2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 134

Annali d'Italia 134


Fu in quest'anno guerra nel Friuli. Avea _papa Urbano_ conferito il
patriarcato d'Aquileia in commenda a _Filippo d'Alanzone_ della real
casa di Francia, cardinale vescovo di Sabina, e sua creatura[1971].
S'ebbero a male quei d'Udine, perchè chiesa cotanto insigne e
fornita di sì nobil principato fosse ridotta alla condizion di
tante badie, allora date in commenda, cioè in preda ai cacciatori
di beni ecclesiastici, senza dar loro un vero patriarca. Però nol
vollero accettar per signore, e pochi furono que' luoghi che a lui
si sottomettessero. Si venne perciò all'armi. Ricorse il cardinale
a _Francesco da Carrara_ signor di Padova, siccome confinante per
la tenuta di Trivigi, Ceneda, Belluno e Feltre; anzi fece a lui
raccomandare da _papa Urbano_ la protezione de' suoi affari. Perchè la
brama o avidità di accrescere i proprii Stati è una febbre innata in
tutti i dominanti, ma in chi più, in chi meno gagliarda a misura delle
forze; il Carrarese vi saltò dentro a piè pari. Non è se non probabile
che egli meditasse di procacciarsi una parte almeno di que' dominii.
Ma i _Veneziani_, a' quali stava sul cuore ogni movimento del Carrarese
odiato, si misero segretamente a dar aiuti di gente e danaro al comune
di Udine. Nè ciò bastando, mossero contra di Francesco da Carrara il
signor di Verona e Vicenza, cioè il giovane _Antonio dalla Scala_,
pagandogli sotto mano ogni mese quindici mila fiorini d'oro. Invanitosi
lo Scaligero per aver dalla sua la possente repubblica di Venezia, per
quante preghiere e ragioni adoperassero gli ambasciatori padovani, non
si volle mai rimuovere dal contratto impegno; e, fatta massa di gente,
dimandò il passo per mandarla in Friuli in aiuto di Udine. Questo
gli fu negato; e però cominciò a far delle scorrerie sul Padovano. Il
Carrarese anch'egli per rendergli la pariglia, e a più doppii, fece
cavalcar le sue genti con quelle del patriarca d'Aquileia sul Veronese
e Vicentino, che ne riportarono inestimabil bottino. Mandò Antonio
dalla Scala a dolersene col Carrarese, e gli fece con alterigia sapere
di volerne vendetta, quand'anche dovesse perdere Verona e Vicenza; e
che forse riuscirebbe ad un can giovine di prendere una volpe vecchia.
_Francesco da Carrara_ rigettò sulle genti del patriarca quell'insulto,
e saggiamente si offerì di far pace, e di rifare i danni dati. Ma lo
Scaligero, sempre più alzando la testa, persistè nel suo proposito, ed
attese più che prima a fornirsi di soldati. Nell'anno presente[1972]
cessò di vivere in Rimini _Galeotto Malatesta_ signore di quella città,
rinomato per la sua prodezza e saviezza. _Pandolfo_ e _Carlo_ suoi
figliuoli unitamente succederono ne' suoi Stati. Furono ancora novità
a' dì 13 di dicembre nella città di Forlì[1973]. Quivi signoreggiava
_Sinibaldo degli Ordelaffi_. Gli vollero risparmiar la fatica di
comandare due suoi nipoti _Pino_ e _Cecco degli Ordelaffi_; e però il
presero e cacciarono in prigione, assumendo essi l'intero dominio di
quella città.
 
NOTE:
 
[1958] Theod. de Niem, Hist. Gobelin. in Cosmod.
 
[1959] Giornal. Napolet., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1960] Georgius Stella, Annal. Genuens., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1961] Annales Mediolanens., tom. 16 Rer. Ital. Corio, Istoria di
Milano.
 
[1962] Sanuto, Istor. Venet., tom. 22 Rer. Ital.
 
[1963] Redus., Chron., tom. 19 Rer. Ital.
 
[1964] Gatari, Istor. di Padov., tom. 17 Rer. Ital.
 
[1965] Chron. Estens., tom. 15 Rer. Ital.
 
[1966] Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1967] Corio, Istoria di Milano.
 
[1968] Gazata, Chron. Regiens., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1969] Annales Mediolan., tom. 16 Rer. Ital. Gatari, Istor. di Padova,
tom. 17 Rer. Ital.
 
[1970] Gazata, Chronic., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1971] Caresin., Chron., tom. 12 Rer. Ital. Gatari, Istor. di Padova,
tom. 17 Rer. Ital.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXXVI. Indiz. IX.
 
URBANO VI papa 9.
VENCESLAO re de' Romani 9.
 
