2016년 6월 29일 수요일

Annali d'Italia 136

Annali d'Italia 136


Biancardo_ suo generale sotto Vicenza. Fu molto bersagliata quella
città, ma fu anche ben difesa, senza mai voler ascoltare proposizioni
di resa. Di belle, ma simulate parole non di meno diedero que'
cittadini, tanto che indussero l'esercito padovano a levar l'assedio,
per attendere all'acquisto di varie terre tanto di quel territorio che
del Friuli, giacchè Francesco da Carrara nello stesso tempo attendeva
a quelle contrade[1993]. Nel venerdì santo, d'aprile, entrarono per
forza in Aquileia le genti sue, uccisero quegli abitanti, orridamente
saccheggiarono fin le chiese, con asportarne i vasi sacri e le
reliquie. E nella stessa maniera s'impossessarono nel settembre di
Sacile e d'altri luoghi. Trovandosi _Antonio dalla Scala_ in mezzo a
questi due fuochi, e senza soccorso de' Veneziani, ch'erano dietro a
ricuperar la Dalmazia; allora fu che conobbe gl'irremediabili falli
delle sue malnate passioni, e che l'ira di Dio era sopra di lui.
Mosse il re de' Romani _Venceslao_ a ripigliare i negoziati di pace,
e vennero in fatti nuovi ambasciatori a trattare col conte di Virtù,
il quale colle sue arti li tenne a bada, tanto che eseguì i segreti
suoi maneggi. Erano questi un trattato tenuto da Guglielmo Bevilacqua
nella città di Verona, che scoppiò nella notte del dì 18 d'ottobre.
Troppo era stanco di quella guerra, e delle gravezze e de' saccheggi
il popolo di Verona. Coll'aiuto d'alcuni cittadini traditori, dopo un
fiero assalto dato alla porta di San Massimo, riuscì all'armi del conte
di Virtù d'entrare in quella città. Antonio dalla Scala, consegnato
il castello in mano a _Corrado Cangier_ ambasciatore cesareo, se ne
fuggì colla sua famiglia in barca per l'Adige a Venezia. Poco stette
l'ambasciatore a far mercato del medesimo castello, e, ricevuta gran
somma di danaro, se ne tornò col buon giorno in Germania.
 
Trovatisi poi quivi i segnali di tutte le fortezze, e di Vicenza
stessa, il Bevilacqua tosto cavalcò a Vicenza con essi nel dì 21 del
suddetto ottobre; e quel popolo fu ben istruito a rendersi a _Caterina_
moglie del _conte di Virtù_, la quale, siccome figliuola di _Regina
dalla Scala_, pretendeva al dominio di quella città; e con patto di non
essere mai dati in mano del signore di Padova, troppo da loro odiato.
_Antonio dalla Scala_ dipoi rifugiatosi a Venezia, ma non sovvenuto
dai Veneziani, e disprezzato dai Fiorentini e dal papa, per qualche
tempo se n'andò ramingo. Finalmente, venendo con molti armati dalla
Toscana nel mese d'agosto, sorpreso da malore (e fu detto per veleno)
nelle montagne di Forlì, ossia di Faenza, miseramente terminò nell'anno
seguente i suoi giorni, e tutto l'arnese suo andò a sacco[1994]. Lasciò
un figliuolo maschio, tre figliuole e la moglie in istato poverissimo,
a' quali fu assegnato il vitto dalla signoria di Venezia. Così quasi
in un momento venne a mancare la signoria della famosa e potente
famiglia _dalla Scala_ per la pazza condotta di Antonio, nella cui
caduta e morte parve al pubblico di riconoscere i giudizii di Dio per
l'assassinio da lui fatto al fratello. Si credeva poi _Francesco da
Carrara_ di cogliere anch'egli il frutto della guerra con Vicenza,
a tenore delle capitolazioni della lega; ma ebbe che fare con un più
furbo di lui. Scusandosi Gian-Galeazzo di non voler pregiudicare alle
ragioni della moglie, alla quale, e non a lui, s'era data Vicenza,
ritenne ancor quella per sè, facendo dipoi intimazione al Carrarese
di non molestar da lì innanzi quel territorio[1995]. Che confusione,
che rabbia allora rodesse il cuore di Francesco da Carrara, si può
facilmente intendere. Per isbrigarsi da un debile nemico, se n'era
tirato addosso un più potente, e il principio della sua rovina.
Non dovea egli avere mai letto cosa fosse la società leonina. La
_regina Margherita_ tenne in quest'anno la città di Napoli ristretta
per mare. Era quel popolo senza vettovaglia[1996]. L'industria e il
valore di _Ottone duca di Brunsvich_ e principe di Taranto sostenne
quella città in maniera che fu provveduta, e schivò il pericolo di
rendersi. Ma inviato dal r_e Lodovico monsignor di Mongioia_ per vicerè
e governatore di quella città, Ottone, di ciò disgustato, si ritirò
colle sue genti a Sant'Agata, e passò ai servigi del re Ladislao.
Il castello dell'Uovo restava tuttavia in potere della _regina
Margherita_ madre d'esso Ladislao. Voglioso intanto _Gian-Galeazzo
Visconte_ di conservare ed accrescere la sua parentela colla real casa
di Francia[1997], diede nell'anno presente in moglie _Valentina_ sua
unica figliuola a _Lodovico duca di Turena_ conte di Valois e fratello
del re di Francia; parentado che egli piuttosto comperò, perchè diede
in dote al genero ed immediatamente consegnò la città d'Asti con
varie castella del Piemonte. Dicesi che ne furono malcontenti gli
Astigiani. Se ne ricordi il lettore, perchè vedremo questo matrimonio
origine di gravi sconvolgimenti nello Stato di Milano. Presso Benvenuto
da San Giorgio[1998] si legge lo strumento dotale d'essa Valentina
coll'enumerazione di tutti i luoghi ceduti dal Visconte ad esso
Lodovico suo genero.
 
