re
Carlo, fatto di armi non seguì, e l'Angioino deluso e malcontento se ne
ritornò indietro. Allora il re, per ricompensa del buon servigio, mise
in libertà il duca di Brunsvich, e questi lieto se n'andò a trovare il
papa.
 
Era passato da Napoli esso pontefice a Nocera, città di suo nipote,
nel dì 16 di maggio, dove la sua corte patì di molti disagi. Nel
giugno s'infermò di peste, o d'altro pericoloso male, il _re Carlo_,
e con gran fatica la scampò. Ma per lo stesso malore essendo morto
il contestabile del regno, conferì questa carica al _conte Alberico
da Cunio_, ossia da Barbiano. Diversa ben fu la sorte del suo
avversario, cioè di _Lodovico duca d'Angiò_, principe già intitolato
re di Napoli. O sia che egli fosse attossicato, o preso dalla peste,
oppure, come abbiamo dai giornali suddetti, ch'egli si riscaldasse
troppo nel voler impedire il sacco già incominciato da' suoi soldati
nella città di Biseglio, che spontaneamente se gli era data: certo è,
aver egli terminata in Bari la carriera del suo vivere[1942] nel dì
10 d'ottobre. Nella Cronica di Forlì[1943] è riferita la di lui morte
a' dì 11 di settembre. Tramandò egli a _Lodovico_ suo figliuolo di
tenera età in questi tempi la signoria della Provenza e degli altri
suoi Stati di Francia, e le sue pretensioni sul regno di Napoli. Per
questo colpo d'inaspettata fortuna rimase senza maggior fatica il re
Carlo vincitore, perchè le milizie angioine a poco a poco andarono
sfumando per ridursi al loro paese, e non ne restò che una parte, la
quale si mise sotto gli stendardi di _Raimondello Orsino_, valoroso
continuator della guerra in quel turbatissimo regno. Erasi partito
nella state dell'anno presente, siccome dianzi accennammo, per ordine
del re di Francia Engerame sire di Cussì, ossia Coucy, con copiosa
moltitudine d'uomini d'armi, per venire in aiuto del duca d'Angiò
Lorenzo. Buonincontro[1944] li fa ascendere a quindici mila cavalli; ma
l'autore della Cronica Estense[1945] ed altri[1946] neppure contano la
metà. Fecero costoro gran danno al Piacentino in passando, con avervi
bruciate e saccheggiate varie ville. Per la via di Pontremoli passarono
a Lucca. In gran timore ed affanno furono per questo i Fiorentini;
ma il buon uso de' regali e di una ambasceria li difese. Altrettanto
fecero i Sanesi[1947]. I nobili Tarlati da Pietramala cogli altri
Ghibellini usciti d'Arezzo di tal congiuntura si prevalsero per levar
la signoria di quella città a _Carlo re di Napoli_. Nella notte del dì
29 di settembre il sire di Cussì colle sue brigate, avendo scalate le
mura d'Arezzo, v'entrò, e restò di nuovo messa a sacco quell'infelice
città. Si ridussero bensì nel castello le genti del re Carlo e i
Guelfi, ma immantenente furono quivi assediati dai Franzesi. Allora
i Fiorentini, che non poteano mirar di buon occhio gli oltramontani
in quel nido, trattarono di far lega co' Sanesi, Perugini e Lucchesi,
e intanto spedirono l'esercito loro ad assediare la città di Arezzo.
Ma eccoti giugnere la nuova che _Lodovico duca d'Angiò_ avea chiusi
gli occhi a questa vita: il che fece risolvere il sire di Cussì a
vendere quella spopolata città, per ritornarsene alle sue contrade.
Data l'avrebbe ai Sanesi par venti mila fiorini d'oro[1948]. Non
seppero questi abbracciare così buon partito. I Fiorentini, più presti
e sagaci, conchiusero essi il contratto colla spesa di cinquanta mila
fiorini, e con far paura di guerra ai Sanesi, se non lasciavano quel
maneggio. Così la città d'Arezzo, ma desolata, venne, ossia ritornò per
suo meglio alle mani de' Fiorentini nel dì 20 di novembre, e da lì a
pochi giorni anche il cassero, ossia la fortezza, fu loro consegnata da
_Jacopo Caracciolo_ vicario del re Carlo. Gran festa si fece per tale
acquisto a Firenze[1949]. I Tarlati con un manifesto spedito a tutti i
principi d'Europa pubblicarono per traditore il sire di Cussì, perchè
contro ai patti e giuramenti avea venduta quella città.
 