 
Dimorava tuttavia _papa Urbano_ in Genova. Per soddisfare a quella
repubblica[1974], che dicea d'avere speso sessanta mila fiorini
nell'armamento delle dieci galee inviate per trasportarlo colà, pagò
colla roba altrui, cioè diede loro sotto l'apparente titolo di pegno
tre terre che erano del vescovo d'Albenga. Intanto teneva in dure
prigioni rinchiusi i sei cardinali seco condotti. Racconta Lorenzo
Bonincontro[1975], che essendosi, nel venire esso papa a Genova,
fermato colle galee genovesi in Porto Pisano, _Pietro Gambacorta_,
signore allora di Pisa, fu ad onorarlo, e insieme a pregarlo di mettere
in libertà quegl'infelici porporati. Se li fece Urbano venire davanti:
cadeano loro le vesti di dosso, erano squallidi e con barba lunga. Con
aspre parole rinfacciò loro il delitto commesso; ma eglino protestarono
d'essere innocenti, e il chiamarono al giudizio di Dio, cioè a rendere
conto della crudeltà che loro usava. Diede nelle smanie il pontefice, e
li rimandò in galera, con rispondere poscia al Gambacorta, non meritar
costoro compassione, dacchè non voleano chieder perdono del loro
reato. In Genova[1976] alle forti istanze del re d'Inghilterra liberò
il _cardinale Adamo Eston_ Inglese. Gli amici degli altri cardinali,
uno de' quali era genovese, fecero più istanze ed anche delle congiure
per liberarli. A nulla servì. Stette saldo il papa, e in fine, sempre
diffidando di tutti quei che entravano nel suo palazzo, arrivò a farli
morire. Chi disse che furono affogati in mare entro dei sacchi; ma
Gobelino scrisse[1977] che furono strangolati in prigione. Senza orrore
non si possono leggere azioni tali, che pregiudicarono troppo alla fama
di questo pontefice. E perciocchè la congiura poco fa accennata per
mettere in libertà quei miseri fece sospettare al papa che ne fossero
autori due de' suoi cardinali, cioè _Pileo da Prata arcivescovo_ di
Ravenna, e _Galeotto Tarlato_ da Pietramala; amendue, conoscendo a
che pericolo fosse esposto chi solamente cadeva in sospetto presso un
pontefice sì violento, se ne fuggirono da Genova, e andarono da lì a
qualche tempo ad unirsi coll'antipapa _Clemente_. Intanto i Genovesi
poco rispetto portavano a lui, e gli usarono anche delle insolenze,
tanto col non fare giustizia dei congiurati suddetti, quanto col
mandare i birri a far prigioni alcuni della famiglia d'esso papa nello
stesso suo palazzo[1978]. Il perchè Urbano, veggendosi strapazzato,
determinò di mutar residenza; e nel mese di dicembre imbarcatosi, passò
nella città di Lucca, dove nella vigilia del Natale con gran solennità,
e coll'ossequio dovuto al vicario di Cristo, fu accolto.
 