NOTE:
 
[1987] Giornal. Napol., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1988] Chron. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1989] Theodericus de Niem, lib. 1, cap. 63.
 
[1990] Gatari, Istoria di Padova, tom. 18 Rer. Ital.
 
[1991] Chronic. Estense, tom. 15 Rer. Ital.
 
[1992] Corio, Istor. di Milano.
 
[1993] Gazata, Chron., tom. 18 Rer. Ital.
 
[1994] Chron. Placent., tom. 16 Rer. Ital. Bonincontrus, Annal.,
tom. 21 Rer. Italic. Caresin., Chron., tom. 12 Rer. Italic. Chron.
Foroliviens., tom. 22 Rer. Ital. Matth. de Griffon., Chronic., tom. 18
Rer. Ital.
 
[1995] Chron. Estens., tom. 15 Rer. Ital. Gatari, Istor. di Padova,
tom. 18 Rer. Ital.
 
[1996] Giornal. Napolit., tom. 21 Rer. Ital.
 
[1997] Annal. Mediolan., tom. 16 Rer. Ital. Chron. Placentin., tom. eod.
 
 
 
 
Anno di CRISTO MCCCLXXXVIII. Indiz. XI.
 
URBANO VI papa 11.
VENCESLAO re de' Romani 11.
 
 
Fisso stava _papa Urbano_ nel proponimento suo d'essere nemico a tutti
e due i re litiganti pel regno di Napoli, cioè a _Ladislao di Durazzo_
e a _Lodovico II d'Angiò_, lusingandosi egli di poter conquistare quel
regno (per suo nipote, come fu creduto), dicendo d'esserne egli solo
il padrone[1999]. Cercò aiuti da _Martino_ e _Maria_ re di Sicilia;
assoldò ancora molte soldatesche in Toscana e nel Patrimonio; mossesi
in fine da Perugia per accostarsi maggiormente ai confini di Napoli.
Ma, precipitato a terra nel viaggio dal mulo ch'egli cavalcava,
e ferito in più parti, si fece condurre a Ferentino, senza voler
badare alle preghiere di molti Romani accorsi per invitarlo a Roma.
Tuttavia, perchè s'ammutinarono le milizie sue e l'abbandonarono,
egli, vedendo fallite le sue speranze guerriere, nel novembre
s'appigliò alla risoluzione di restituirsi a Roma, dove con poco
onore entrò. Fu maggiormente assediato in quest'anno dal Mongioia e
da' Napoletani angioini il castello di Capuana, che tuttavia ubbidiva
al _re Ladislao_. Si difese per quanto potè il castellano; ma da che
non venne fatto ad _Ottone duca di Brunsvich_ e al _conte Alberico_
gran contestabile di dargli soccorso, tuttochè vi fossero accorsi con
quattro mila e cinquecento cavalli, il castellano, non potendo più
reggere, capitolò la resa nel dì 22 di aprile. Portò poscia il Mongioia
l'assedio a Castel Nuovo; ma non potè mettervi il piede, perchè, venuti
da Gaeta aiuti agli assediati, questi non si lasciarono più far paura
da lì innanzi. Altri vedrà se questi fatti piuttosto appartenessero
all'anno seguente. Di grandi mali faceano in questi tempi i
corsari[2000] Mori di Tunisi ai lidi de' cristiani nel Mediterraneo.
Spezialmente n'erano in pena _Martino e Maria re di Sicilia_. Adunque,
per reprimere la baldanza di que' Barbari, s'accordarono co' Genovesi
e Pisani, e composero una flotta di venti galee. Quindici d'esse
furono di Genovesi sotto il comando di _Raffaello Adorno_. Ammiraglio
dello stuolo fu _Manfredi di Chiaramonte_. Presero questi combattenti
cristiani a forza d'armi l'isola di Zerbi, e quivi si fortificarono.
Diede fine in quest'anno al suo vivere[2001] _Niccolò II marchese
d'Este_, signor di Ferrara, Modena, Comacchio e Rovigo, nel dì 26 di
marzo. Il magnifico suo, funerale fu accompagnalo dalle lagrime di
molti. Passò la signoria al _marchese Alberto_ suo fratello, contra del
quale fu nel prossimo maggio scoperta una congiura[2002], maneggiata
dal signore di Padova e da' Fiorentini, che mal sofferivano di vederlo
divenuto amico del conte di Virtù. Il disegno era di ucciderlo, e di
trasferire il dominio in _Obizzo Estense_ suo nipote, figliuolo del già
_marchese Aldrovandino_. Vi teneva mano anche la madre d'esso Obizzo.
Fecesi rigorosa giustizia per questo. In fatti, se il defunto marchese
Niccolò fu in addietro nemico dichiarato de' Visconti, non volle già
imitarlo in questo il marchese Alberto. Anzi andò egli in persona con
accompagnamento nobile nel dì 25 d'aprile a visitare _Gian-Galeazzo_
conte di Virtù, che tuttavia tenea la sua residenza in Pavia, e seco
entrò in lega per le imprese che quell'astuto principe andava tutto dì
macchinando.
 