Dimorava tuttavia in Nocera papa _Urbano VI_, e questa sua lunga
permanenza nel regno dispiacea forte alla real corte di Napoli[1950],
che temea (se pur non ne avea anche delle pruove) che un cervello sì
ambizioso e fantastico facesse degl'intrighi per torre il regno al
re, e darlo al suo caro nipote Butillo. Per farlo tornare a Roma,
anche la _regina Margherita_ gli avea usato delle insolenze, con
impedire il passaggio delle vettovaglie a Nocera. Ora guarito che fu
il _re Carlo_ dalla sua lunga e pericolosa malattia[1951], e tornato
a Napoli nel dì 10 di novembre, informato del dimorar tuttavia il
pontefice in Nocera, e de' sospetti che correvano, orgogliosamente
gli mandò a dimandar la cagione perchè si fosse partito da Napoli,
e a dirgli che vi tornasse. Doveva egli tener per meglio di averlo
sotto i suoi occhi[1952]. La risposta d'Urbano fu, essere il costume
dei re d'andare a' piedi del papa, e non già che il papa andasse ai
re. A questo tuono aggiunse, che se Carlo desiderava di averlo per
amico, liberasse il regno da tante gabelle. Replicò allora il re con
più ardenza, ch'egli ne imporrebbe delle nuove; quello essere regno
suo, conquistato coll'armi; e che il papa s'impacciasse de' suoi preti.
Di qui ebbe principio una guerra scoperta fra il papa e il re Carlo.
Rapporta il Rinaldi[1953] una bolla di questo pontefice, data in Napoli
nell'ultimo dì di novembre dell'anno presente, in cui, perchè era in
collera con tutti gli ordini religiosi, proibì loro il poter confessare
e predicare senza licenza de' parrochi. Suppone tal bolla tornato il
papa a Napoli: il che non s'accorda coi giornali suddetti. Fece in
quest'anno la peste molta strage in Genova[1954], ed ogni settimana
circa novecento persone erano portate al sepolcro. Nel mese di giugno
fu da essa colpito e poi rapito _Leonardo da Montaldo_ doge di quella
repubblica, per le sue virtù ed abilità degno di più lunga vita; e in
luogo suo fu eletto doge _Antoniotto Adorno_, dianzi bandito da quella
città. Avea nel precedente anno _Francesco da Carrara_[1955] talmente
angustiata la città di Trivigi, con prendere tutto all'intorno le
castella e fortezze, che _Leopoldo duca d'Austria_ cominciò a gustar le
proposizioni di pace, e di vendere quella città al Carrarese. In fatti
seguì fra loro il contratto, e parimente per quello di Ceneda, Feltre
e Cividal di Belluno, secondo il Gataro iuniore, Francesco da Carrara
pagò sessanta mila fiorini d'oro al duca. Ma il vecchio Gataro parla
di cento mila, aggiugnendo di più, che sì gran somma fu ricavata sotto
nome di prestito dalle borse de' cittadini padovani: e però laddove
quel popolo avrebbe dovuto rallegrarsi non poco per l'accrescimento
della potenza, altro non s'udì che mormorazioni, altro non si vide
che malinconia, rari ben essendo que' popoli che non paghino caro
le conquiste fatte dai loro signori. Nel dì 4 di febbraio fu dato
il possesso di quella città al Carrarese, il quale magnificamente lo
prese, e attese da lì innanzi a procacciarsi l'amore di quel popolo,
che tanto avea patito, con donar loro grani da seminare, coll'esentarli
da molte gravezze, con prestar danari ai marcatanti[1956], acciocchè
tornasse a fiorire quella città; e in fine col conferir posti lucrosi
ai Trivisani si studiò di amicarseli tutti. Mancò di vita in quest'anno
nel dì 18 di giugno _Beatrice_, comunemente appellata _Regina dalla
Scala_, moglie di _Bernabò Visconte_. Era, secondo il Corio[1957],
donna empia, superba e insaziabile in raunar tesori, e per ingrandire
i figliuoli fu creduto che essa macchinasse contro la vita di
_Gian-Galeazzo Visconte_ signor di Pavia e d'altre città.
 
NOTE:
 
[1940] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1941] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1942] Cronica di Rimini, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1943] Chron. Foroliviense, tom. 22 Rer. Ital.
 
[1944] Bonincontrus, Annal., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1945] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1946] Chron. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital.
 
[1947] Cronica di Siena, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1948] Ammirati, Istor. Fiorent., lib. 15.
 
[1949] Gazata, Chron. Regiens., tom. 19 Rer. Ital.
 
[1950] Theodor. de Niem, Hist. Raynald., Annal. Eccles.
 
[1951] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1952] Bonincontrus, Annal., tom. eod.
 
[1953] Raynald., Annales Eccles.
 
[1954] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1955] Gatari, Istoria di Padova, tom. 21 Rer. Ital.
 
[1956] De Redusio, Chron., tom. 19 Rer. Ital.
 
[1957] Corio, Istoria di Milano.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXXV. Indiz. VIII.
 
URBANO VI papa 8.
VENCESLAO re de' Romani 8.
 
 
Due strepitosi avvenimenti d'Italia apprestarono in quest'anno copiosa
materia da discorrere all'Europa tutta. Appartiene il primo a _papa
Urbano_. Ostinatamente continuava egli la sua residenza in Nocera
al dispetto del _re Carlo_ e dei cardinali di suo seguito[1958],
che adoperarono indarno esortazioni, preghiere e ragioni, perchè vi
pativano essi, e vi pativa più la dignità della santa Sede per varii
riguardi, ma specialmente per la rottura seguita col re Carlo. Un certo
Bartolino da Piacenza, ardito legista, divolgò in questi tempi una
scrittura di alquante quistioni, cercando, qualora il papa si trovasse
troppo negligente o inutile al governo, o talmente operasse di suo
capriccio, senza voler ascoltare il consiglio de' cardinali, che fosse
in pericolo la Chiesa: se in tal caso potessero i cardinali dargli uno
o più curatori, col parere de' quali egli fosse tenuto a spedir gli
affari d'essa Chiesa. Sosteneva che sì, adducendone varie ragioni. Dal
_cardinale di Manupello_ di casa Orsina fu segretamente avvisato il
papa che sei cardinali (cinque solamente ne riferiscono Teodorico di
Niem e l'autore de' Giornali Napoletani[1959]), cioè gli arcivescovi di
Taranto e di Corfù, e i cardinali di Genova, di Londra, di San Marco e
di Santo Adriano, personaggi tutti de' più dotti e cospicui del sacro
collegio, aveano veduta quella scrittura, e tener essi quella sentenza.

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