Per la morte del re _Lodovico_ d'Ungheria pretendea, siccome dicemmo,
_Carlo re di Napoli_ a quel regno. Appena dunque si fu allontanato
dalle sue contrade _papa Urbano_, ancorchè restassero molti baroni e
città in ribellione, pur volle accudire a quella conquista, sperando
poscia colle forze degli Ungheri di poter più facilmente sbrigarsi
da quei ribelli. E non gli mancavano frequenti e pressanti inviti dei
principali baroni dell'Ungheria, dove egli stesso era stato allevato,
e conservava non pochi amici. Fidatosi di così grandi promesse[1979],
nel dì 4 di settembre dell'anno precedente s'imbarcò, e con sole
quattro galee e poca gente d'armi animosamente navigò verso il
litorale dell'Ungheria. Quantunque la _regina Maria_, divenuta moglie
di _Sigismondo_, fratello di _Venceslao re de' Romani_, possedesse
quel regno, pure si trovava esso lacerato da diverse animose fazioni,
volendo ognuna d'esse superiorizzare[1980]. Quivi dunque fu ricevuto
il re Carlo con grande allegrezza e colle possibili dimostrazioni
d'ossequio da ognuno, e nominatamente dalla regina Maria, e dalla
_regina Elisabetta_ sua madre, con passar fra di loro vicendevoli
carezze. Andò tanto innanzi il maneggio, che di consentimento
della maggior parte de' baroni _Carlo_ fu coronato in Alba Reale re
d'Ungheria. Portata questa nuova a Napoli nel dì 2 di febbraio, se ne
fece gran festa; ma non tardò molto a seguirne il pianto. Le regine
d'Ungheria, che aveano fin qui dissimulato il lor odio contra del
re Carlo, sperando che andassero a voto i di lui disegni, allorchè
si videro spossessate affatto del dominio, e passata in capo di lui
la corona[1981], tramarono col _conte Niccolò da Zara_, col vescovo
di Cinque Chiese e con altri baroni di lor seguito la morte del re
novello. Mentre egli dunque si trovava con esse in una camera, entrò un
Unghero che mortalmente il ferì nel capo a dì 7 di febbraio, e poi se
ne fuggì, mostrando intanto le regine grande smania per tal tradimento.
Forse sarebbe egli guarito dalla mortal ferita; ma il veleno fece del
resto, di maniera che nel dì 24 d'esso mese con sentimenti cristiani
terminò il suo vivere. Seguirono poi terribili rivoluzioni in Ungheria
per cagione di questo eccesso, e ne furono aspramente perseguitate le
regine, e tolta anche la vita alla madre; ma non appartenendo alla
storia nostra quegli affari, li tralascio. Di esso Carlo restarono
due figliuoli, _Ladislao_ e _Giovanna_, amendue, perchè d'età incapace
al governo, sotto la tutela della _regina Margherita_ lor madre. Ma,
uditasi la morte del re, allora sì che il partito degli Angioini si
rinvigorì, e tutti i ribelli alzarono il capo. Non tardò ad accendersi
più che mai la guerra. Tutta la casa Sanseverina, i conti di Cupersano,
quei d'Ariano, di Caserta ed altri baroni vennero fin sotto Napoli
con quattro mila e settecento cavalli; castello Sant'Ermo si ribellò;
Napoli stessa, senza voler ubbidire alla regina, volle governarsi coi
proprii uffiziali. Ed intanto i Sanseverini spedirono Ugo della lor
casa in Francia, per far venire il giovinetto duca d'Angiò, e signor
di Provenza, cioè _Lodovico_ figliuolo dell'altro _Lodovico d'Angiò_,
morto nell'anno antecedente, come s'è detto, in Bari[1982]. Perchè una
nave veneta carica di preziose merci, ma conquassata da una tempesta,
era giunta a Napoli, e ne fu occupato tutto il carico della regina
Margherita, se ne seppero ben vendicare i Veneziani: cioè le tolsero
l'isola di Corfù e la città di Durazzo, incorporandole col loro
dominio.
 
Sempre più s'andava riscaldando la guerra insorta tra _Antonio dalla
Scala_ signor di Verona e Vicenza, e _Francesco da Carrara_ signor di
Padova e Trivigi. Dopo varie ostilità riuscì nel dì 23 di giugno[1983]
a _Cortesia da Sarego_, generale dell'armata veronese, e cognato
dello stesso Scaligero, di superare i passi, e di entrar vittorioso
sul Padovano, con far di molti prigioni, e stendere poi le scorrerie
e i saccheggi sino alle porte di Padova. Quanto si ringalluzzì per
questo felice colpo lo Scaligero, altrettanto restò piena d'affanni
la città di Padova. Ma _Francesco da Carrara_, dopo aver confortato
il popolo suo, ed animatolo a rifarsi del danno, mosse l'esercito
suo contra dei nemici, che s'erano accampati alle Brentelle. Suo
capitan generale era _Giovanni d'Azzo degli Ubaldini_, maestro di
guerra. Il vecchio Gataro vi mette anche _Giovanni Aucud, Ugolotto
Biancardo, Antonio Balestrazzo, Brogia, Biordo, Giacomo da Carrara_,
il _conte da Carrara_, fratelli naturali di Francesco. Ma il testo di
quell'autore è qui difettoso; e s'ha da attendere l'altro del Gataro
giovine, senza confondere le imprese dell'anno seguente col presente.
Incontratesi dunque le due armate nel dì 25 di giugno, come ha anche il
Gazata[1984], vennero ad una general battaglia; e sul primo incontro
furono rovesciate le schiere de' contadini padovani, e messe in fuga.
Ma l'accorto Giovanni d'Azzo colle milizie veterane sì fieramente
assalì le squadre nemiche, benchè molto superiori di numero, che le
ruppe, e ne riportò un'intera vittoria. Restarono prigionieri lo stesso
_Cortesia da Sarego_ generale dei Veronesi, _Ostasio da Polenta_, ed
un gran numero di altri nobili o conestabili, tutti registrati dai
Gatari e dall'autore della Cronica Estense[1985]. Diconsi ancora fatti
prigionieri quattro mila e quattrocento sessanta soldati da piè e da
cavallo, e tre mila quattrocento cinquanta di bassa condizione. Gran
lunga meno ne dice il suddetto Cronista Estense, che merita in ciò, a
mio credere, più fede. Degli uccisi o annegati ottocento ventuno se ne
contarono; scrive il Gazata mille e ottocento, e che il fatto d'armi
durò quindici ore. Tutto allegro veniva al campo _Antonio dalla Scala_,

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