Quanto più _Francesco da Carrara_ signor di Padova ruminava il grande
inganno fattogli dal suddetto Gian-Galeazzo, occupatore di Vicenza
contro i patti della lega, tanto meno poteva egli astenersi dal
chiamarlo spergiuro e traditore. E per tale il pubblicò anche nelle
lettere scritte a tutti i principi. Durerà fatica il lettore a credere
ciò che i Gatari[2003] lasciarono scritto; cioè che lo stesso Visconte
il fece consigliare di lagnarsi di lui, per aver campo di vincere nel
suo consiglio che fosse consegnata Vicenza al Carrarese. Più verisimile
sembra che il dispetto naturalmente facesse prorompere Francesco
da Carrara in invettive contra di chi l'avea burlato col mancare sì
patentemente all'obbligo e ai patti. Ma ciò fece un bel giuoco al conte
di Virtù, perchè gli servì di pretesto per intraprendere una nuova
guerra contro alla casa di Carrara. Per effettuar questo disegno,
ed impedire che alcuno non imprendesse la difesa del Carrarese,
trattò e conchiuse lega nel dì 19 di maggio colla _repubblica di
Venezia_[2004], promettendole la signoria di Ceneda, di Trivigi e
d'altri luoghi; con _Alberto marchese di Ferrara_, accordandogli la
restituzione di Este e d'altre terre anticamente spettanti alla casa
estense; con _Francesco Gonzaga_ signore di Mantova, e colla _comunità
di Udine_. Mai non si avvisò Francesco da Carrara, benchè uomo di
somma avvedutezza, che i saggi Veneziani potessero condiscendere alla
maggiore esaltazione del conte di Virtù, e ad avere per confinante
un sì potente signore che già facea paura a tutti. Ma s'ingannò, e
non mancavano a lui peccati da farne penitenza anche in questa vita.
Pertanto, ritrovandosi egli attorniato da tanti nemici, e malveduto
ancora da' Padovani, che mal sofferivano le tante nuove gravezze
loro imposte, prese per necessità la risoluzione a lui suggerita di
rinunziar Padova a _Francesco Novello_ suo figliuolo e di ritirarsi a
Trivigi, dove sperava più amore e fedeltà in quel popolo, tanto da lui
beneficato. Nel dì 29 di giugno seguì la rinunzia, e nel dì seguente
la partenza di Francesco il vecchio alla volta d'esso Trivigi. Fatta
poi la disfida dal _conte di Virtù_, cominciò il suo possente esercito,
guidato da _Giacomo dal Verme_, ad inondare il territorio di Padova.
Altrettanto fecero dal canto loro i Veneziani. E quantunque _Francesco
Novello_ da Carrara animosamente colle sue troppo disuguali forze si
opponesse, pure i nemici ora un luogo ora un altro andavano occupando;
e passati, i serragli, sempre più si avvicinavano a Padova. A queste
sue disavventure si aggiunse più d'una sollevazione fatta contra di lui
dal popolo di Padova, sì per la troppo disgustosa visita della guerra
in casa, come pel desiderio di mutar padrone, sperandone, secondo il
costume delle umane lusinghe, migliore stato. In tal maniera crescendo
ogni dì più il turbine esterno ed interno, Francesco Novello si ridusse
a trattare d'aggiustamento. Mandò suoi ambasciatori al campo nemico,
e finalmente si convenne con Giacomo dal Verme e coi provveditori
veneziani che sarebbe permesso a lui d'andare in persona a trattare gli
affari suoi col conte di Virtù, giacchè s'era egli figurato di poter

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